Passiamo all’obbedienza civile
La querelle sul 17 marzo è la migliore testimonianza di un paese dimentico del passato e incapace di pensare il futuro. La politica italiana ha tenuto un profilo sempre più basso, in queste settimane, tra chi sosteneva inverosimilmente – che la crescita del 2011 dipendesse dal giorno in più o in meno di festa e chi – a volte con altrettanta leggerezza – ricordava (prima di tutto a se stesso) l’importanza della celebrazione della festa comandata.
Il 17 marzo va celebrato, certo, ma la giornata di festa avrà senso solo se sarà una giornata dedicata ai cittadini italiani, alle loro istituzioni, al loro desiderio di ritrovarsi in un Paese finalmente orgoglioso di se stesso. Una giornata dedicata non tanto ai 150 anni precedenti, quanto ai prossimi, quelli che ci attendono.
Il civismo, allora, deve essere protagonista. Non la spinta ad indignarsi, per la quale siamo perennemente mobilitati, a sinistra ma anche a destra, ogni giorno dell’anno. Nessuno escluso.
La vera novità è l’obbedienza civile: in un paese di disobbedienti cronici, di scalcinati secessionisti, di furbetti e anche, purtroppo, di mafiosi… L’Italia è uno straordinario contenitore di occasioni e potenzialità che ancora aspettano di essere interpretate e rappresentate: se si rompe il contenitore, andranno definitivamente disperse.
Il giorno della rivoluzione civica è proprio quel 17 marzo che celebra il 150° anniversario di un Paese, che ha 150 anni, appunto, ma non sembra ‘sentirli’.
L’appuntamento va celebrato con mille azioni da segnalare e da condividere, da mettere in pratica nelle città e nelle province italiane. A cominciare dalla richiesta di uno scontrino che non si rilascia mai, dalla visita a un museo dimenticato, fino al taglio di uno spreco, alla denuncia di una situazione di degrado, alla regolarizzazione di alcune situazioni di precariato che forse potrebbero essere sanate, pensando alla patria e ai suoi figli, soprattutto.
Mille azioni per dire cosa c’è di buono, cosa si può cambiare, quale può essere l’impegno di ciascuno. Mille e ancora mille, perché di questa Italia, che si divide anche su un giovedì di marzo, non sappiamo proprio cosa farcene.
«Porgi aiuto alla legge», si diceva qualche tempo fa, in Italia. Non 150 anni, ma 2500. Tornare a quel momento, per un giorno e per gli anni a venire, potrebbe essere decisivo.
(questo testo è uscito sulla Stampa di mercoledì 9 marzo)