Spero di sbagliarmi
Cercherò di spiegare il mio giudizio negativo sulla direzione nazionale del PD di oggi, senza polemica (e anche senza ironia, perché difficilmente è compresa, ultimamente). Sono le cose che ho detto, intervenendo in mattinata.
1. Non c’è più il Nuovo Ulivo di cui Bersani parlò nella lettera di questa estate. Non c’è alcuna relazione particolare con Di Pietro e Vendola, rispetto a quella che si potrebbe costruire con il Terzo Polo. Bersani lo fa capire, altri lo dicono esplicitamente: c’è chi dice che Vendola e Fini sono alleati eventuali, sullo stesso piano, come lo erano – in tempi molto diversi, per altro – Bertinotti e Dini (una consonante di differenza). Secondo me, se posso, non è vero (i nostri elettori, quasi nessuno, la pensa così) ed è anche molto pericoloso, perché da questa posizione è molto difficile “tornare indietro”: se Casini e Fini non ci dovessero stare o se non riuscissimo a costruire l’alleanza con loro, la coalizione di centrosinistra più classica arriverebbe sfinita alle elezioni e apparirebbe come una soluzione di ripiego. Non che non capisca, insomma, la ragione di un’interlocuzione con il Terzo Polo, ma continuo a sconsigliare al Pd di perderci l’anima e di trovare, sul punto, una misura e un equilibrio.
2. Le primarie, dice Bersani, le vogliamo «riformare per salvarle». Formula sibillina che non chiarisce che cosa succederà nel caso di alleanze con chi le primarie non le vuole fare. Sarebbe più sincero dire che in caso di estensione della coalizione verso il Terzo Polo non si faranno (e forse qualcuno sta pensando di non farle in ogni caso, o di non farle più di coalizione, come lo stesso Bersani ha sostenuto in passato, ma di tornare a primarie di partito). In generale, serpeggia una certa paura nei confronti di Vendola. C’è chi ha addirittura detto che se Vendola vincesse le primarie, non lo voterebbe alle elezioni. Forse il Pd potrebbe inserire nel proprio Statuto un articolo che dice: «Non può partecipare alle primarie chi si chiama Vendola di cognome e Nicola di nome (Nichi per gli amici e, soprattutto, per i compagni)». In verità, non si capisce davvero perché il Pd non sia convinto di vincerle, le primarie, con un suo candidato, magari con lo stesso Bersani. Per me è un mistero, ma sono sicuramente io a sbagliarmi. In ogni caso, quasi tutti pensano che così non vanno bene, le primarie, nonostante siano state «riformate» solo qualche mese fa. Sembra che il Pd abbia più paura delle primarie che delle stesse elezioni. Questo ormai è evidentissimo.
3. Non c’è nessuna polemica da parte mia, solo un po’ di delusione nei confronti di una direzione che doveva essere risolutiva, anche alla luce dei sei mesi precedenti e degli ultimi quattro passati senza che fosse mai convocata, ma alcune cose si faticano a capire, altre – purtroppo – si capiscono benissimo. Bersani ha accennato a una riforma della legge elettorale (un maggioritario a doppio turno, con una quota proporzionale, come si sa da qualche tempo) senza specificare chi è d’accordo con questa impostazione (il problema che si è manifestato in questi mesi, dove la legge elettorale era solo evocata e mai illustrata e non è stata portata all’attenzione del Parlamento e del Paese). Ho trovato un po’ pericolose certe analogie – sperticati paragoni tra Berlinguer e Moro e gli attuali protagonisti della nostra fase politica – e un po’ avventate certe metafore, a proposito dell’emergenza democratica che stiamo vivendo (che c’è da almeno diciassette anni, per la verità). Per me il punto è proprio questo: l’esigenza di cambiamento che attraversa la società italiana va rappresentata con un profilo politico netto e preciso, con un forte progetto culturale, per «andare oltre» B, come Bersani ripete spesso, riprendendo inconsapevolmente un nostro slogan di qualche mese fa. Il Pd dovrebbe fare così, rappresentare questo punto di vista. Un’esigenza ancora più forte in vista di alleanze dai contorni sempre più sfumati. Talvolta impalpabili.
4. Per una volta spero sinceramente di sbagliarmi e che questa linea, nella quale faccio davvero fatica a riconoscermi, si riveli quella ‘giusta’. Perché se è quella ‘sbagliata’, temo che saranno guai.