La lettera scarlatta
Oggi Ilvo Diamanti scrive cose che alcuni di noi ripetono da mesi. A sinistra del Pd, fermo al 26%, ormai c’è l’11% dei consensi, contando – e qui Diamanti fa un’operazione al limite del regolamento, perché Grillo non è esattamente a sinistra del Pd – anche il 4% a cui è dato il Movimento 5 Stelle.
Di questo 11%, il 7 potrebbe allearsi con il Pd, mentre il 4 andrebbe perduto. Una cifra considerevole, non molto distante, per fare un paragone, con l’apporto che potrebbe dare l’Udc all’alleanza democratica di cui stiamo parlando da mesi, anzi, da anni.
Diamanti consiglia al Pd una linea più chiara e una maggiore riconoscibilità della sua leadership. Sicuramente corretto. Quello che chiedo, però, ai vertici del Pd, come ho fatto anche in occasione dell’ultima direzione nazionale, è di cercare di indagare le ragioni profonde di questo voto, che si somma a quello di chi sceglie di non andare a votare, consapevolmente, spesso da persona istruita e colta. Non per cazzeggio o disinteresse, insomma, ma per delusione.
L’annosa questione della casta, in primo luogo, argomento demagogico quanto si vuole, ma fondato su una banale considerazione: i politici si sono arricchiti più dei cittadini, in questi anni, e molti scelgono la politica per diventare benestanti, in una logica di potere da quattro soldi (che poi sono molto di più).
Ancora: alcuni temi della contemporaneità, come l’ambiente (si vedano Francia e Germania, ma anche il Brasile), andrebbero forse meglio rappresentati dal Pd. Lo stesso vale per i diritti, per la rete, per la finanza (per dirla volgarmente: dove vanno a finire i nostri soldi). Non si capisce bene il Pd da che parte stia e il sospetto che sia dalla parte sbagliata è forte.
Da ultimo, c’è la questione morale, che è anche una questione estetica, dell’affezionarsi alle posizioni di potere, di chiudere il ceto politico in una stanza e di non farlo uscire più. Certo, i professionisti ci vogliono: resta da chiedersi se il professionismo riguardi la politica o le carriere di ciascuno. Perché diventare professionisti di se stessi poi porta inevitabilmente ad allontanarsi dagli altri. E gli altri, in questo caso, sono i cittadini. Questione di stile e di sostanza, insieme.
Ragioni che portano a votare Grillo, a scegliere un leader più riconoscibile, come Vendola, ma che spingono alcuni (e sono molti) a rinunciare. E la maggioranza, da silenziosa, ammutolisce. E sceglie l’astensione militante. L’iniziale è scarlatta, ma non va vissuta come un adulterio, da parte di politici che si sentano traditi dagli elettori, ma come una domanda di politica, rivolta proprio a quei politici democratici che dovrebbero farsene carico, come si dice in quel politichese che è forse la prima cosa da superare.