Il PD siciliano è una brutta notizia
Dopo dieci anni e più di dibattito sul Pd del Nord, ecco che Beppe Lumia lancia il Pd del Sud. Anzi, no: più precisamente si tratta del Pd autonomo della Sicilia, lontano dal «correntismo» di Roma e lombardo sia nelle modalità con cui si vuole costituire, sia nella scelta di allearsi strettamente con l’Mpa del presidente siciliano Lombardo, che il Pd della Sicilia peraltro già sostiene, dall’esterno, «per fare le riforme» (quelle autonome e siciliane, s’intende).
A me pare proprio una brutta notizia. Perché un partito ‘federale’ non deve nascere dalla polemica contro Roma e contro il proprio partito, ma dalla capacità di trovare un equilibrio tra le scelte politiche nazionali e le urgenze locali. Un compito che riguarda prima di tutto Roma, certamente, ma che richiede un lavoro diffuso e una cultura condivisa: abbiamo fatto il Congresso più lungo della storia dell’umanità – quasi un anno intero – e ci ritroviamo con un partito che non ha ancora chiarito quali siano i rapporti tra locale e nazionale (un tema che anche Prodi aveva sollevato, qualche settimana fa, senza che nulla di concreto sia accaduto).
Mi dispiace molto anche per una ragione squisitamente politica perché mi pare che una delle poche cose buone del Pd è di essere l’ultimo partito davvero nazionale, perché il Pdl è troppo vicino alla Lega per poterselo permettere e perché Casini finora l’ha messo solo nel titolo, il fatto di essere il Partito della Nazione. Il Pd è credibile se è nazionale e se questo suo essere nazionale funziona. Per ora, a leggere le dichiarazioni lombardo-siciliane, non sembrerebbe né che sia nazionale, né che funzioni.
Stimo Beppe Lumia da tanto tempo e capisco che trovare una chiave democratica in Sicilia, e nel Sud (e anche nel Nord, per la verità) non sia facile. E che essere minoranza sia drammatico quando il corso delle cose prende pieghe così complesse.
Non ci vuole un Pd della Sicilia, come non ci vuole un Pd del Nord. Ci vuole un Pd, che la smetta di parlare di cose strumentali e di se stesso (come gli capita quasi sempre di fare), e che affronti la questione nazionale con un unico metro di giudizio: la responsabilità. Vale per le istituzioni, vale all’interno del Pd, che non a caso vorremmo diventasse specchio di un Paese diverso, alternativo (addirittura!). Un partito che sappia offrire un racconto comprensibile e trasparente, che consenta a tutti di capire perché, ad esempio, si fa un’alleanza, su quali basi e per fare che cosa. E, in generale, per rappresentare un Paese diviso da un uomo che ha unito a testuggine solo la propria banda e i propri interessi, in una reductio ad unum che in questi anni ha comportato la divisione di tutti gli altri. A proposito, c’è una lettura ragionevole, plausibile e seria di questo famoso federalismo, che tenga unito il Paese anziché dividerlo?
La Sicilia è una ragione troppo importante (da tutti, ma proprio tutti i punti di vista) per fare «da sola», anzi per distinguersi dichiaratamente da quello che il Pd dice e fa a livello nazionale. Lo si sosteneva per il Nord, per ragioni interne, diciamo così, ma anche sulla base di una ragione molto semplice: che il partito del Nord, quello che c’è già, al Nord non ha fatto bene. E non ha fatto bene al Paese. E non ha fatto bene proprio a nessuno, perché continuiamo a rappresentare le cose senza affrontarle mai. Era il 1994. Anzi, è il 1994. E non credo che minacciare soluzioni speculari al Sud ci porterebbe da qualche parte. E lontano, come invece dovremmo saper andare.