Eccomi
Ho finito di leggere Eccomi, di Foer, in un viaggio aereo verso Cagliari, e quando stavo partendo ho pensato che i due libri più lunghi che ho letto quest’anno sono due libri americani, Purity di Jonathan Franzen (l’ho letto nella traduzione di Silvia Pareschi) e Eccomi, di Jonathan Safran Foer (nella traduzione di Irene Abigail Piccinini).
Quando stavo leggendo Purity, nel marzo scorso, arrivato a pagina cento mi ero accorto che nelle prime cento pagine c’erano un po’ di ragazzi bellissimi e diverse ragazze bellissime e avevo pensato che sarebbe stato bene metterlo in copertina, il numero di ragazzi e di ragazze bellissime che si trovano dentro ai libri, come la nicotina nelle sigarette.
E adesso, in questo settembre, intanto che leggevo Eccomi, ho avuto l’impressione che ci fosse un eccesso di intelligenze infantili, troppi bambini intelligentissimi, da mettere in copertina anche quelli («Attenzione: in questo romanzo ci sono perlomeno tre bambini intelligentissimi più uno un po’ stupido ma così carino che sembra ancora più intelligente degli altri»).
E quando leggevo Purity, in marzo, mi era venuto da pensare che la fabula, di Purity, la successione cronologica degli avvenimenti narrati, aveva qualcosa in comune con la fabula di una telenovela che vedeva mia nonna che se non sbaglio era messicana e che si chiamava Mariana, che sia in Mariana che in Purity c’era della gente che quasi fino alla fine non si capiva bene di chi erano figli e di chi erano padri; Eccomi, di Foer, mi è sembrato una saga famigliare che direi che ricorda Il mulino del Po, di Bacchelli, se avessi letto Il mulino del Po di Bacchelli, o Le sorelle Materassi di Palazzeschi, se avessi letto Le sorelle Materassi di Palazzeschi, solo che non li ho letti non posso dirlo. È del resto abbastanza difficile parlare di un libro che è appena uscito senza dire qualcosa che possa rovinare, in chi vuole leggerlo, il piacere di leggerlo, ma una cosa che mi sento di dire è che quella particolare intelligenza che riguarda i bambini, riguarda, in Eccomi, un po’ anche tutti i protagonisti, del libro, e anche, in generale, la scrittura di Foer.
A pagina 139 si legge: «Jacob e Julia si nascondevano dentro il lavoro che si nascondevano a vicenda. Cercavano la felicità che non avevano a spese della felicità di qualcun altro. Si nascondevano dietro la gestione della vita famigliare. Il loro cercare più puro era di Shabbat, quando chiudevano gli occhi e rinnovavano la casa e loro stessi. Quell’architettura di minuti, quando Jacob andava in bagno e Julia non leggeva il libro che aveva in mano, era il loro nascondersi più puro».
Che io, devo dire, non ho capito benissimo cosa facessero, Jacob e Julia: lei non leggeva, che è una cosa che succede spesso, nel libro, non legge nessuno (anche Jacob, che è uno scrittore, non legge neanche un libro, ascolta dei podcast), ma, anche se non ho capito, ho l’impressione che questi Jacob e Julia siano due persone intelligenti; se dovessi trovare un aggettivo per definire Eccomi, direi che è un libro arguto, che detto così può sembrare un complimento non sono sicuro, che sia un complimento.
Mi è capitato spesso di sentir dire, di un libro, che era un libro ironico, che anche questo secondo me non è complimento perché l’ironia, per me, è una figura retorica; una figura retorica mirabilmente espressa da Daniele Benati nell’Opera n. 109 delle Opere complete di Learco Pignagnoli, che fa così: «Opera n. 109. C’era un tipo, un certo Fofi, da non confondere con il critico, che una volta siamo andati al cinema insieme, lui russava, io russavo. Abbiamo visto un bel film».
Ecco, l’ironia è una figura retorica che consiste nel dire il contrario di quel che si pensa, e un libro che si fondasse sull’ironia, in cui continuamente si usasse questa figura retorica, in cui l’io narrante dicesse esclusivamente il contrario di quello che pensa, sarebbe un libro molto ironico ma non sono sicuro che sarebbe un bel libro.
In Eccomi ci sono molte frasi intelligenti, che colpiscono, per esempio quando Julia ha appena litigato con uno dei suoi tre figli c’è un personaggio femminile che le dice: «I bambini ti prendono a calci da dentro, e poi escono e continuano a prenderti a calci da fuori», che è una frase memorabile, solo che la dice una bambina di tredici anni che aggiunge: «L’ho letto su un libro dei miei sulla genitorialità».
«E perché leggi quella roba?», le chiede Julia.
«Per provare a capirli», risponde lei.
Quando stavo per imbarcarmi per Cagliari, avevo due vicini uno dei quali si lamentava di un loro collega che era uno che non faceva «altro che dei numeri da circo; nei circhi ci sono i leoni, e gli elefanti e tu sei sorpreso, e divertito, solo che poi, nella vita normale, cosa c’è? Dei buoi legati a un aratro, e campi a perdita d’occhio».
Stavo per chiedergli se parlava del libro che stavo leggendo io, poi non gliel’ho chiesto, ma mi sono trascritto quel che aveva detto “Non si sa mai che possa venir buono”, ho pensato.
[Pubblicato sulla Verità]