Se fosse esistita una giustizia
C’era uno che potevi ascoltare al bar esporre al barista tutti i suoi risentimenti. Una cosa che lo irritava, diceva, erano i gruppi di impiegati che all’ora di pranzo uscivano dagli uffici per la cosiddetta pausa pranzo portandosi dietro tutto il loro aplomb da impiegati, funzionari, quadri o quello che erano. Non sopportava, diceva, vederli uscire dai loro portoni stiracchiandosi un po’, con quella faccia di chi sente di aver fatto il proprio dovere e di essere meritevole della pausa pranzo, come della tredicesima, delle ferie, della maternità, della malattia e degli infortuni pagati, oltre che dei buoni pasto accumulati per fare la spesa al supermercato. Così, a vanvera, avevano ottenuto un bonus e gli altri no. Privilegiati senza sapere di esserlo: tutto dovuto, normale, come riscuotere la rendita di un bot decennale. Passati dal latte e biscotti nel thermos dell’asilo preparato dalla mamma al posto di lavoro ereditato. Sarebbe stato molto più corretto, diceva, vederli uscire dai loro portoni alla spicciolata e andare nella chiesa più vicina per ringraziare il padreterno. E invece facevano gli oberati, quando l’unica cosa che avrebbero dovuto fare era accendere un cero alla Madonna, perché se fosse esistita una giustizia, che non esisteva, a raccogliere i pomodori sarebbero dovuti andare e poi nemmeno quello gli avrebbero fatto fare, con quei loro fisici da corridori della domenica, con gambe depilate e luccicanti di crema idratante. Roba da matti, in Albania dovevano nascere, diceva, e poi ne parlavamo; e aggiungeva che lui prima o poi chiudeva la partita iva.