Se uno conosce troppo se stesso
Io di solito, per un vizio che si potrebbe definire il conformismo dell’anticonformismo, cerco di non parlare delle cose di cui parlano tutti, quindi questa settimana non volevo parlare di Umberto Eco, solo che questa settimana ho scoperto uno scrittore spagnolo che si chiama Ramón Gómez de la Serna e il suo Mille e una greguería (a cura di Danilo Manera), dove ho letto delle cose del tipo: «Se uno conosce troppo se stesso, smette di salutarsi», o «Nell’elenco del telefono, siamo tutti esseri microscopici», o «L’anguria è un salvadanaio di tramonti », o «Il tram approfitta delle curve per piangere», o «Sui fili del telegrafo rimangono, quando piove, delle lacrime che rendono tristi i telegrammi», e quando sono arrivato a leggere «Aveva una memoria così cattiva che si dimenticò di avere una cattiva memoria e cominciò a ricordarsi tutto», ho pensato che io, se sono veramente anticonformista come credo di essere, devo esserlo al punto da scrivere qualcosa su Umberto Eco. Solo che poi mi son detto «Ma cosa puoi scrivere te, di Umberto Eco, che non l’hai mai conosciuto?». E invece poi mi son ricordato che io son così affetto, dal conformismo dell’anticonformismo, che l’ho conosciuto, Umberto Eco. Una delle cose più sorprendenti di una città molto sorprendente, San Pietroburgo, per me è stato il fatto che nella Dom Knigi, la più grande libreria della città, all’ultimo piano, tra le fotografie degli scrittori che avevano visitato la libreria c’era, unico scrittore non russo, la fotografia di Umberto Eco. E quindici anni fa, nel 2001, il padrone di casa dell’appartamento che avevo affittato a San Pietroburgo, che si chiamava Sergej, quando aveva saputo che abitavo a Bologna mi aveva chiesto se era la stessa Bologna dove abitava Umberto Eco, e, siccome io gli avevo detto sì, prima di partire mi aveva detto che aveva un favore da chiedermi: siccome Umberto Eco era il suo scrittore preferito, potevo, per cortesia, quando incontravo Umberto Eco, chiedergli un autografo per lui, per Sergej? Io mi ero detto che era bellissima, l’idea che Sergej aveva di Bologna, un posto dove tutti conoscevano tutti, e quell’ingenuità lì mi era sembrata molto russa, figlia di un mondo dove poteva succeder di tutto, mica come in Italia.
Due settimane dopo, a Bologna, all’Osteria dell’Orsa, appoggiato al bancone che aspettava che gli consegnassero la sua cena da asporto, avevo visto Umberto Eco e gli avevo chiesto se potevo disturbarlo un minuto e gli avevo raccontato la storia della Dom Knigi di San Pietroburgo e del mio padrone di casa Sergej, del quale lui era lo scrittore preferito, e del suo desiderio di avere un autografo, e lui, Umberto Eco, mi aveva detto che in Russia, alla Dom Knigi, dall’abbraccio degli ammiratori l’avevan salvato solo i cosacchi, e poi aveva preso un foglietto e ci aveva scritto «A Sergej», e poi sotto aveva fatto l’autografo e io l’avevo messo in una busta e l’avevo mandato a Sergej e poi mi ero messo ad aspettare una lettera che mi ringraziasse dell’autografo che gli avevo mandato.
La lettera di ringraziamento non mi è mai arrivata e dopo un po’ di tempo mi è venuto il dubbio che Sergej non avesse capito, che il foglietto che gli avevo mandato era l’autografo di Umberto Eco.
E questo, in sostanza, è tutto.
(Pubblicato su Libero)