Uno stadio senza curve
«Non esiste un vaglio condiviso della violenza e dell’ingiustizia, ma se mai esistesse non è dalle due curve che potremmo conoscerlo. È negli altri settori dello stadio, dove ci si guarda l’un l’altro senza sapere esattamente come la si pensa»
In un ipotetico stadio dove un impresario privo di scrupoli organizzasse il derby Occidente-Resto del mondo, non mi siederei tra gli ultrà dell’Occidente. Semmai, senza bandiere né striscioni, cercherei il posto adatto tra i simpatizzanti (dell’Occidente). Si capirebbe da che parte sto, ma eviterei il rischio di ritrovarmi seduto accanto a uno di quei suprematisti della razza democratica che vedono il Bene come trionfo delle “nostre” regole e la cancellazione di quelle altrui: tra di loro i meno perspicaci sono tuttora convinti, nonostante il disastro iracheno e quello afgano, che la democrazia si esporti con le armi. Come dire che la gentilezza si insegna a sberle. (San Michele, bellissimo, che trafigge il drago, bruttissimo, è la copertina che avrei scelto per tutti gli ultimi libri di Oriana Fallaci: così almeno si capiva subito il punto, “noi” siamo il bene, “loro” sono il male, o li sottomettiamo o ci sottomettono loro. E tra Terzani e Fallaci, l’ho già scritto enne volte, dalla torre avrei buttato Fallaci e assieme a Terzani – l’ultimo Terzani, quello con la tunica bianca che si sedeva nei prati a guardare il mondo – sarei sceso piano piano per le scale a chiocciola chiacchierando del più e del meno. Chiusa parentesi).
Questo per dire che ascolto con interesse ogni possibile critica al cosiddetto Occidente (approssimazione ideologico-geografica per dire tante cose anche diverse, ma insomma, si capisce abbastanza bene che cosa si sta dicendo quando si dice Occidente); e ogni critica alla schiacciante supremazia economica, militare, politica che ha sottomesso il pianeta quasi al completo per molti secoli, rapinandolo in cambio di una molto controversa e molto discussa “civilizzazione”. Purché questa critica non diventi schematica, poco dialettica, auto-colpevolizzante a prescindere, e dunque fonte di enorme confusione negli animi. Per entrare nel merito con una certa brutalità: ai ragazzi e soprattutto alle ragazze pro-Palestina, con le quali sfilerei volentieri se non ci fosse anche qualche simpatizzante di Hamas a guastare il clima, domanderei se sanno chi è Mahsa Amini e chi è Nika Shakarami. E se lo sanno, perché mancano manifestazioni e presidi anche per loro, che a 20 e 16 anni sono state ammazzate di botte dagli sbirri della Polizia Morale iraniana perché volevano camminare per strada senza il velo.
Guardate: non è “benaltrismo”. Non è contrapporre allo sterminio di Gaza il martirio quotidiano delle donne persiane e afgane. Ogni scandalo ha una sua genesi e una sua storia. Non esiste uno stesso sacco nel quale buttare tutto quanto. Però va detto che non è uguale l’eco che questo o quello scandalo solleva quando la sua onda d’urto arriva dalle nostre parti. E dunque la domanda che mi faccio, e vi faccio, è se esiste (meglio: se è pensabile che possa finalmente esistere) una percezione comune dei torti e delle offese, nonché una misura riconoscibile e comune dei diritti delle persone; oppure no, questa misura non esiste, e il colpo inferto è più o meno pesante a seconda di chi lo infligge e di chi lo subisce. E dunque l’intolleranza religiosa, la repressione sessuale e la scandalosa oppressione di genere (“genericidio”?) che vige in alcuni Paesi islamici non siano più questioni così rilevanti, qui da noi, perché oscurate dall’oppressione sanguinosa e spietata che Israele (enclave occidentale in campo ostile) esercita contro la popolazione di Gaza, in maggioranza musulmana e comunque governata da un movimento islamista come Hamas – tanto basta per ritenere inopportuno e sconveniente mantenere memoria dello scempio della libertà delle donne imposto dalla teocrazia iraniana, perché l’Iran, nel derby di cui sopra, fornisce armi e appoggio politico ai palestinesi.
Conosco abbastanza bene i cori delle due curve ultrà. Negli ultimi mesi sono stati assordanti, e hanno ridotto al silenzio il resto dello stadio. Non mi aspetto né dall’una né dall’altra curva un minimo segnale utile per provare a mettere nello stesso novero, quello degli oppressi, la popolazione di Gaza, le ragazze afgane che non possono più andare a scuola, le ragazze israeliane che stavano ballando quando il 7 ottobre, in un Bataclan decuplicato, sono state falciate o stuprate o rapite, le ragazze iraniane messe in galera o uccise per i capelli al vento. Non esiste un vaglio condiviso della violenza e dell’ingiustizia, ma se mai esistesse non è dalle due curve che potremmo conoscerlo. È negli altri settori dello stadio, dove ci si guarda l’un l’altro senza sapere esattamente come la si pensa. Ma ci si chiede: forse la mia vicina, il mio vicino, in questo momento si sta facendo la mia stessa domanda. Sarà mai possibile progettare uno stadio senza curve?
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Quasi interminabile lo strascico della lunga discussione su “woke”, nuove identità, nuove sensibilità, nuove culture e nuovi tabù verbali. Ringrazio i tantissimi che mi hanno scritto (di più o di meno che su Taylor Swift, mesi fa? Comunque molte decine, direi più di cento, una piccola grande assemblea). L’ultima parola decido di darla ad Alessandro, perché è anche la prima parola di un’ulteriore discussione. Butta nel piatto, lui molto più giovane di me, quella che nei momenti di pessimismo temo sia la più “vecchia”, la più “fuori moda” delle questioni. La differenza di classe, che fu la leva della politica nel Novecento, è ancora in grado di spostare qualcosa, di contare qualcosa, nel Ventunesimo secolo? Vai Alessandro.
“Ho letto con immenso interesse il dibattito sorto intorno al concetto di woke e vorrei complimentarmi con lei, anfitrione di questo spazio, per aver creato un luogo, purtroppo solo virtuale, dove è stato possibile leggere idee molto diverse fra loro ma sempre espresse in modo pacato e costruttivo. Da parte mia avrei due riflessioni da proporre. La prima riguarda il bisogno quasi maniacale di categorizzare l’intera umanità. Nella categoria maschio-bianco-etero-cis ricadono persone così diametralmente opposte che mi viene da dubitare dell’effettiva capacità di descrivere la realtà con questa tassonomia sociale. Il secondo dubbio riguarda la mancanza, quanto meno nelle discussioni a cui ho assistito, della madre di tutte le discriminazioni, dell’origine della grande differenza di potere tra esseri umani: ovvero la ricchezza. Non mi sorprende che l’ideologia “woke” sia prodotto dei campus americani, luoghi elitari per eccellenza, nei quali il tasto della disparità economica è molto dolente, ma mi stupisce che questa grave mancanza venga acriticamente ignorata dalle forze progressiste europee. Pensare che la disparità economica sia subordinata a tutte le altre discriminazioni mi sembra follia, non perché queste discriminazioni non esistano, ma perché il denaro ti dà il potere di ignorarle. Non vorrei essere accusato di poterifortismo ma la lotta di classe c’è stata e l’hanno vinta i ricchi, come dice il professor Alessandro Barbero, e questa ideologia estremamente polarizzante mi sembra il perfetto ‘divide et impera’ di chi è attualmente al potere. Molto meglio che il popolo dei consumatori progressisti si accapigli per decidere se essere di origine italiana qualifichi come white o come latinos (discussione realmente avvenuta negli States) piuttosto che si unisca per ottenere una società economicamente più equilibrata e di conseguenza con il potere più equamente distribuito. Mi permetta di chiudere con una battuta: è facile ‘pensarsi libera’ quando si hanno svariati milioni”.
Alessandro, 30 anni
Poco da aggiungere. La lotta di classe, secondo i marxisti, è fisiologica: ovvero esiste indipendentemente dal suo apparire e dal suo definirsi. Diciamo che in questo momento è abbastanza carsica. Scorre sotterraneamente. Prima o dopo tornerà in superficie in forme manifeste. Si affiancherà alle altre differenze o le sommergerà? Bisogna lavorare per la prima ipotesi.
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Zanzare Mostruose si apre con un titolo del Corriere del Veneto, segnalato da Sofia, che affida alla sapienza del lettore la cronologia della vicenda.
PICCHIATA DALL’EX SUICIDA
AI FUNERALI SCOPPIA LA LITE CON I PARENTI
Viene il dubbio che la lite tra parenti verta proprio sulla consecutio temporum: l’ha picchiata prima o dopo essersi ucciso?
Misterioso, e comprensibile solo dopo attenta lettura del lungo articolo, questo titolo di Repubblica segnalato da Francesco:
CAVALLINO BATTE RIMINI:
MERITO DELLE ALGHE TOSSICHE
E DELL’OCCUPAZIONE NAZISTA
Per non spoilerare troppo, posso solo dirvi che le alghe tossiche e l’occupazione nazista non sono avvenute in contemporanea, ma in tempi molto diversi.
Infine, ottimo per la sintesi tra cronaca e giudizio politico (basta aggiungere una “O”) questo titolo della Provincia Pavese segnalato da Valeria:
LITE IN RAI SUL CASO OSCURATI