Un pensiero per Giuliano Ferrara
«In caso di un coinvolgimento senile in un conflitto, GF farà da supporto letterario a un paio di divisioni cingolate e stivalate, a me piacerebbe fare la crocerossina e soccorrere i feriti»
Non ho mai fatto la guerra. Così è capitato, e mi ritengo in dovere di sapere che è un privilegio raro. L’ha fatta mio padre, artigliere in Africa; quella precedente, la Grande Guerra, l’ha fatta suo padre, militare di carriera; un fratello di mia nonna materna, francese, è morto nel ’14, diciannovenne, nella carneficina del fronte orientale. E andando indietro nelle generazioni, non dubito che la guerra abbia dirottato oppure reciso il destino di molti dei miei progenitori. I maschi perché in obbligo, le femmine perché costrette alle conseguenze di quell’obbligo.
Nemmeno Giuliano Ferrara ha mai fatto la guerra, ma è come se ne conoscesse e ne custodisse da sempre, in opposizione a quelli che lui chiamò “panciafichisti”, la natura profonda. In antitesi alle letture un poco piagnone che ne fanno i deboli di spirito. Da che cosa “difende” la guerra, Giuliano Ferrara? Beh, dall’ovvietà del pietismo, dal facile elogio della pace (che effettivamente è banale: come l’elogio della vita, o di una bella giornata), e in ultimo, ieri l’altro, dall’“umanitarismo wokista”, che nello specifico sarebbe il movente che spinge alcuni ebrei italiani ad angosciarsi per i palestinesi reclusi e bombardati, e il sottoscritto ad averne parlato, solidalmente, in una recente Amaca su Repubblica.
Ho scritto pochissimo – quasi niente, fin qui – su quanto accade in quei luoghi segnati dal crisma (o dallo stigma?) di essere “Terra Santa” delle tre religioni monoteiste. Un poco per la pochezza di quello che si può dire e fare comodamente seduti in casa propria. Un poco perché non ne so abbastanza (non se ne sa mai abbastanza, di storia e geografia: e lì, proprio lì, la storia e la geografia si sono addensate e aggrovigliate come in nessun altro posto al mondo). Un po’, anzi soprattutto, perché qualunque frase spesa sull’argomento viene implacabilmente impallinata dai cecchini dei due fronti; anche loro comodamente seduti in casa propria, ma con l’elmetto in testa. La ferrea univocità delle rispettive obiezioni rende faticosissimo, e mi permetto di aggiungere anche molto noioso, partecipare al dibattito più prevedibile del mondo: un sentimento di impotenza già descritto da Luca Sofri in un paio di Wittgenstein.
L’articolo in cui Giuliano Ferrara se la prende con il mio elogio di tre libri scritti da ebrei “critici” (Anna Foa, Gad Lerner, Davide Lerner) è la conferma, ennesima, della legge sopraddetta. Una reazione pavloviana a una mia intrusione in un mondo – quello, complicato e multiforme, delle persone ebree e delle loro opinioni su Israele – del quale Ferrara presume, legittimamente, di saperne più di me: e mi spiega di non avere il diritto di distribuire patenti di “affidabilità democratica” ad alcuno, ma men che meno agli ebrei. Ma l’appunto personale è del tutto trascurabile rispetto alla riproposizione, che aleggia quasi in ogni riga, di un assunto antico, molto ferrariano, che trascende di parecchio anche la questione Gaza e dintorni.
La guerra, come la vita – scrive Ferrara citando Amos Oz – sono “intessute di amore e di tenebra”, ed è dai tempi della più idiota (sì, la più idiota) delle guerre mosse negli ultimi secoli, quella di Bush e Blair contro l’Iraq nel 2003, che la presenza materiale della guerra in mezzo a noi viventi viene “spiegata” da Ferrara agli smidollati (presente!) come una manifestazione ineluttabile della condizione umana. Vigorosa e terribile è la guerra, vita e morte, sangue e onore, corpi e acciaio, e guai a chi si illude di esorcizzarla con la lagna pacifista, o mettendo in campo l’umanitarismo ante-woke e oggi woke. In campo la sola cosa che conta sono i cingoli e gli stivali dei soldati: il suo elogio dei boots on the ground, segno tangibile che la guerra dispone di noi fisicamente, ineluttabilmente, risale a quel vergognoso conflitto, così da farci chiedere, ancora oggi, se gli stivali dei soldati non meritassero di impolverarsi o infangarsi più degnamente in altri luoghi e per altre ragioni.
Leggendo Ferrara quando parla di guerra, anzi di guerre, non viene in mente Il sergente nella neve di Rigoni Stern (che pure gli stivali sul terreno li ficcò eccome), ma Nelle tempeste d’acciaio di Ernst Jünger – non cito i futuristi perché rischierei di fare reclutare GF, immeritatamente, in qualche convegnuccio governativo. Sarebbe improprio, forse anche ingeneroso definirlo bellicista, ma certo c’è molto agonismo, un’idea di virilità combattente che il suo italiano eccellente amministra con pochissime sbavature irose, ma con una costante irrisione per la mollezza ipocrita, l’incertezza ideologica, la renitenza deplorevole alla “prova del fuoco”. Occidente contro Resto del Mondo, questo è il passaggio d’epoca, non avete ancora capito l’antifona? Volete combattere o volete imboscarvi, nascosti dietro le vostre dubbiose obiezioni? Vi illudete di qualche impossibile neutralità? Vi attardate nello stucchevole esercizio di “capire gli altri” quando gli altri non si concedono altro esercizio che odiarvi come fanno, dal 1947, i capi arabi intorno e dentro Israele?
Né io né Ferrara abbiamo mai fatto la guerra, entrambi possiamo parlarne, dunque, con minore cognizione rispetto a Rigoni Stern e Jünger, entrambi soldati seppure così umanamente differenti. Il nostro scriverne è dunque, fondamentalmente, un esercizio di stile. Relativamente al quale, potendo, inserirei comunque qualche variante che renda un po’ meno prevedibili i ruoli.
Si può servire l’Occidente (prendendo per buono il fatto che sia sinonimo di democrazia) senza calpestare, boots on the ground, le vite di altri popoli meno illuminati? Si può pensare che Israele abbia ragione a voler esistere, ma torto nel considerare che questo renda trascurabile ogni altra ragione? Quanto alle patenti di mollezza e durezza, che Ferrara distribuisce, da sempre, con ben maggiore frequenza delle mie patenti di democraticità, visto che la persona più dura, più intransigente che io abbia mai conosciuto si chiamava Gino Strada, vero e proprio guerriero della pace e dei punti di sutura, non sarebbe il caso di ridistribuire le carte, in fatto di capacità di misurarsi con “amore e tenebra”? Che cos’è questa storia che alzare i toni, e se necessario gli schioppi, mette in regola con la severità del mondo e della vita, e abbassarli (i toni e gli schioppi) è un indizio di pusillanimità o peggio di opportunismo?
L’agonismo di GF, anche in politica, è proverbiale e consolidato. Non c’è scontro al quale si sia sottratto, fazione nella quale non abbia militato o che non abbia detestato. Non c’è sfumatura o dubbio o titubanza che lo abbia sedotto. È una postura del tutto lecita (anche se piuttosto faticosa per il circondario), a patto che non pretenda di ridurre lo spettacolo del mondo a un conflitto senza scampo, rimproverando o deridendo chi cerca una via di fuga. Ferrara è una Fallaci molto (ma molto) più brava e coltivata, assai più leggibile, ma non deve adombrarsi se una fetta di mondo, alla quale sento di appartenere da quando vado alle elementari, preferisce Tiziano Terzani.
A ogni buon conto, c’è posto per tutti. In caso di un coinvolgimento senile in un conflitto, GF farà da supporto letterario a un paio di divisioni cingolate e stivalate, a me piacerebbe fare la crocerossina e soccorrere i feriti. Uno dei pochi versi decenti che ho scritto, su Cuore, da poetastro satirico, dice così: “avrei fatto la suora/se ne avessi i coglioni”. Per dire che la questione della virilità, come acclarato dai tempi correnti, si è molto complicata rispetto a quando bastava fare la guerra per sentirsi uomini tutti di un pezzo. Fallaci del resto era una femmina, Terzani un maschio.
PS – GF mi definisce giocosamente “chef Michele”. Nel caso, molto probabile, che sia un’allusione spiritosa a chef Rubio, uno dei più belluini e irragionevoli pro-Pa, è impossibile non far notare che GF è molto più chef di me.
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Non rallenta il flusso impetuoso di mail su quanto i giovani siano preoccupati del futuro; e quale giovinezza sia stata la più dura, quella di ieri o quella di adesso; con tutto un corollario di racconti di vita, e considerazioni sul mondo, che rende questa newsletter una conversazione vera, sebbene con i limiti di spazio e di scelta che il Redattore Unico (io) cerca di gestire come può. Questa settimana ecco una breve selezione; non può che aprirsi con la lettera di un falegname: dopo quella di Marco, che ho pubblicato nello scorso numero, posso ben dire di avere tra i miei lettori ben due falegnami, e di andarne molto fiero.
“Sono un boomer, classe 63. Artigiano del legno con due colleghi fratelli. Non è vero che una volta si stava meglio di oggi. Tutte balle. Lo diciamo noi perché avevamo 20 anni e non 60. Anche noi facemmo fatica a inserirci nel mondo del lavoro e quelli che raggiungevano, con gli studi, un buon cadreghino (tranne i raccomandati) erano davvero i più bravi. Ho il mio diploma di geometra e anche uno di conservatorio, ma faccio il falegname e ne vado orgoglioso. Mi sarebbe piaciuto lavorare in uno studio o suonare in un’orchestra ma la vita mi ha fatto fare delle scelte, un po’ sofferte non lo nascondo, ma con la voglia di imparare che avevo (e anche una brava morosa) si sono rivelate ottime. Penso spesso a mio padre (muratore) e a impresari vari che con la quinta elementare sono riusciti a farsi la loro posizione: oggi con la possibilità di studiare sarebbero sicuramente laureati”.
“La crisi: è da quando ho capacità di sentire che c’è la crisi. Nel 73 si andava in auto a targhe alterne la domenica. La guerra: anche quella c’è sempre stata, in qualche parte del mondo. Per colpa delle religioni o dei territori. L’uomo, di natura, vuole sempre di più e quando ha qualcosa in meno deve dare la colpa a qualcuno. Spesso il vicino. Cari ragazzi, quello che vi posso dire è di aver fiducia nel prossimo e in voi stessi. Datevi da fare e non lamentatevi, che è tempo perso. Leggo che tanti definiscono ‘loro’ i vari politici e la classe politica in generale. Ebbene per me non c’è un loro ma un noi. Loro esprimono ciò che siamo noi. Ammiro la ragazza tornata dalla Danimarca per stare nella sua terra, in Val Susa. Esempio per tutti, non è andando via che si risolvono i problemi, ma lottando per dire la propria opinione e farsi aiutare da chi ne sa di più”.
Walter Fullin
“Eppure ho studiato … era questa l’obiezione più gettonata, a 35 anni e paraggi, quando mi chiedevo come mai non ci fosse una stabilità economico-emotiva, come mai non avessi un lavoro. A volte mi sento una fallita. Ho frequentato l’università (brillantemente per 3 anni) ma non sufficientemente a lungo per conseguire la Laurea. Non ce l’ho fatta e non ci sono stati sconti nella condanna della famiglia e di tutti quelli a cui lo racconto. Si sono guardati bene dal capire motivi, ragioni, errori. Sarei stata la prima laureata in famiglia (nonni operai, genitori artisti-insegnanti). Al primo errore sono stata giudicata e buttata giù dal treno. Non ci posso riprovare, questo è certo”.
“Sono rimasta a chiedermi perché ‘la vita’ sia stata così cattiva. Ora i giorni sono tutti uguali. Se non avessi dei parenti (croce e delizia) ancora in vita, non so come andrei avanti. Sono una giovane-vecchia dentro? Ma come… di già? Il mondo non mi spaventa più di tanto perché è lontano. Vivo in un paesino dell’Appennino Toscano. La montagna appartiene a chi è arrivato prima di me (o meglio ancora a chi è cresciuto qui). Mi manca il moto della città ma fatico a prendere la decisione di andar via: anche dall’Italia. L’età non porta solo saggezza, anche stanchezza”.
lettera firmata
“Sono un boomer di stretta misura, una cinquantina di giorni più tardi sarei stato Generazione X, ancorché precoce. Sono tristemente colpito dall’evidente disagio che tracima da molte delle mail dei non-boomer riguardo alle loro prospettive e ansie. Ma vorrei anche dire che non sono state rose e fiori nemmeno per noi. Davvero abbiamo ‘vissuto il periodo migliore nella storia dell’umanità’? Abbiamo avuto le nostre guerre, più una fredda fra due soggetti che avevano più armi atomiche che abitanti; gli anni di piombo letteralmente sotto casa, genocidi, deportazioni, carestie inenarrabili e pure qualche epidemia, che l’AIDS un po’ di ansia la metteva. Il lavoro? Ho incominciato nell’editoria, pensa te, e dopo cinque minuti del primo giorno di lavoro mi sono sentito dire che il settore era in crisi (non ha più smesso di esserlo, mi era anche venuto il dubbio di essere io a portare sfiga). Quello che abbiamo trovato è quello che vi abbiamo lasciato, con l’aggiunta di un Pianeta assolutamente sovrappopolato, inquinato e preda di cambiamenti climatici che solo i mentecatti, gli opportunisti e i disonesti si ostinano a negare. Ci credo che voi ragazzi siate ansiosi. Mi sconvolge che non siate furenti con noi”.
Alessandro
“Ho 21 anni e la fortuna di studiare in università, supportato da una mamma e un papà che mi vogliono un mondo di bene e mi lasciano libero di fare le mie scelte. Forse perché sono fortunato, forse perché sono un ‘idealista’, come mi chiama mia mamma – sospetto che si possa leggere: vivo tra le nuvole – ma il mistero inestricabile è che il (mio) futuro mi entusiasma. Non vedo l’ora di vivere come fanno gli adulti, so che il mondo del lavoro e le bollette e la burocrazia e i rapporti sono un casino, ma il nodo in gola diventa energia attiva, non indifferenza. A livello teorico, credo che adottare questo approccio sia la decisione più ragionevole, poiché a meno che uno la faccia finita, il futuro è inevitabile”.
“Voglio citare Sammy Basso, scomparso pochi giorni fa, uno che sicuramente il nodo alla gola lo ha avuto più infiocchettato di me: ‘Non so il perché e il come me ne andrò da questo mondo, sicuramente in molti diranno che ho perso la mia battaglia contro la malattia. Non ascoltate! Non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare per com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio, né condanna, semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio’. Ho bisogno di persone che mi ricordino di guardare la vita in questo modo, e ho la grazia di averne avute. In alto i cuori”.
Leonardo
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Zanzare di buon livello anche questa settimana. Michele segnala, da La Verità, un titolo che fornisce una sintesi politica di strepitosa disinvoltura. A suo modo, quasi un capolavoro.
I GIUDICI TENGONO I CLANDESTINI IN ITALIA
E LORO CERCANO DI UCCIDERE I POLIZIOTTI
Rimane solo un dubbio: se i giudici abbiano come obiettivo diretto l’uccisione dei poliziotti, o sia solamente un esito funesto, ma indesiderato. Un prossimo titolo della Verità potrebbe provare a spiegarlo, ma speriamo di no.
Eccellente il refuso internazionale che Francesca ha scovato su Repubblica on line:
IL PRESIDENTE SERVO VUCIC
SENTE PUTIN IN VISTA DEL VERTICE DEI BRICS
Come potersi attendere indipendenza politica da questo Vucic?
Sul Corriere della Sera on line, poi subito corretto, un refuso consente di fare nuova luce sui rapporti interni ai Cinquestelle:
CONTE LICENZIA GRILLO
QUALCOSA SI È INCLINATO IN MODO IRREVERSIBILE
Federica non riesce più a trovare il link di una vecchia locandina del Tirreno, ma ricorda nitidamente il titolo, ennesima puntata di una antica faida di campanile:
ARRESTATO IMAM DI CAPANNORI
LA MOGLIE È PISANA
E siamo, come sempre, ai saluti. I vari siti meteo che tutti o quasi consultiamo compulsivamente, soprattutto noi uomini dei boschi e dei campi, dicono che finalmente sarà una settimana di sole anche su al Nord, ridotto a una spugna. Se la temperatura regge, si prevede un gran finale della stagione dei funghi. In attesa dei pioppini, quest’anno molto ritardatari, ho trovato grandi quantità di Tricholoma terreum, detto “moretta” dagli amici. Ma non li mangio. Li ammiro soltanto. In alto i cuori!