Un bagno di Realtà
Vedere Il principe, la docuserie su Vittorio Emanuele di Savoia, lascia inchiodati a una delle più inesorabili leggi della storia umana, in vigore da secoli e forse per i secoli: il privilegio Alfa, quello che mette in fila qualunque altra forma di diseguaglianza e di discriminazione, è quello di classe, che molto spesso è anche di nascita.
La vecchia domanda “come nasce?”, che genitori e zie facevano per capire meglio chi era il fidanzato o la fidanzata che circolava per casa, è indifferente a Costituzioni e Statuti, ideologie e rivoluzioni, fedi religiose e tessere di partito. È istintiva e contiene una specie di cinica sapienza animalesca: nasci bene e sarai bene accolto, nasci male e, per essere accettato, dovrai dimostrarti dieci volte più bravo e più forte dello stigma che grava su di te.
Il solo connotato davvero rilevante, nella vita della persona raccontata, è essere nato Savoia. Disporre di un cognome che, come si dice, “apre le porte” e probabilmente ancora mette soggezione (l’aristocrazia, teoricamente orbata dalla Storia di ogni privilegio istituzionale, è ancora circonfusa da un’aura di deferenza abbastanza inspiegabile) è il solo elemento che possa spiegare non solo lo straordinario esito giudiziario del fatto di sangue accaduto all’Isola di Cavallo, a sud della Corsica, nel 1978; ma anche i numerosi incarichi come mediatore d’affari in quanto “amico dello Scià”, con fior di aziende private e di Stato che si affidarono a questa sua titolarità molto ufficiosa come se fosse un master a Harvard. (Sui biglietti da visita, in genere, “amico della Scià” non è dicitura usuale – farebbe troppo film di Totò).
A Cavallo, dopo una breve lite tra barche attraccate a poca distanza, V.E. esplose a scopo intimidatorio due colpi di carabina, uno dei quali colpì un ragazzo tedesco, Dirk Hamer, che morì quattro mesi dopo per le conseguenze della ferita. Un omicidio probabilmente accidentale che avrebbe comunque condotto qualunque “persona comune” a una condanna. Non lui, che dopo un paio di mesi di carcere preventivo vide lentamente sfumare il rischio di tornare in prigione. Le tre puntate della docuserie di Beatrice Borromeo hanno il pregio di non giudicare, ma semplicemente raccontare. Ne esce il progressivo allentarsi dell’azione della giustizia francese, l’ostinazione senza successo della sorella della vittima, i tanti appoggi (compreso quello della loggia coperta P2) dei quali l’illustre imputato poté godere. Vale ricordare che Gino e Michele, nelle loro Formiche (prima edizione 1991), misero tra le battute comiche “la legge è uguale per tutti”.
La figura di V.E. non è di particolare spicco, nel bene come nel male, e non è dunque di lui che stiamo parlando. Stiamo parlando dell’impressionante permanenza di quel misto di arroganza e di soggezione (l’una complementare all’altra) che indirizza i rapporti sociali sostanziali, ben diversi da quelli formalmente indicati nelle leggi. Nelle leggi, dalla Rivoluzione francese in giù, malgrado le non poche retromarce reazionarie, l’uguaglianza è un dato acquisito, almeno sul piano formale. Siamo tutti cittadini, e nessuna articolazione dello Stato o della burocrazia ci distingue sulla base del livello sociale, della famiglia nella quale siamo nati, del quartiere nel quale siamo cresciuti – tanto meno dei titoli nobiliari, puro vezzo privato di chi li ostenta. Ufficialmente, in democrazia, ogni singolo individuo è depositario degli stessi diritti e degli stessi doveri.
Ma non funziona così. Per niente. E so bene che è totalmente ingenuo farlo notare – s’ode un coro levarsi: ma non lo sai come funziona il mondo? I pensieri ingenui è però utile tenerli a mente, almeno ogni tanto. Aiutano a rimettere in ordine i pensieri, i valori, le priorità. Bisognerebbe, per esempio, inserire o meglio reinserire le discriminazioni sociali nel lungo elenco di quelle oggi molto più studiate e combattute, da quelle di genere e di orientamento sessuale a quelle legate all’aspetto fisico a quelle etniche. Le differenze sociali (differenze di potere e di possibilità legate al reddito, velocità oppure lentezza di certi percorsi, accesso più o meno facile a cure, comodità, protezioni legali) sono di gran lunga ciò che divide maggiormente i destini umani. Cosa che può lasciarci indifferenti (“così funziona il mondo”) o sprofondarci nel pessimismo più nero. Oppure, nel mezzo, possiamo semplicemente averne contezza.
La lotta di classe è un concetto pesante e obsoleto, come le ricette dell’Artusi. Ma un pochetto ogni tanto non guasterebbe.
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Lo confesso, ho un passato da “negazionista climatico”, prevalentemente dovuto al mestiere satirico. Oggetto delle mie beffe, intorno agli anni ’90 e ai primi del millennio, era l’enfasi con la quale i media annunciavano “gelo siberiano” ai primi freddi novembrini e “caldo africano” ai primi sudori. I vari siti e app hanno poi peggiorato gravemente la situazione: in gara per conquistare clic, molti di loro hanno alzato i toni fino alla parodia involontaria, battezzando Caronte, Attila e prossimamente Dracula e Hitler fenomeni atmosferici del tutto ignari di avere una parte in commedia.
Poi è successo che il caldo africano (indimenticabile, per me, l’estate del 2003) è arrivato davvero, il riscaldamento del pianeta è diventato un dato scientifico acclarato, e con esso l’influenza delle attività umane sul clima. Di conseguenza sono molto più propenso di prima a non buttarla in burla, quando si parla di clima (anche se prendere per i fondelli l’enfasi dei media, qualunque sia l’argomento trattato, rimane un dovere civico).
Le ragioni di questo mio piccolo mutamento di indirizzo sono molto semplici. Direi basiche. Ho letto un po’ di articoli ben fatti e un paio di libri ben scritti. Ho cercato di ragionare sull’argomento. Ho parlato con qualche amico (Luca Mercalli, Telmo Pievani) che dedica tempo e intelligenza alla questione. Vivendo quasi sempre in mezzo alla natura, ho affinato la percezione del cielo e il contatto quotidiano con i campi e i boschi.
È stato ampiamente sufficiente ad aggiornare la mia idea sul cambiamento climatico: non solo c’è per davvero, ma è certamente influenzato dall’eccedente presenza di noi sapiens e dai nostri comportamenti. Rinnovare le proprie conoscenze, e di conseguenza le proprie opinioni, magari eliminando qualche pregiudizio, non è dunque impossibile. Anzi, in qualche caso è abbastanza semplice: basta aprire le orecchie e pulire gli occhiali. La lettera qui di seguito riprende il concetto.
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“Gentile Michele, mi permetto di chiamarla così perché la sua newsletter è una rara forma di amicizia. Una caratteristica di chi si professava di sinistra ai miei tempi era LEGGERE. Questo non aveva nulla a che vedere con la scuola o la cultura, alcuni libri dovevi leggerli per obbligo, altri li leggevi per moda, ma comunque questo esercizio del leggere, anche se imposto, obbligava tutti a una presa di coscienza del testo scritto e di alcune idee, condivisibili o meno, che ti costringevano a pensare. I cinquestelle non leggono, i nuovi Pd, ammesso che ce ne siano, neanche. In ogni caso il testo scritto e i giornali, come il cinema d’essai, sono finiti da un pezzo. Cosa potremmo fare oltre che lamentarci? Ho scoperto un gruppo di ragazzi che valorizza le aree interne dell’Appennino come missione. Mi sembrano pieni di voglia di fare, hanno idee che potremmo definire di sinistra. La delegata delle Marche, dove abito, mi ha dato uno sguardo sull’infinito, e sulla mia idea di nuove generazioni. Forse si intravede una luce il fondo al buio”.
Anna Masturzo
Cara Anna, bello quel sito, belle le facce di quei ragazzi, bellissima quella parola, “restanza”, che è un neologismo ma contiene un’energia secolare, ed è assonante con resistenza. Quanto a leggere, non disperi: il mercato dei libri regge, e conosco parecchi ragazzi che leggono. Magari non solo libri – in rete c’è molto da leggere. Vero che si legge in maniera più dispersiva, più sincopata. Ma mettere in fila le parole una per una è ancora una delle attività umane più diffuse. Forse il problema è che, per leggere meglio, bisognerebbe dare più respiro alla nostra testa, rallentare un poco e soprattutto scegliere. Invece di molte cose alla rinfusa, poche cose, e meglio. E con queste perle di saggezza (scritte e lette) vi saluto e vi ringrazio di avermi letto e di avermi scritto in tanti.