Sul treno che torna
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Sul treno che torna
Michele Serra
Martedì 18 marzo 2025

Sul treno che torna

«Avendo passato quindici giorni al centro di un’attenzione mediatica cento volte superiore al limite tollerabile da una persona normale, potete immaginare che nelle vesti di Peraltro Capopopolo, per fortuna dismesse per sempre, io abbia imparato un sacco di cose, alcune belle, alcune brutte»

Dal muro di piazza del Popolo, 15 marzo 2025 (Marcello Valeri/ZUMA Press Wire)
Dal muro di piazza del Popolo, 15 marzo 2025 (Marcello Valeri/ZUMA Press Wire)

Sul treno che torna da Roma mi rendo conto, con sollievo, che la fatica, la tensione e lo stordimento sono già alle spalle, al termine delle due settimane più insolite della mia vita. Chiacchiero con un paio di persone gentili che mi hanno riconosciuto, saluto Roberto Vecchioni e sua figlia Francesca, attivista per i diritti civili, anche loro con me sul palco di piazza del Popolo, e leggo un bel po’ di titoli di giornale sulla manifestazione del 15 marzo.
Vanno messi in una categoria a parte i titoli di Repubblica. È il giornale sul quale scrivo da più di trent’anni e ha sposato con generosità “militante” la manifestazione romana. Un coinvolgimento politico trasparente, non equivoco, che non necessita di disambiguazione: con Cipputi che sventola la bandiera europea e molti intellettuali e politici sollecitati a prendere posizione e a partecipare al dibattito sull’Europa.
Quanto a quasi tutto il resto, al grosso dell’informazione su quell’evento,
non mi sorprende che il titolo del Post, come spesso accade, sia giornalisticamente impeccabile. Mi preme dirvelo, e capirete dopo perché mi preme.

“Migliaia di persone si sono ritrovate in piazza del Popolo
per chiedere l’unità politica contro Vladimir Putin e Donald Trump”.

È una buona sintesi di quello che effettivamente è accaduto. Migliaia di persone – secondo una stima realistica (questura e comune) circa cinquantamila tra quelle in piazza e quelle tutto attorno, al Pincio e nelle strade d’accesso – si sono ritrovate lì, sventolando le bandiere blu dell’Unione Europea, proprio per la ragione che dice il titolo del Post: chiedere unità politica contro Putin e Trump.

In termini, diciamo così, di mestiere, confezionare un titolo del genere non è impossibile. Basta cercare di spiegare in pochissime parole, pur sapendo che ogni sintesi contiene il rischio dell’approssimazione, un evento pubblico e le intenzioni che lo hanno animato. Gli infiniti distinguo, le critiche politiche, le vibranti polemiche relative alla situazione internazionale, sono ovviamente più che leciti, e all’ordine del giorno. Ma, come si insegnerebbe anche nella più scalcinata scuola di giornalismo, vanno pubblicati nella sezione “commenti”, ed è sbagliato non solo ontologicamente, ma anche tecnicamente, fare un titolo di cronaca che contiene già un commento, o è proprio un commento.

Esempio: se la notizia è “Salpata da Quarto la spedizione di mille volontari garibaldini”, il titolo non può essere che quello, o qualcosa di molto simile. Eventuali varianti, tipo: “Mille idioti al seguito di un esaltato”, o “Mille eroi al cui cospetto scoppiamo in un pianto commosso”, o “Dicono di essere mille ma saranno al massimo una cinquantina”, o “Sono almeno centomila i garibaldini salpati da Quarto, ma per modestia non lo vogliono dire”, o “Sono salpati da Genova solo per fare pubblicità all’armatore Baciccia che li paga”, o “In concorrenza con i mille sono salpati da Voltri anche due fratelli filoaustriaci”, o “La nave che trasporta i mille è un modello obsoleto, non potevano affittare un piroscafo ultimo modello?”, o “Il rosso di quella divisa è un evidente messaggio per le imminenti sfilate autunno-inverno”, o “Tra i garibaldini molti preferiscono Cavour ma non hanno il coraggio di dirlo”, o “Garibaldi scatena la guerra perché è azionista di maggioranza della Cannoni e Bombe”, o “Perché dirigersi fino in Sicilia, quando la Sardegna è molto più vicina?”, o “Chi paga il gasolio della spedizione dei Mille?”, o “Garibaldi fa l’eroe per superare il complesso della statura bassa”, o “Tra i mille si notano almeno ventidue radical-chic in anticipo di centodieci anni rispetto al celebre articolo di Tom Wolfe”, o “Anita: vi racconto la mia vita con Giuseppe”, ecco: non sono titoli di cronaca. Non rispondono allo scopo di dare una notizia. E dunque mi premeva dire, proprio a voi lettori del Post, che almeno tra i titoli che ho letto quello del Post prendeva molto sul serio il compito di raccontare un fatto.

Avendo passato quindici giorni al centro di un’attenzione mediatica cento volte superiore al limite tollerabile da una persona normale, potete immaginare che nelle vesti di Peraltro Capopopolo, per fortuna dismesse per sempre, io abbia imparato un sacco di cose, alcune belle, alcune brutte. Ma tra queste cose forse la più importante, che riguarda ognuna e ognuno di noi in quanto cittadini e dunque la cosiddetta Polis nel suo complesso, è che abbiamo un problema mediatico grosso come una casa, anzi come una piazza.
Ho passato gli ultimi anni della mia vita a criticare il linguaggio dei social, la riduzione di quasi ogni questione al sistema binario “evviva” e “abbasso”, la banalizzazione di ciò che è complicato, la rinuncia al ragionamento e all’approfondimento, la sopravvalutazione delle emozioni e la sottovalutazione della ragione. Beh, non è che i media tradizionali, giornali e televisione, siano messi molto meglio. E come diceva Gaber: ti rendi conto per davvero di che cosa è l’informazione solo quando l’informazione si occupa di te.

Con le debite, importanti e utili eccezioni, l’idea che informare sia l’ultimo dei problemi mi è sembrata largamente diffusa tra gli informatori. Prevalgono la deformazione faziosa, le animosità politiche e (peggio) personali, le scaramucce e le meschinità tra testate concorrenti (i giornali più agonizzano più si odiano, i polli di Renzo al confronto erano in ammirevole sintonia), lo sguardo corto (impossibile parlare di qualcosa che non sia di stretta attualità, la scadenza della soglia d’attenzione è domani mattina), una inflessibile mancanza di curiosità per quanto non rientra nelle categorie di pronto uso, nelle frasi fatte, nei luoghi comuni.

Capita di essere inseguiti per la strada da una troupe televisiva (più di una) che ti ficca un microfono sotto il mento e pretende che tu, su due piedi, risponda alla domanda “come si ferma la guerra in Ucraina?”, e se non obbedisci sei pure uno che disprezza la libera informazione. Ti butteresti nel Tevere pur di sfuggire alla certezza che la tua faccia e le tue parole saranno usate a scopo di dileggio in talk-show feroci o in trasmissioni-spiedo nelle quali sei arruolato contro la tua volontà. Un attore, per giunta non pagato, di uno spettacolo così mediocre che non ne vorresti essere neppure spettatore.
Ho pensato con solidarietà sincera a chi fa politica come mestiere o come passione, ed è esposto vita natural durante a un giornalismo pitbull che cerca di levarti a morsi tre parole non per fare informazione (che è veramente un altro settore della vita pubblica), ma per confezionare il suo spettacolino e per riempire le sue pagine residue. In piazza del Popolo ho ripensato a Nanni Moretti non solo per il suo celebre saluto, “non perdiamoci di vista”, ma soprattutto per una battuta in Palombella rossa che ho sempre amato molto: “La vita di un uomo viene sporcata per sempre se finisce su un settimanale”. I settimanali sono quasi scomparsi, estenderei la battuta a diversi altri format.

*****

La cosa più difficile, adesso, è rispondere ai tantissimi di voi che mi hanno scritto cose gentili, amichevoli, emozionate sulla manifestazione di Roma, senza essere retorico. Ci provo. Tutte le vostre mail (le ho lette una per una) mi sono arrivate mentre mi occupavo di questioni politiche e organizzative largamente eccedenti la mia stazza politica e la mia resistenza umana. Sono state, una per una, una presenza amica, un aiuto prezioso. Mentre le grane si accumulavano, leggendovi mi sono reso conto che almeno un problema – quello più grosso – era risolto: un sacco di gente aveva capito la sola vera intenzione di quella piazza, che era sentirsi più europei per sentirsi meno in balia degli eventi. A tutti dico grazie, parafrasando Zavattini: vorrei vivere in un mondo nel quale “grazie” vuol dire grazie.

Nei titoli di coda il primo nome è quello di mia moglie Giovanna Zucconi, che ha preso a cuore la faccenda e ha speso, tutta in una volta, la sua lunga storia professionale, televisiva, radiofonica, giornalistica, editoriale. Metà delle presenze di artisti e di intellettuali su quel palco si deve a lei e alla sua capacità di stare al telefono anche per ventiquattro ore, e si deve a lei anche avere ritrovato il mio golf nei camerini del retropalco: ci si era seduto sopra Paolo Flores d’Arcais. Merita un monumento in Campidoglio Silvia Barbagallo, che da sola potrebbe organizzare il tour mondiale del Cirque du Soleil. Un abbraccio forte a Claudio Bisio, che mi ha detto “vengo!” prima ancora che gli spiegassi dove, quando e per fare che cosa; a Massimo Martelli, autore televisivo e mio compagno di tante avventure, e alla sua squadra di giovani amici. La stessa gratitudine devo a Stefano Vicario, che ha curato la regia televisiva della manifestazione, quasi quattro ore, e non è stato facile. Una menzione speciale, anzi specialissima, va a Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, che con i suoi collaboratori potrebbe partecipare al campionato mondiale dei problem solver con ottime possibilità di successo. Quando tutto è finito ci siamo detti: e adesso, che cosa organizziamo? Gli ho suggerito una manifestazione con gladiatori e leoni al Colosseo. Ma non abbiamo ancora deciso la lista di quelli da dare in pasto ai leoni.

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Il problema, adesso, è che manco da casa da parecchi giorni, e dunque non sono in grado di aggiornarvi sulla situazione ornitologica qui attorno. Ha piovuto parecchio, ma l’Appennino settentrionale è smottato e franato entro i limiti del consentito, i fiumi sembrano più tranquilli e mentre vi scrivo, lunedì mattina, c’è un bel sole. Devo anche rimettere in ordine le Zanzare Mostruose, che dalla prossima settimana, finalmente, torneranno a ronzare su questo schermo.
Ieri sera da Fazio ho incrociato il nuovo Peraltro Direttore Francesco Costa e ci siamo dati appuntamento a Peccioli. La cosa che ho pensato, parlando con lui e con sua moglie, è che sono molto, molto più giovani di me, e finalmente mi sono sentito autorizzato a sentirmi stanco e a tornare a casa. Ragazzi tocca a voi, dateci sotto, non mollate mai, che noi boomer abbiamo diritto a un poco di riposo.

Naturalmente: in alto i cuori.