L'allora ministro alla cultura Gennaro Sangiuliano in visita all’area archeologica di Civita Giuliana, nei pressi del Parco Archeologico di Pompei. Napoli, 11 giugno 2024 (ANSA/CESARE ABBATE)

Stupiteci

«Ruoli ossificati, come se niente fosse cambiato sotto il cielo dai tempi di Versailles, salvo la metratura delle stanze dove si combinano le faccende d’amore e di potere, e il calibro delle decisioni che si prendono tra le lenzuola»

Peggio lui o peggio lei? Se è capitato anche a voi di partecipare alle animate chiacchiere di fine estate sulla vicenda Sangiuliano/Boccia, invidio quelle e quelli che hanno saputo prendere posizione a favore dell’uno o dell’altra. Io sono partito da un salomonico ex aequo, “peggio tutti e due”, non sono riuscito a muovermi di un centimetro e un poco mi dispiace: stabilire un o una peggiore consentirebbe di scoprire che c’è anche un o una migliore, o comunque meno peggio.
(Avrei dovuto fare una premessa, la faccio adesso: non stiamo parlando di due persone ma delle loro figure mediatiche, dei ruoli interpretati davanti a un folto pubblico. Le persone godono, tutte, di una loro impenetrabilità, per dirla un poco all’antica hanno un’anima, e l’anima delle persone, almeno per adesso, non è un bene disponibile sul mercato mediatico. Resta rinchiusa. Non conosciamo l’anima di quei due. Ma il ruolo sì, lo abbiamo visto in scena. È di quello, dunque, che legittimamente parliamo).

La mia opinione, a sipario chiuso, è che sia il tipo di relazione a far cadere le braccia. La sua decrepitezza, la sua scontatezza. Miliardesimo remake di un film vecchio almeno tre o quattromila anni. Il maschio di potere che usa il suo ruolo per sedurre (o illudersi di sedurre) la dama ambiziosa che lo corrisponde per farsi strada in società. Non stiamo parlando di Luigi XV e della du Barry, non stiamo parlando di Versailles ma della provincia campana e della sua piccola borghesia, tutto è in scala minima, le grandi cortigiane erano colte e ingegnose, usavano l’eros come chiave per schiudere le porte del Palazzo ma una volta dentro sapevano essere artefici, o tra gli artefici, della politica e della cultura. Se du Barry avesse avuto un account Instagram, sarebbe stato in tre lingue, raffinatissimo, e fotoscioppato (ante litteram) dai più prestigiosi truccatori, parrucchieri, sarti, decoratori e tappezzieri di Francia.

Naturalmente non è lecito né generoso imputare ai nostri due coevi di non essere all’altezza di quel modello. Esiste un patriarcato kolossal, fastoso e tragico, e un patriarcato malamente emulato (il kitsch è l’emulazione fallita, diceva Tommaso Labranca). Però possiamo, questo sì, lamentare il piatto, banale conservatorismo di quei due ruoli e di quella relazione. Compreso il patetico finale, molto nazional-popolare, di lui colto sul fatto che piange e invoca la moglie, santa donna; e l’amante che, sfiorata la legittimità e ricacciata nell’illegittimità, sibila “non finisce qui”, lasciando intendere che nella sua non breve incursione a Palazzo ha aperto certi cassetti, carpito certi segreti, e dunque facciano attenzione, là dentro, a come parlano.

Ogni relazione (quasi ogni) è una prestazione di coppia, la si mette in atto in due, e dunque non è mai facile distinguere bene le responsabilità, capire chi ha voluto che cosa, e perché. Nel piccolo groviglio si possono distinguere, naturalmente, scorci differenti, che legittimano soluzioni differenti del gioco “peggio lui o peggio lei”. Lui più citrullo e dunque meno colpevole? Lui più potente e dunque più colpevole? Lei costretta dalla stratificazione secolare del potere maschile a usare l’eros come strumento di carriera? Lei ben contenta di usare l’eros come scorciatoia per la scalata in società, risparmiandosi ben altre fatiche professionali e culturali? Ogni opinione è legittima, io resto inchiodato alla mia prima impressione: è quel tipo di relazione nel suo insieme che mi sembra tristemente giudicabile. Ruoli ossificati, come se niente fosse cambiato sotto il cielo dai tempi di Versailles, salvo la metratura delle stanze dove si combinano le faccende d’amore e di potere, e il calibro delle decisioni che si prendono tra le lenzuola. Quanto all’eros, è ingiudicabile, come l’anima. Magari il Re e la du Barry, sotto quei baldacchini, combinavano poco e male, mentre nei peggiori motel si fanno faville. Rispose Mastroianni, a chi gli chiedeva come ci si sente ad avere amato dive bellissime: “ci sono sconosciuti, nel mondo, che hanno amato sconosciute bellissime, e nessuno ne sa niente”. Magnifico e definitivo.

In ogni modo, tornando ai nostri due non eroi, fossi stato il drammaturgo di questo piccolo atto unico avrei cercato disperatamente di inserire qualche variante, perché lo spettabile pubblico potesse almeno sperare in qualche inattesa novità di stagione. Un colpo di teatro. L’avanguardia che spiazza i classici. Qui di seguito alcuni esempi di possibili battute inattese, che avrebbero fatto uscire di scena l’odore di stantio, e consentito ai due attori momenti di gloria che il loro povero copione non ha previsto.

Lui: “Sì, ho un’amante. La scelta più azzeccata della mia vita. Anche mia moglie è entusiasta perché mi levo dalle scatole più spesso del solito. Non vede l’ora di conoscerla per ringraziarla”.
Lei: “Davvero lui fa il ministro? Pensavo avesse una pizzeria a Positano. In ogni modo non è un problema, pazienza se è ministro, mi sono messa con lui solo perché mi fa impazzire fisicamente”.
Lui: “Sono per l’amore libero. Credo che la famiglia tradizionale sia una camera a gas. Amatevi, toccatevi, sentitevi liberi e datevi piacere. Checché se ne dica, è molto meglio fottere che comandare. Parola di ministro”.
Lei: “L’informazione, in questo Paese, funziona malissimo. Sono stata fidanzata anche di Mattarella, ho un figlio con Draghi e una figlia con la Santanché grazie alla fecondazione eterologa. Possibile che non vi siate mai accorti di niente?”
Lui: “A letto le leggevo de Maistre e Prezzolini, ma si addormentava sempre. Non siamo mai riusciti a combinare nulla”.
Lei: “Se mi date il numero di telefono di Giuli, lo contatto subito. I ministri della Cultura sono il mio tipo d’uomo”.

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Le truffe on line, le notizie false, la manipolazione che mette a profitto quella che una volta si chiamava “credulità popolare” (e ancora così merita di chiamarsi): l’argomento della settimana scorsa ha molto coinvolto i lettori del Post, e non potrebbe essere altrimenti. Qui di seguito una selezione, molto tagliata, di alcune delle mail arrivate negli ultimi giorni. Come noterete, il pessimismo della ragione prevale largamente sull’ottimismo della volontà. Sottolineo, e faccio mia, l’efficace espressione “fatalismo tecnomagico” che compare nella prima mail.

“Mi accompagni nella mia inesorabile boomerizzazione (millennial presto sarà usato per sottolineare la mia età percepita: 1000 anni). Riguardo al problema, dico che la frase ‘questi contenuti li crea l’algoritmo’, se detta da un avvocato o un pubblico ufficiale, è molto allarmante: perché non significa niente. Ci credo, che non sia realisticamente possibile fare molto in certi casi, ma questo livello di fatalismo tecnomagico è pericolosissimo”.
Mike

“Molti articoli mettono in evidenza i rischi connessi ai social media. Nessuno di questi articoli, però, ha per conclusione quella che mi aspetto come ovvia: una condanna secca, la richiesta di decisioni drastiche e tempestive. Diversamente da quello che capita per il cambiamento climatico, con gli scienziati che tentano disperatamente di mostrare il punto di non ritorno a cui siamo arrivati e chiedono politiche immediate, ma nessuno li ascolta, sull’argomento social media gli analisti e gli esperti si limitano alla constatazione, ma non propongono alcuna soluzione. Il motivo credo sia che i social media sono la droga di quest’ultimo decennio e gli analisti e gli esperti sono drogati a loro volta. Un eroinomane potrebbe essere in grado di riconoscere che le sostanze di cui fa uso fanno male, ma è difficile aspettarsi che rifiuti una dose in più. Non sono ottimista ma credo che ci sia un mondo, fatto di boomer ma anche di giovani, che hanno deciso di ripulirsi o non hanno mai provato affatto una dose”.
Marino Landi

“Una piazza globale nella quale gettare ami, grossolani o raffinati, ma ormai troppo spesso capaci di pescare indifesi che si illudono di fare affari e, forse peggio, le cui menti semplici e poco avvezze alla critica possono essere manipolate a scopi politici. Ci fa più paura il controllo o la libertà di espressione? Sono in realtà le due facce della stessa medaglia, che è sempre nelle mani della buonafede o della malafede di qualcuno. Speriamo in un algoritmo illuminato e indipendente capace di regolare il traffico”.
Maria Antonietta Livrea

“Pur essendo del 1966 e piuttosto riservato, quindi un limitatissimo utente dei social media (solo Twitter, e quasi soltanto da lettore) giudico l’argomento di enorme importanza. I social media sono e saranno determinanti nel plasmare il pensiero di molti utenti e nell’influenzare i loro comportamenti, i loro voti e il nostro comune futuro. Le società autostradali non sono responsabili della condotta di guida degli utenti, ma il Codice della strada definisce cosa si può o non si può fare in autostrada. Mi sono chiesto: guiderei, o lascerei guidare le persone a me care, su strade senza regole? Probabilmente, preferibilmente no. Il punto, minatissimo, non è tanto la presenza o meno di regole per praticare le strade dei social media, ma la possibilità di definirle. Esiste ‘un metro’? Dove inizierebbe la potenziale evocata censura?”
“Probabilmente il controllo su situazioni limite si potrebbe fare: bloccare i fake, gli utilizzi delittuosi conclamati, ma anche con un controllo così limitato non si avrebbe ‘un metro’ universale. Chiunque sia di buon senso condanna la violenza, ma in certi paesi la legge prevede la condanna alle frustate e le sentenze sono riprese e diffuse via web. Abbiamo su scala globale (la scala dei social media) concetti di giusto/ingiusto incredibilmente diversi e certe prospettive inumane, selvagge e aberranti sono accettate da milioni di persone. Tornando quindi alla domanda, guiderei o lascerei guidare le persone a me care su queste strade ove è così arduo addirittura definire cosa è giusto e cosa non lo è, la risposta è che mai avrei pensato – da amante e difensore della libertà di espressione – di trovarmi così vicino alle posizioni di un rigidissimo giudice brasiliano…”.
Luca Beltritti

“Qualche tempo fa segnalai a Facebook un post in cui uno dei personaggi da te nominati, non ricordo se Fazio o qualcun altro, reclamizzava prodotti finanziari improbabili, con la voce chiaramente contraffatta da A.I. Pochi giorni dopo FB mi risponde dicendo che per loro il post non violava le loro regole”.
Fabrizio Bigi

A proposito di sostituzioni di persona, un lettore racconta un episodio che definirei consolante: anche prima dei social, l’errore era sempre in agguato. Non lamentiamoci troppo, il mondo è da sempre un posto difficile…

“Risaliamo ai primi anni Novanta. ‘Cuore’ è ai suoi massimi, e io sono un suo fervente e devoto lettore. Un bel giorno nella mia città vedo una locandina in cui si annuncia una conferenza di Michele Serra presso un prestigioso studentato gesuita, noto per la sua attività culturale, vivace e non necessariamente confessionale. Con la mia futura moglie, un carissimo amico e sua moglie ci organizziamo per tempo: prevedendo una folla incontenibile arriviamo con una buona oretta di anticipo. E non avevamo visto male: la sala era già molto affollata. Molti restano fuori. Finalmente entrano gli organizzatori e il relatore. Un paio di preti e un laico: lo guardiamo bene. Non corrisponde: anche sforzandosi, non assomigliava a lei neanche un po’. In sala si alza un brusio diffuso, ma dal palco fanno finta di niente. Presentano il relatore: Michele Serra, docente di comunicazione (o simile) all’Università di Venezia. Esclamazioni diffuse di sorpresa e disappunto si sostituiscono al brusio! Con un rumore di fondo che non cessa comincia la conferenza. Il tema è quanto è brutta e cattiva la televisione. Michele Serra lo dimostra con spezzoni di ‘Non è la Rai’ e simili. Durante i filmati in sala cala il buio, e molti ne approfittano per svignarsela. A un certo punto una intera fila sbaglia i tempi, e al ritorno della luce vengono sorpresi tutti in piedi, in attesa di guadagnare il corridoio centrale. Dal palco hanno continuato a ignorare la cosa. Molto gesuitico, direi. Comunque, è stato divertentissimo”.
Dario Canzian

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La mia antica passione per i nomi anglo-maccheronici dei leghisti aveva trovato poche settimane fa nuova linfa grazie a Morris Ceron e Derek Donadini, due esponenti del Carroccio tirati in ballo dalle cronache giudiziarie veneziane. Avevo anche sciorinato, da mie vecchie satire, un lungo elenco di leghisti immaginari, tipo Jordan Pitoni e Laren Braghin. Ora la collezione si allunga grazie a questa preziosa mail.

“Leggendo la Repubblica mi è saltato all’occhio il nome del nuovo responsabile per il Nord-Est dell’ipotetico partito di Vannacci: Lewis Trevisan. Lo ammetta, è stato lei a inserire quello che nel linguaggio dei nerd si chiama ‘uovo di Pasqua’. Tengo comunque a dire che Lewis o Luigi, l’unica cosa che conta davvero per me è che lo si pronunci correttamente Trevisàn, e non Trèvisan”.
Marco Fiemozzi

Lo giuro, non sono stato io. Lewis Trevisan esiste veramente, e gli diamo un caloroso benvenuto nell’elenco, lunghissimo, dell’onomastica leghista. Invito i lettori a collaborare. Cercate bene, e troverete sicuramente, tra i leghisti delle vostre parti, una Suellen Chinellato o un Gionson Fumagalli.

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Impossibile non cominciare le Zanzare di questa settimana con questa segnalazione di Anna Roberta, tratta dall’account Instagram della celebrity del momento, Maria Rosaria Boccia:

#MEDITERRANEO: SUONI DIVERSI
PER UN UN’OCA MELODIA
SCAMBIO CULTURALE TRA ITALIA E TUNISIA

Capita, nella fretta, di digitare “un’oca” al posto di “unica”. Non sappiamo se e quando l’errore sarà corretto. Di positivo c’è da dire che, trattandosi di uno scambio culturale, testimonia l’impegno della signora presso il relativo ministero.

La situazione sempre più precaria della sanità pubblica viene confermata da questo titolo della Provincia di Como, segnalato da Enrico.

ERBA: L’OSPEDALE INVESTE
DODICI NUOVI MEDICI

Anche il pericolo jihadista non scherza. E si ingegna di trovare sempre nuove armi, come certifica questo titolo della Stampa inviato da Aldo:

MONACO, SPARA CON UNA BAIONETTA
VICINO AL CONSOLATO ISRAELIANO

La situazione, come tutte le settimane, è dunque molto grave, e del resto ci si domanda quando mai non lo sia stata. Faccio mia una citazione (di seconda mano, la prima è quella del Peraltro Direttore) di Giovanni Lindo Ferretti: “Certo le circostanze non sono favorevoli, e quando mai”. Ma questo non ci impedisce di tenere, come sempre, in alto i cuori. Una pioggia abbondante, mentre scrivo, sta dando ulteriore ragione di sperare nel terzo raccolto di erba medica, dopo anni di pesante siccità nei quali già farne uno soltanto era consolante. Dunque, vedete: qualcosa che migliora c’è sempre. Basta tenerne conto, e non farsi troppo spaventare da tutto il resto.

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