Ridere, delle follie del mondo
Una newsletter di
Ridere, delle follie del mondo
Michele Serra
Martedì 6 agosto 2024

Ridere, delle follie del mondo

«Che si può fare di utile e di intelligente, se non, come si dice nei peggiori bar del nostro paese, pigliarli per il culo? È la via migliore, tra l’altro, per non guastarsi l’umore»

Un comizio di Donald Trump il 3 agosto ad Atlanta, Georgia (Joe Raedle/Getty Images)
Un comizio di Donald Trump il 3 agosto ad Atlanta, Georgia (Joe Raedle/Getty Images)

Uno degli argomenti di questa newsletter fu: come si parla con i complottisti, i negazionisti, i fanatici, quelli che bypassano la realtà quando la realtà non rientra nelle loro comodità? Esiste un varco, un codice di accesso? O è più saggio “lasciarli cuocere nel loro brodo”, come recita il detto popolare, nell’attesa speranzosa di una sorta di guarigione spontanea?

Mi colpì la quantità e la qualità delle mail dei lettori – alcuni affranti, altri serenamente rassegnati – che avevano dovuto sperimentare l’inanità dell’impresa, sovente avendo di fronte persone care. Non è solo una questione politica, dunque. È spesso una questione privata. Anche dolorosa. E le molte testimonianze personali mi fecero intendere come il rifiuto della realtà (non della “verità”, che è una lettura culturale dei dati di fatto; della realtà, che è l’insieme dei dati di fatto) sia probabilmente assai più diffuso di quanto temiamo. Non un fenomeno di ristrette cerchie di stravaganti o di fanatici. Un fenomeno (quasi?) di massa.

Ora capita che nella campagna elettorale americana si faccia strada un dilemma che, in forma allargata e più tipicamente politica, è parente di quello appena enunciato. Come avrete letto anche sul Post, uno dei più ascoltati commentatori del New York Times, Thomas Friedman, giorni fa ha appassionatamente rimproverato l’entourage di Kamala Harris perché troppo spesso adopera l’aggettivo weird (strambo, bizzarro) per definire le persone e le posizioni politiche della destra trumpista. Secondo Friedman questo genere di dileggio è terribilmente controproducente, perché confermerebbe nel proletariato bianco, che vota in maggioranza per Trump e odia le élites democratiche, l’idea che queste ultime abbiano un complesso di superiorità nei confronti di chi non vive e non pensa alla loro maniera. Verrebbe da dire, un “complesso di normalità”: noi democratici siamo quelli normali, conosciamo i valori della convivenza, rispettiamo i diritti delle persone, sappiamo come stare in società. Voi siete strambi perché deviate dal buon costume democratico. E l’epiteto di “strambo”, affibbiato ai malpensanti, rischia di assumere una sfumatura benpensante, e perbenista.

La prima osservazione che mi viene in mente (anzi: la primissima, e anche quella determinante) è che questo genere di scrupolo è tipicamente, squisitamente “di sinistra”. Quasi “woke”, direbbero a destra, per il suo eccessivo farsi carico della suscettibilità altrui. Nel caso in questione, la suscettibilità dell’elettorato di destra. Non credo che gli animosi opinionisti della nuova destra americana (o da noi, per tentare un parallelo, un Vannacci, un Salvini, un Belpietro, un conduttore-agitatore televisivo su Retequattro) si siano mai domandati se per caso le loro parole possano risultare offensive, o mortificanti, o escludenti per gli elettori democratici o per chicchessia. È più probabile, al contrario, che le loro parole siano sovraccariche di violenza polemica, e di approssimazione dialettica, non solo perché essere grevi può essere una vocazione, ma anche per rimarcare la differenza con il fighettismo intellettuale e tutte le ubbie etiche che allignano a sinistra. Che qualcuno, sul fronte avverso, possa sentirsi offeso, per loro non è un deterrente – semmai un valore aggiunto.

Insomma negli ultimi anni, quanto a ricerca di fair play verbale, non c’è molta reciprocità tra i due campi, e questo sbilancia non poco la contesa, non solo negli Stati Uniti. Perché il confronto rischia di essere tra un contendente che sente di avere le mani libere, la destra sostenitrice del linguaggio schietto, del “parla come mangi”, e mena sberle allegramente; e l’altro contendente che ha il costante timore di essere scorretto, o sprezzante, e concepisce per l’elettorato avverso – vedi la column di Friedman – quel rispetto formale che sarebbe comunque e sempre buona regola mantenere. Non fosse che non viene ricambiato.

Il sarcasmo, l’ironia, la satira, stanno all’insulto come il fioretto sta alla clava e la cerbottana al bazooka. Dire che Harris è “una cretina” (Trump l’altro ieri) o “una
gattara dalla vita inutile” (lo fece il vice di Trump, Vance, pochi anni fa, riferito al fatto che Harris non ha avuto figli in proprio) è decisamente più violento e offensivo che definire “strambi” alcuni dei propositi politici e dei tic culturali della nuova destra.
Un creazionista che vuole bandire i testi di Darwin dalle scuole, perché la Terra è stata creata da Dio, tutta insieme e così com’è, circa settemila anni fa, compresi i fossili di milioni di anni fa; un presidente americano uscente che perde le elezioni, ma non contemplando la sconfitta tra gli eventi plausibili la attribuisce a brogli inesistenti, e insiste nel farlo anche quando i suoi fan assaltano il parlamento; le associazioni di genitori tradizionalisti che vogliono purgare le biblioteche dai testi “licenziosi” o “contrari alla morale”, con elenchi terrificanti che vanno da Lolita, e si arriva a capire il movente censorio, fino a Maus di Spiegelman; e propongono di esporre i dieci comandamenti nelle scuole: perché non deve essere lecito definire “strambe” le loro pretese, pur sapendo bene che non sono solo strambe, sono anche censorie, bigotte, sopraffattrici, aggressive, pericolose?

Beninteso: un certo grado di “stramberia” è in dotazione a quasi ogni corrente di pensiero, opinione politica, comportamento sociale. È comprensibile, per fare un esempio di grande attualità, che l’attenzione spasmodica ai diritti delle minoranze e alle offese anche pregresse, con tutte le ricadute in materia di “cancel culture” e di nuova pruderie espressiva, possano apparire “strambe” a una parte rilevante dell’opinione pubblica, e non solo di destra. Può risultare stramba e irritante, sicuramente, anche l’elezione all’europarlamento (con una valanga di voti) dell’antifascista attiva Ilaria Salis, indigeribile per vasti settori conservatori, non solo per la destra radicale. Strambe furono, ai loro tempi, le candidature di Cicciolina e di Toni Negri, molto stramba dovette sembrare, a tanta brava gente, la legge Basaglia che chiuse i manicomi e aprì le porte della vita ai “matti”, strambo, per il cosiddetto uomo della strada, può risultare l’antiproibizionismo in quanto tale, per la serie “dove andremo a finire se tutto diventa lecito” (che fa il paio con l’ormai proverbiale: “non si può più dire niente”).

Tutto è relativo, si sa. Compreso il tasso di stramberia che ognuno stabilisce per gli altri. Ma se le regole di ingaggio sono saltate da tempo, allora sono saltate per tutti, e non si può frequentare un saloon con i modi e i toni di un professore di Harvard. E così, per stare alla cronaca recente, quando quella che i francesi definiscono la “fasciosfera” accusa di sodomia i Giochi olimpici di Parigi, e Donald Trump definisce “quell’uomo” la pugile algerina androgina, ma classificata donna dalle regole olimpiche e anche dalla scienza: che si può fare di utile e di intelligente, se non, come si dice nei peggiori bar del nostro paese, pigliarli per il culo? È la via migliore, tra l’altro, per non guastarsi l’umore.

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L’argomento “internet” (come e perché la rete ha cambiato, nel bene e nel male, le nostre vite e la nostra epoca) è ovviamente sterminato, ma non bisogna lasciarsi intimidire dagli argomenti sterminati. La mail di Giulio, nello scorso Ok Boomer!, ha trovato immediata corrispondenza in quella che mi manda Barbara. Eccola.

“Che strano avere questo immediato senso di comunione con Giulio, nato nel ’92, quando io sono del ‘53, nata in una famiglia di ‘aristocrazia operaia’, socialista già all’inizio del secolo scorso, poi comunista, e colta quanto può essere colta gente con la seconda elementare come i miei nonni paterni (straordinario per l’epoca: entrambi erano andati a scuola mentre le coetanee e amiche di mia nonna erano tutte analfabete), un padre diventato geometra alle scuole serali a cavallo della guerra. Ma tutti che leggevano e tutti che ‘erano informati’ e mi avevano permesso di nascere in una casa già piena di libri. Poi certo anche per pigrizia mentale e per scelte giovanili poco avvedute sono rimasta a vivere in una provincia tanto profonda quanto può esserlo in luoghi di tradizione di sinistra, ma poco incline a qualsiasi novità e scatto di ricerca del futuro (e se sembra di leggere Liguria, è perché lo era).
Poi improvvisamente, e non così naturalmente come per Giulio, ma facendo il mio scatto verso il futuro a 43 anni suonati – era il 1996 – ho comprato un computer che sapevo solo accendere, ho attaccato il piccolo modem 14,4k col suo misterioso handshaking che ci ho messo quasi una settimana per capire come connettere e… mi sono presa una cotta, per mia eterna fortuna. Mi sono innamorata prima del mezzo e poi del luogo, internet, che allora era solo pieno di parole, praticamente niente immagini, e pieno di persone in cerca di altre persone e di mondi lontani, diversi e sconosciuti l’un l’altro. E così a metà di una vita già piena di scontento, già segnata da scelte non felici e da incontri non gratificanti, improvvisamente come Giulio ho incontrato il mondo, mi ci sono tuffata e non ho mai più guardato indietro. Certo, quell’Internet delle origini era anche piena di promesse che non si sono realizzate nel modo giusto, ma quella è colpa nostra, no? Mica del mezzo. In quale altra epoca una donna ormai di mezza età avrebbe potuto incontrare il mondo da casa propria e farsene cambiare in meglio il futuro, se avesse voluto? In quale altra epoca se non quel primo periodo di innocenza totale una persona come me, senza qualità o storia o cultura particolari, avrebbe potuto conoscere e conversare, sia pure virtualmente, con tante altre persone interessanti, capaci, sagge e persino a volte utili al mondo? Se potessi abbraccerei Giulio, intanto saluto te con l’affetto dei molti anni da cui ti leggo”.
Barbara Melotti

Se il dibattito sulla rete non è chiudibile, approfitto invece di un’altra mail per chiudere definitivamente, e secondo me brillantemente, la polemica su Malpensa e sulla sua intitolazione.
“Per la prima volta in assoluto (e non è irrilevante: provare ‘prime volte’ a 66 anni non è scontato) mi sono trovata d’accordo con una proposta di Salvini. Una delle cose che più odio al mondo è l’aeroporto di Malpensa, che ho frequentato e frequento in momenti felici (partenza per viaggi, ritorno figli ecc.) e che tutte le volte maledico perché lontanissimo (due ore e mezza da casa mia contro l’ora e venti di Linate), scomodo, appollaiato alla fine di una strada interminabile. Per anni ho maledetto i leghisti e le loro clientele che hanno scelto di mettere l’aeroporto internazionale di Milano a Varese (da un paio d’anni ho anche dovuto sospendere le maledizioni, dopo la morte prematura di Roberto Maroni). Le ultime imprecazioni sono recenti: partenza per le Faroe ore 7,05 da Malpensa, sveglia ore 3 del mattino a Sanguigna. Intitolare l’aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi? Beh, perfetto, utile sintesi tra le cose che odio di più al mondo”
Silvia Guidi (Colorno, Parma)

Piccola parentesi tecnica: sono sempre incerto se firmare le vostre mail con nome e cognome o solo con il nome. Credo di averlo fatto, fin qui, senza un criterio preciso. Ora avrei deciso così: vale la firma che voi stessi scegliete. Se firmate con nome e cognome, pubblico entrambi. Se preferite solo il nome, firmate solo con il nome. Valgono anche gli pseudonimi, tipo Ezechiele Lupo o Brigitte Bardot. Grazie.

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Nonostante la canicola, le Zanzare Mostruose latitano (a differenza di quelle vere). Ma le due di turno, questa settimana, valgono parecchio. Segnala Luca un titolo da Repubblica.it che è stato assai notato sui social network.

OPUS DAY, LE ACCUSE DEGLI EX MEMBRI:
“RECLUTANO E MANIPOLANO BAMBINI FRAGILI”

Sono quei momenti (pochi) nei quali capisco monsignor Lefebvre: la scristianizzazione viaggia di pari passo con la morte del latino. Se l’Opus Dei (opera di Dio) diventa Opus Day (il giorno di Opus, ma Opus chi? Il mitico pinguino di Berkeley Breathed, che fu tra i miei fumetti preferiti, quasi più di Doonesbury?) dove andremo a finire?

Affascinante anche la locandina di Luna nuova segnalata da Ugo

ALTA FELICITA’ DA RECORD
MARCIA E SCONTRI MENTRE I COSTI LIEVITANO

Detto che Alta Felicità è un festival estivo dalle parti di Bardonecchia, gli scontri sono avvenuti durante la marcia? E a causa della lievitazione dei costi?

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Bene, siamo ai saluti. Se potete, evitate gli ingorghi e i luoghi troppo affollati. La movida a Gallipoli o a Ibiza, date retta, non fa per voi. Agosto è il classico mese nel quale conta soprattutto sopravvivere. Immagino che il peraltro direttore lo trascorra da sapiente fuggiasco, andando a Belfast per un concerto dei Breaking Pills, o a Dortmund per la reunion dei Mustafà Connection. Non cercateli on line, sono nomi inventati, sapete, io da giovane facevo l’autore di satira.
Io, se tutto va bene, vado a trovare mio nipote in Liguria per un paio di giorni, poi a trovare un amico in montagna, e a Ferragosto sarò già a casa, con pochi amici. Ma non ditelo a nessuno. In alto i cuori, sempre e comunque. E sempre viva Parigi, olimpica e non.