Per un buon uso della pigrizia
Una newsletter di
Per un buon uso della pigrizia
Michele Serra
Martedì 26 novembre 2024

Per un buon uso della pigrizia

«La semplificazione è un falso, nonché la madre di tutti i falsi. Questo non significa che non ci si debba battere come leoni per il rispetto delle parole e dei fatti che le parole cercano di descrivere. Bisogna però concentrare gli sforzi sul proprio lavoro e la propria vita, proteggendo l’uno e l’altra»

Pigro. Credo dipenda soprattutto dalla mia pigrizia il fatto che io non abbia mai querelato nessuno. (Viceversa, quattro o cinque querele me le sono prese, ma sempre e solo per articoli di satira, mai per quello che ho scritto “sul serio”. L’insulto non ha mai fatto parte del mio repertorio polemico; il dileggio sì, per me è una irresistibile forma di ingaggio fin da bambino).

Mi piacerebbe poter spiegare questa mia renitenza alla querela con la nobiltà d’animo, tipo “non è bello litigare per le sciocchezze, con tutti i conflitti gravi che ci sono al mondo”. Oppure con la pur legittima repulsione a incrociare le lame con certi energumeni, “io con quel ceffo non voglio averci a che fare”. No, è stata pura pigrizia: l’idea delle scartoffie da firmare, dei colloqui con l’avvocato, degli screenshot da reperire come prova del reato (quasi sempre: oltraggio, diffamazione, onore disonorato, quelle cose lì) e poi dopo anni, e all’ultimo grano di un interminabile rosario di scartoffie, rischiare di incontrare in tribunale il tizio che ti ha insultato, quando hai già dimenticato e l’insulto e il tizio. Perché poi questo avviene: sulle prime ti offendi e ti indigni, poi (molto in fretta, e sempre più in fretta mano a mano che l’età avanza) capisci che non ne vale la pena. Ormai mi basta lavorare per un paio d’ore all’aperto (questa è la stagione in cui si fa legna) o camminare nel bosco con i cani, o quattro chiacchiere nella piazza del paese, e l’articoletto offensivo diventa appena un dettaglio, foglie morte che il fiume della vita trascina via in un istante.
Infine: dimentichi. Mi è capitato di salutare cordialmente persone che erano state orribilmente scorrette con me: avevo completamente dimenticato la circostanza. L’oblio è una componente decisiva della salute mentale.

Però questa settimana un vecchio amico, la cui opinione per me ha un suo peso, ha messo in crisi il mio atteggiamento a-giudiziario. Mi ha rimproverato per non avere querelato un quotidiano romano (di qui in poi non faccio nomi: fa parte del mio atteggiamento renitente, forse addirittura omertoso) che mi ha messo in bocca, tra virgolette, parole mai pronunciate, parole rozze e grevi, scatenando contro di me il tipico codazzo di urla e offese definito in genere “shitstorm”. Se si lascia passare l’idea che il falso sia lecito – mi ha detto l’amico – è la fine del dibattito pubblico. Bisogna lottare con ogni mezzo, compreso il tribunale.

Ci ho pensato. Credo che in termini assoluti il mio amico abbia ragione. Non bisognerebbe concedere l’impunità a chi usa carte false e avvelena i pozzi. Bisognerebbe tutelare la realtà (che, lo dico sempre, è tutt’altra cosa della verità: le verità possono essere diverse, la realtà è una sola). Per giunta considero il falso più grave, e soprattutto molto più vile, dell’insulto. L’insulto è sempre sbagliato, ma è uno sbocco emotivo comprensibile. Non ammissibile, ma comprensibile. Il falso è una frode a mente fredda, e falsificare le parole di chi vive di parole è un’azione spregevole, specie se commessa allo scopo di dare in pasto ai propri lettori, già predisposti, il nemico da linciare, con nome, cognome e fotografia. Dunque sì: avrei dovuto querelare. Ma non lo farò, e credo sia utile, al di là del mio piccolo caso personale (foglie morte, il fiume le ha già trascinate via), spiegare perché.

Ho la netta impressione che la battaglia in favore della realtà – una sola, e uguale per tutti – sia perduta. Quanto meno: sia perduta nella sola vera comunicazione mainstream, che è quella dei social. La percezione dei fatti, e tanto più la complicata interrelazione tra i fatti, richiedono una pazienza, oserei dire un’umiltà, non compatibile con le modalità prevalenti nella formicolante circolazione di parole e idee in forma sminuzzata che ha invaso la Terra. L’egemonia culturale non è della destra e nemmeno della sinistra, è della fretta, dell’emotività, della superficialità, dell’esigenza di rifugiarsi con la minore fatica possibile dentro l’opinione più semplice possibile. È, lo ripeto, dei social, e momentaneamente di quei media tradizionali che, con incoscienza suicida, tendono a imitarne il linguaggio, con poche e preziose eccezioni, e a causa di questa emulazione fallita moriranno. E dunque l’egemonia culturale appartiene ai semplificatori, e di rimbalzo alla destra populista che cavalca la semplificazione perché è la sola cavalcatura con la quale abbia familiarità.

Se, come credo sia, la realtà è complicata, la semplificazione è già di per sé una contraffazione. La semplificazione è un falso, nonché la madre di tutti i falsi. Questo non significa che non ci si debba battere come leoni per il rispetto delle parole e dei fatti che le parole cercano di descrivere. Bisogna però concentrare gli sforzi sul proprio lavoro e la propria vita, proteggendo l’uno e l’altra. E bisogna, ahimé, avere coscienza del fatto che ci si rivolge a una minoranza. Che si è una minoranza. Istruita, influente, attiva, solvente (disposta a pagare per leggere cose sensate), ma una minoranza. Non per spirito minoritario (a me piacerebbe un sacco essere maggioranza), ma per realismo, si deve prenderne atto.

Ed ecco che la mia pigrizia di cui sopra trova una sua giustificazione “tecnica”, forse addirittura politica. Querelare qualcuno vuol dire concedere a quel qualcuno parte del proprio tempo e delle proprie energie. E il tempo è poco, le energie sono limitate: meglio spendere tempo ed energie per leggere, vivere, scrivere le proprie cose, parlare con le persone che hanno qualcosa da insegnarti, socializzare cercando di costruire luoghi bonificati dal virus della semplificazione (il Post lo è, questa newsletter cerca di esserlo). E nei momenti liberi, naturalmente, fare legna, o la corrispettiva attività ricreativa. Ognuno ha la sua. È un tempo, questo, in cui si devono proteggere le cose belle, e cercare di lasciar scorrere via quelle brutte. Quasi tutto passa. Quello che rimarrà dipende anche da ciascuno di noi.

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Un segno eloquente, perfino doloroso, di quanto la Polis (termine pateticamente nobile se riferito all’attuale scenario politico americano) sia ammorbata dalla semplificazione e dalla radicalizzazione, l’ho trovato nella lunga intervista, su Repubblica, di Antonello Guerrera a John Grisham. “Mai parlare di politica in questo Paese, oggigiorno. È diventato tutto così tossico, sempre sull’orlo della violenza. Mai visto niente del genere. Trump o lo ami, o lo odi. Non c’è una via di mezzo. Il Paese è dilaniato. Così come la mia famiglia e molte altre. Questa è la cosa terribile inflitta da Trump a tutti noi”.

Per riequilibrare almeno un poco l’amarezza di Grisham, che ha rotto i rapporti con due dei suoi fratelli, trumpiani, aggiungo che nel mezzo della tempesta c’è pur sempre, inamovibile, rassicurante, il lato comico, che restituisce un poco di buonumore. Mi segnalano i miei agenti in rete che c’è un blogger, tutto Dio Patria e Famiglia, furibondo con me perché ho preso per i fondelli Elon Musk (cosa che faccio da parecchi anni: Lapo Elkann e Elon Musk, fino a che ho tenuto aperta la mia bottega satirica sull’Espresso, sono stati miei punti di riferimento inamovibili). In un post violentissimo, così gonfio di rabbia che si teme il colpo apoplettico dello scrivente, si rifà al trito ritornello della gauche caviar che disprezza il popolo, che vive arroccata nei suoi privilegi, che non ha idea di come viva la gente comune e blablabla. Ha un nome che mi risulta familiare, questo tribuno del popolo. Ci penso sopra un attimo e mi viene in mente: è l’inquilino di una mia cugina romana, e vive da molti anni, beato lui, in un superattico in largo di Torre Argentina. L’umanità è molto strana. Però anche molto divertente.

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In onore di Elon Musk e del severo blogger che non vuole che io parli di Elon Musk, e spero anche per vostro divertimento, segue qui sotto una mia Satira Preventiva del ’21 su Elon Musk (ne ho scritte, così a naso, decine). Quando lui non era ancora sceso in campo ma io sì, già da un bel pezzo.

“L’esodo dell’umanità su Marte, annunciato da Elon Musk, rimanda alla tradizione biblica. Già il profeta Josaphar previde “il grande volo degli uomini oltre le montagne di Bahel”, e “il grande schianto in fondo alla Valle del Betsàr”. Secondo alcuni biblisti, il fatto che non esistano né i monti di Bahel né la valle del Betsàr è la prova certa che il profeta Josaphar alludeva a un altro pianeta: dunque sicuramente a Marte, come sostiene Etan Task, anch’egli biblista e cognato di Elon Musk.

I preparativi – Fervono i preparativi. Per ora prenotare un biglietto per Marte costa intorno al miliardo e mezzo di dollari, sola andata, ma entro pochi anni Musk conta di varare voli low cost a circa mezzo miliardo, con solo bagaglio a mano, tuta spaziale a carico del passeggero e scalo di sei mesi sull’asteroide Sifone, ricco di ossigeno ma povero di macchinette automatiche per il caffè e le bibite.
La polemica – “Costosissimo, tecnologicamente avventato, dall’esito incerto”: il tweet dello scienziato John Herpert, considerato il massimo esperto mondiale di voli interplanetari, ha sollevato un putiferio, costringendo lo stesso Musk a intervenire per controbattere. Ma in un secondo tweet Herpert ha chiarito che si riferiva all’abbonamento a Dazn, e l’incidente è rientrato.
L’astronave – Ma come saranno le astronavi che ci porteranno tutti su Marte? Le illazioni, alimentate dall’imprevedibile genialità di Musk, si sprecano. C’è chi ipotizza vere e proprie città volanti, in grado di trasportare un milione di persone per volta, stipate come galline in cabine anguste, rimpinzate di cibo e stordite dagli animatori per tenerle buone. Ma Musk non risulta socio di compagnie di navi da crociera. La strada opposta è quella di mini astronavi monoposto: il modello gonfiabile è già stato visto in prova e se non incontra meteoriti aguzzi pare riesca ad arrivare almeno a metà strada prima di sgonfiarsi.

La fusione – Altre fonti, molto vicine a Musk, lasciano intendere che quest’uomo formidabile intenderebbe trasformare l’intero pianeta Terra in astronave, applicando potentissimi razzi all’Equatore. In pochi mesi la Terra, senza scomodare nemmeno uno dei suoi abitanti, arriverebbe a pochi chilometri da Marte e i due pianeti sarebbero oggetto di una vera e propria fusione: con un pratico sistema di cavi e carrucole l’intera civiltà umana potrebbe essere trasferita sul pianeta rosso. In caso di un malaugurato impatto tra i due pianeti, si rovinerebbe solo uno dei due emisferi terrestri e l’altro resterebbe intatto. Sono in corso trattative segrete tra i diversi Stati per stabilire chi deve sopravvivere e chi scomparire. La discussione appare molto tesa e non si esclude di ricorrere al sorteggio.
Su Marte – In assenza di servizi igienici, gli ambientalisti temono che i crateri di Marte diventerebbero in breve tempo enormi cessi a cielo aperto. Ma Musk assicura che i suoi polverizzatori di escrementi risolveranno il problema già all’arrivo dei primi coloni, che devono però avere l’avvertenza di posizionare il sedere almeno a venti centimetri dal polverizzatore. Ovviamente, tutto sarà governato dall’intelligenza artificiale: dalla coltivazione degli ortaggi nelle campane di vetro all’allevamento del bestiame sottovuoto, dall’architettura iper-razionalista senza finestre e senza porte (non si entra e non si esce, si morirebbe subito asfissiati) agli stadi a due posti per assistere alle partite di ramino marziano (i semi sono solo tre, per alleggerire i mazzi di carte e renderli più trasportabili nei voli galattici).
L’opposizione – Si sta già diffondendo a macchia d’olio il movimento noMars, contrario all’obbligo della fuga di massa su quel pianeta affascinante, ma privo di qualunque comfort. Musk parrebbe comunque disposto a non irrigidirsi sull’obbligo: chi vuole potrà rimanere quaggiù, nelle retrovie, con il compito, nobilissimo, di custodire le vestigia della fu civiltà terrestre. Lo prevedeva anche il profeta Giuele: “Qualcuno resterà, e come dargli torto”.

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Finalmente una buona notizia. La mia riflessione della settimana scorsa (“le ragazze di via Toledo sono tutte uguali”) ha sollevato un vero e proprio tumulto di mail contrarie. Con poche eccezioni. È confortante dover prendere atto che sono stato troppo pessimista, fuorviato dal mio sguardo, in questo caso davvero troppo boomer. Le ragazze di via Toledo, e anche di altre vie, secondo la maggioranza dei miei lettori sono tutt’altro che uguali.

“Sono Gabriele, diciottenne, non sono una ragazza ma l’ottanta per cento delle mie amicizie sono con ragazze grossomodo della mia età. Nella mia esperienza, seppur limitata, io non vedo per nulla tutto questo desiderio di omologazione: al contrario noto delle individualità che cercano tutti i canali di espressione possibili. Forse sono fortunato e vivo in una bolla di non-conformismo. Il problema che vedo è la pressione sociale che schiaccia tante delle mie amiche, spesso si sentono inadeguate rispetto a uno standard di bellezza e di performatività femminile molto elevato. Più che il conformismo, mi preoccupa la bassa autostima, fin troppo diffusa tra i giovani e soprattutto le giovani”.
Gabriele

“La mia personale percezione (aneddotica e quindi sicuramente non statistica) è leggermente diversa dalla sua. Ho 28 anni, ho fatto il liceo fra il 2010 e il 2015 e se penso soprattutto ai miei primi anni di scuola superiore, beh allora sì che eravamo tutti omologati in due, tre modelli al massimo. Valevano sia per le ragazze che per i ragazzi: quelli alla moda con jeans aderentissimi, Converse, i due tre marchi di quello che oggi chiamiamo fast fashion (allora ci sembrava solo liberazione, soprattutto per noi in provincia, e possibilità di comprare TANTI vestiti facilmente). Poi c’erano gli emo. E poi quelli che non erano uguali, ovviamente ‘sfigati’. Se guardo alle foto di quegli anni siamo veramente (quasi) tutti uguali. Negli ultimi 9 anni ho fatto il capo scout, ho visto tanti ragazzi fra i 14 e i 20 anni e in realtà un po’ li invidio: è vero che ci sono dei modelli standard, e chi li segue è una fotocopia dell’altro. Però ci sono molti più modelli. Sì, ci sono le ragazze in top crop, capelli piastrati e molto trucco. Ma ci sono anche quelle vestite oversized con i capelli colorati, quelle vestite vintage con maglioni della nonna (se quando avevo la loro età li mettevi, era la morte sociale), quelle con le magliette dei Metallica e quelle con le magliette di Greta. Ci sono i ragazzi maranza e quelli che hanno lo smalto sulle unghie. Posto che la moda e le mode esistono, posto che essere allineati è più facile che essere diversi, posto che c’è un gusto estetico fortemente influenzato da molti fattori, primi fra tutti, oggi, i social, credo sia comunque meglio poter scegliere. Sarà una scelta fra gabbie? Forse si, ma meglio scegliere fra dieci gabbie che dover scegliere fra tre”.
Benedetta

“Le ragazze di via Toledo presto cresceranno, cambieranno idee, modelli e look. Smetteranno di assomigliarsi tutte. Qualcuna di loro, tra 20/30 anni, scriverà un pensoso articolo (forse esisteranno ancora media disposti a pubblicarlo) chiedendosi “quando è stato che le ragazze o i ragazzi hanno iniziato” a fare tutti insieme una determinata incomprensibile o disdicevole cosa. Yawn. Esattamente 40 anni fa, al sabato pomeriggio, in galleria Vittorio Emanuele potevi trovare paninari a branchi, indistinguibili l’uno dall’altro, tutti in divisa d’ordinanza. Un paio di loro sono ancora miei amici: uno è diventato avvocato penalista e difende gli immigrati in patrocinio gratuito, l’altro ha preso le mazzate a Genova nel 2001. Entrambi, ragazze di via Toledo e panozzi di galleria V. Emanuele, esercitano (esercitavano) il sacrosanto diritto di essere sgallettate e cazzari, almeno un po’, in quella bella stagione che si fugge tuttavia. Noi abbiamo lasciato meno tracce visibili: niente tatuaggi improbabili, pochissime foto perché la carta kodak costava un botto. Meno tracce, meno prove, meno motivi di vergogna retroattiva. (Un mucchio di banalità, me ne rendo conto. Ma per commentare i sermoni da boomer le banalità bastano e avanzano)”.
Andrea

“Difficile argomento, scivoloso e sfaccettato, buono per ponderosi trattati sociologici e per quattro chiacchiere da bar. Dagli eskimo ai loden fino ai pantaloni a zampa d’elefante passando per le pettinature cotonate, un po’ alla volta siamo arrivati ai tatuaggi e ai ritocchini, sempre attraverso la costruzione ossessiva di nuovi miti, sfruttando i sempre più potenti mezzi di persuasione di massa dove la morte per un intervento chirurgico maldestro, per un incidente stradale o per un proiettile sparato per gioco diventano solo un pretesto per affermare verità piene di buonsenso ma vuote di contenuti, raccontate da chi si sente al di sopra di tutto, nel suo bel vestito corredato da cravatta di ordinanza che più conforme e conformista non si può, uniforme che in altri contesti autorizza e giustifica parole terribili come guerra giusta o effetti collaterali, difesa della nazione o amor patrio. I giovani muoiono per svariati motivi, indotti da pratiche sbagliate, da cattive abitudini assimilate malamente, dal mondo che frequentano che li tradisce e li sfrutta come vittime sacrificali di ogni epoca, e in fondo sempre per lo stesso motivo”.
Giulio

“Ho 33 anni e ho insegnato ai teenager di varie parti del mondo per quasi dieci, con grande divertimento e soddisfazione. Mi trovo in disaccordo con quanto detto sulle ragazze e ragazzine di oggi, su quanto si somiglino, sul conformismo eccetera: le ragazze seguono le mode, chi più chi meno, chi non segue quella più ‘standard’ ne segue altre, a volte solo la propria, e non c’è nessun male. Così fanno anche i loro genitori, i miei coetanei, e – non credo la sorprenderà – anche i suoi! Tutti ci vestiamo (trucchiamo e pettiniamo) secondo un ideale, vogliamo dare un’immagine di noi che ci dia soddisfazione. Anche i 60-70enni si somigliano un po’ tutti, a uno sguardo superficiale. Le ragazze hanno volti e corpi diversi, pensieri diversi, vengono da luoghi e famiglie diverse che si declinano in infinite variabili. Trovo ingiusto ridurle ai loro ‘capelli lisci’ e alle loro ‘sopracciglia assottigliate’ (che non si usano più da almeno 15 anni!). Il conformismo forse, come la bellezza, è nell’occhio di chi guarda, e dovremmo smetterla tutti di passare così tanto tempo a guardare e giudicare l’aspetto fisico di giovani donne, e concentrarci di più su tutto il resto”.
Alice

“Passo spesso vicino a uno di quei self service di bibite e merendine che sono diventati un punto di ritrovo per gruppi di ragazzi e ragazze di 14-16 anni. Quello che mi stupisce è l’eterogeneità dei profili dei componenti dei gruppetti, soprattutto di ragazze: nello stesso ci stanno ‘cattive ragazze’, ragazzine per bene che si capisce sono vestite dalle madri, altre più ordinarie, che seguono la moda corrente, con berrettino, jeans strappati e sneakers. Mi sorprende come le prime convivano con le seconde, e fatico a vedere riferimenti omologanti. Certo via Condotti, via Toledo o piazza Duomo sono posti speciali dove si va a farsi vedere, un mio amico di lingua libera e pensiero fisso diceva ‘vado al figodromo’; era molto tempo fa, ma per quei luoghi le cose non sono cambiate, speciali erano e speciali restano, nei riferimenti modaioli ed estetici del momento. Ma restando nei posti dove si vive (io vivo a Frascati), 20-25 anni fa, quando le mie figlie erano adolescenti e quindi ero sensibile al ‘chi frequenti’, vedevo gruppi riconoscibili nei loro riferimenti: i punk, i paini, le zecche, gli sportivi sempre in tuta. Ora, come dicevo, faccio fatica a trovare gruppi omogenei. E mi sembra che nemmeno le élites abbiano elaborazioni di pensiero attrattive da proporre”.
Paolo Brunelli

“Ho fatto leggere il tuo articolo a una mia nipote, Angelica, 23 anni, solida cultura classica sfociata oggi alla Sorbona (per inquadrare il tipo). Dice Angelica: ‘Quello che Serra non dice è che la conformazione delle classi privilegiate è comunque ancora profondamente diversa da quella delle masse. E soprattutto quello che, tra virgolette, critico, è il finale dell’articolo che si situa tra morale e speranza, per cui spera in un movimento di massa anticonformista: 1 – Già esiste in parte nelle frange di sinistra degli adolescenti, che comunque si uniformano tra di loro; possiamo considerare anticonformismo un movimento che comunque si conforma contro un altro conformismo? Rischia solo di diventare ancora più intransigente e critico e al tempo stesso privo di senso critico (mi riferisco alle realtà dei centri sociali o associazioni studentesche di sinistra). 2 – Non si può chiedere a degli adolescenti di uscire dal gruppo, è proprio la logica dell’adolescenza che ti impone di essere come gli altri, e in effetti dopo essere stato uguale inizi a sviluppare quel sentimento, di cui parla Serra, di volontà e desiderio di essere diverso, e così si cambia, ma penso accada più verso l’università (quando non hai più una classe che vedi tutti giorni, hai amici diversi, hai accesso alla visione di tutte le differenze sociali che nella tua bolla liceale non ti toccano). 3 – In ultimo, tutta la nostra vita è necessariamente una conformazione, solo che noi del nostro milieu sociale pensiamo di non esserlo: ma io sono uguale a te e alla nonna, probabilmente anche all’autore dell’articolo, siamo uguali a Magda e a Greg, ci vestiamo più o meno nello stesso modo, leggiamo gli stessi giornali, abbiamo a grandi linee le stesse opinioni. Quindi forse quello che è importante non è tanto differenziarsi come unicum ma scegliere a quale conformazione appartenere”.
Angelica (via Paolo)

“Da insegnante precario a Milano ho avuto una discreta vetrina su cui ‘documentarmi’, tre anni in tre scuole diverse. Da quello che ho potuto vedere, il conformismo è abbastanza vistoso negli istituti tecnici e professionali (sia per ragazzi che per ragazze) e soprattutto nei primi 2/3 anni di utenza. Decisamente meno diffuso (sin dai primi anni) nei licei. Per dire, lo stereotipo descritto nella tua newsletter è la regola nell’istituto di moda e grafica nel quale sto prestando servizio ora.
Non credo di sbagliare aggiungendo che – come per la scelta della scuola – ci sia un legame con il contesto familiare/culturale di provenienza. Per fortuna crescendo vengono fuori le personalità e scelte anche estetiche più varie. Mi sembra di notare che dai tempi in cui andavo alle superiori (circa 20 anni fa), il rapporto delle ragazze con la propria forma fisica, legata al concetto di bellezza, sia cambiato, con il superamento del binomio ‘bella-magrissima’. Merito di modelli sociali che si sono evoluti, purtroppo però mantenendo dei caratteri di fondo ipersessualizzati, consumistici e di ostentazione della ricchezza”.
Stefano

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Questa settimana siamo andati lunghissimi. Zanzare rimandate alla prossima. Non mi resta che salutarvi con la solita raccomandazione: in alto i cuori, e se fa freddo copritevi bene.