Le rivoluzioni non sono ancora finite
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Le rivoluzioni non sono ancora finite
Michele Serra
Martedì 5 dicembre 2023

Le rivoluzioni non sono ancora finite

La manifestazione a Roma per la giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre 2023 (AP Photo/Alessandra Tarantino)
La manifestazione a Roma per la giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre 2023 (AP Photo/Alessandra Tarantino)

“Riformista” è un termine piuttosto vago, a partire dal fatto che ogni riforma, in sé, non è garanzia di virtù: ci possono essere riforme buone e cattive, migliorative e peggiorative. Eppure su quel termine, che assomiglia molto a un sacco vuoto che ognuno riempie con quello che gli pare, ci si accapiglia e perfino ci si accoppa, a sinistra, da più di un secolo, di solito secondo questo criterio: se sei riformista vuol dire che hai rinunciato a fare la rivoluzione, dunque a cambiare per davvero le cose – ed ecco che “riformista” diventa quasi sinonimo di traditore. La replica dei riformisti è sempre stata, grosso modo, “chi troppo vuole nulla stringe”: l’unica maniera per cambiare concretamente il mondo è fare un passo per volta, il resto serve solo a riempirsi la bocca di concetti fiammeggianti e spesso a preparare catastrofi.

Scusandomi per la sintesi molto a spanne di un dissidio che ha segnato tutto il Novecento e oltre, mi dichiaro, a conti fatti, piuttosto riformista, un poco per carattere (mi incazzo raramente, forse non abbastanza) e molto per riflessione politica; ma aggiungo subito che ci sono circostanze nelle quali questa postura saggia, e piena di buon senso, mi appare in tutta la sua irritante prudenza, come se nessuna urgenza, nessuno scandalo potesse scuotere il riformista dalle sue pacate riflessioni e dai suoi tempi lunghi.

Una di queste circostanze è il recente sussulto attorno a uno dei delitti più emblematici e, aggiungo, più politici mai visti in Italia, un ragazzo che uccide la “sua” ragazza che sta per laurearsi prima di lui, e guadagnerebbe dunque in autonomia, e prenderebbe, su di lui, un inaccettabile vantaggio. Le parole d’ordine che hanno contraddistinto prima la mobilitazione sui social, poi le grandi manifestazioni di sabato 25 novembre, erano tutt’altro che “riformiste”. La prima, tratta da un notevole testo di Cristina Torres-Cáceres, attivista femminista peruviana, a proposito del femminicidio di una studentessa diciannovenne, è “se domani non torno, distruggi tutto”. L’ha rilanciata la sorella di Giulia Cecchettin, Elena, forte carattere, ottima capacità di comunicazione e idee molto precise a proposito di maschilismo e di patriarcato. La seconda, messa poi in atto in ogni manifestazione, compresa la commemorazione “ufficiale” di Giulia all’università di Padova, era “non fate un minuto di silenzio, fate rumore”. Siamo nell’alveo di “Mai più!”, “Ya basta!” (dacci un taglio, facciamola finita), si reclama una cesura netta con il passato e una ribellione contro lo scandalo del presente, si fonda il proprio impegno sul rifiuto radicale della situazione esistente. Sentimento rivoluzionario allo stato puro.

Se fossi una ragazza di vent’anni – ma anche una donna di qualsiasi età che conosce o ha conosciuto la violenza maschile – avrei molta insofferenza per i “buoni consigli” e le analisi pacate. Ci sono snodi, nella vita personale così come nella vita sociale, nei quali i tempi si accorciano come il fiato di chi è braccata, e non interessano, non coinvolgono le cose dette per mitigare o razionalizzare o confortare: sembrano solo una maniera comoda per “prendere tempo”, e il tempo è scaduto. E qualunque richiamo alla realtà (e la realtà è: siamo un Paese arretrato nel campo della parità di genere, e lo siamo per ragioni che sono lunghe secoli) sembra un pretesto per tarpare le ali al moto rivoluzionario (in senso psicologico, in senso culturale) che l’uccisione di Giulia Cecchettin ha provocato.

Eppure, se c’è qualcosa di utile e di decente che un maschio quasi settantenne può proporre, in una contingenza come questa, è proprio fare memoria di quanto profonda, e bene infissa nella stratificazione delle generazioni, sia la storia prima del potere maschile, poi del terrore maschile (terrore da detronizzati). Vi dico solo due date, che forse già tutti sapete, ma ogni volta che le dico è come se inquadrassi meglio la storia del mio Paese.

La prima data è il 1966. Il giornalino del liceo classico Parini, nel centro di Milano, pubblica una breve inchiesta dal titolo “Che cosa pensano le ragazze d’oggi?”, nella quale si parla di contraccezione e di educazione sessuale. Su denuncia di un’associazione cattolica tre liceali, una femmina e due maschi, vengono arrestati, portati in Questura, sottoposti a perquisizione corporale e processati per “oscenità a mezzo stampa”. Al processo, che ebbe eco mondiale, i tre vennero assolti, e si considerò quella sentenza come un consolante segnale di modernità in un quadro sociale che, comunque, consentiva di arrestare e inquisire tre studenti di liceo perché avevano sostenuto la necessità di fare educazione sessuale nelle scuole, e di parlare di contraccezione. Era “oscenità a mezzo stampa”, nell’Italia di allora, ciò che oggi si fatica a credere che lo sia mai stato.

La seconda data è l’agosto del 1981 (io avevo 27 anni, già lavoravo nei giornali). Viene abrogata dal diritto penale italiano la “causa d’onore”, che fino a quel giorno concedeva tra l’altro forti attenuanti di pena al maschio che uccideva o comunque maltrattava la femmina perché lo aveva “tradito”. Non mi sembra necessario aggiungere commenti, se non che, fino al 1981, ogni uomo che uccideva una donna “non abbastanza sua”, poteva contare su attenuanti di legge. Lo Stato era con lui, non contro di lui.

Ragazze, ragazzi che non potete più reggere la notizia che un maschio ammazza una femmina perché non gli obbedisce, e siete talmente nel giusto che non serve spiegare perché; se vi dico che siamo un Paese di recente democrazia formale, e di antica costrizione dei costumi dentro una mentalità bigotta e sessuofoba, non è, vi giuro, per suggerirvi prudenza, e pazienza, e misura nelle richieste. È perché dobbiamo, dovete capire bene ciò che a voi pare assurdo e invisibile, perché nell’idea di libertà siete nati e cresciuti, è invece un pezzo molto rilevante del problema. La libertà è una scoperta recente in quasi tutto il mondo, e in Italia ancora più recente, anzi molto più recente che in molti altri Paesi. La libertà delle donne, poi, è ancora più recente. Contro di voi c’è il peso dei millenni, state dunque accorti, siate forti e prudenti, non vi fate del male. Non ve lo dice un riformista, ve lo dice uno che fa il tifo per la vostra rivoluzione, e non vorrebbe mai vederla scomparire sotto il peso di un passato monumentale e inerte.

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Ancora grande flusso di lettere sul tema, al tempo stesso appassionante e indefinibile, “chi sono i nuovi maestri”. Sono riuscito a rispondere privatamente a molti ma non a tutti, gli esclusi non si sentano esclusi, sono stati letti e pensati, purtroppo il tempo non è una dimensione elastica, me ne manca sempre una bella fetta per fare tutto quello che vorrei fare. (Ma una giornata di sosta quasi “religiosa”, ieri che era domenica, me la sono presa: abbiamo tagliato a pezzi, in cinque persone, più di cento quintali di legna, rovere, cerro, pioppo, frassino, ciliegio, olmo, robinia. È stato bellissimo).

Sarò breve, e molto selettivo. Mi ha colpito la mail di Sara (millennial) che individua una differenza, anche profonda, con i ventenni di oggi: “Solo tre dei contributi selezionati citano programmi o personaggi televisivi tra i propri punti di riferimento culturali. Così di getto, credo che la televisione abbia influito in maniera molto più incisiva e trasversale sulla cultura della mia generazione rispetto a quello che emerge dal sondaggio. Oggi se ne guarda sicuramente meno, c’è tanto altro, ma negli anni in cui sono cresciuta se ne guardava tanta e tutti guardavano le stesse cose”. Dunque non solo noi boomer, anche i millennial (nostri figli) fanno in tempo a sentirsi spiazzati dai tempi che corrono, e hanno memoria di un tempo remoto in cui “tutti guardavano le stesse cose”.

Anche Francesco, di un anno più giovane, sottolinea l’egemonia che quel medium ha avuto almeno fino alla fine del Novecento: “La mia generazione è cresciuta davanti al televisore, in modo più specifico guardando i cartoni al pomeriggio. I nostri maestri e guide sono e restano la famiglia Simpson, Ken il guerriero, L’Uomo Tigre e Goku (e ovviamente i loro autori). Da loro abbiamo imparato a distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, quali sono i valori e le cose importanti della vita, quando scherzare, quando essere seri”. Ringrazio Francesco perché mi aiuta a rimediare a una mia grave omissione: i Simpson! Ecco, io Matt Groening lo metterei nel Gotha dei maestri viventi senza mezza esitazione.

Edo propone tra i “grandi” di oggi Alice Rohrwacher, “qui a Parigi la venerano come una nuova Fellini e hanno inaugurato una retrospettiva su di lei al Pompidou. Riconosco in lei una profondità multiforme e antica”. Per Mauro è stato molto importante Giovanni Lindo Ferretti (CCCP – Fedeli alla Linea), “in totale controtendenza rispetto al mainstream filoamericano. Questo mi fece se non altro venire l’appetito per leggere i suoi riferimenti letterari, Roland Barthes, Majakovskij, Mishima. Da lì in poi è stata una continua scoperta letteraria, per lo più in autonomia, insomma (Ferretti) è riuscito a darmi una spinta che la scuola non era mai riuscita a darmi”.

Molto severo (ma servono anche i severi) Matteo, che non dice la sua età ma sembra dare voce all’ala più “intransigente” dei boomer, oppure a quella più disillusa delle generazioni successive: “Ho letto cose implausibili, 20 volte la Murgia e non posso non pensare alla notorietà che viene dalla triste fine, e però recente; persino un Tomaso Montanari, una cosa che fa cadere le braccia. I riferimenti musicali lasciamo stare, veramente robetta. Direi che gli intellettuali, se ce ne sono, sono nascosti benissimo, e soprattutto che la generazione dal ’70 in poi non ha i mezzi né i riferimenti culturali per capire alcunché del mondo. O non ha tempo né voglia di approfondire, che è più difficile lungo e faticoso che dare retta a un cantante”.

Il boomer Leo lega strettamente alla buona salute della politica la nascita di pensieri rilevanti. “Un maestro è per definizione una persona intellettualmente onesta e, aggiungo, un maestro inevitabilmente fa politica. Forse per questo la nostra generazione non ha difficoltà a nominarne tanti e le giovani generazioni stentano invece a trovarli. In tutte le importanti opere artistiche entra la politica. Che cosa è il successo del film della Cortellesi se non un felicissimo ritorno della politica nella commedia all’italiana?”

Gli fa eco un altro boomer, Gabriele, che manda una top-ten di “maestri” quasi interamente politica: “Enrico Berlinguer, Allende, Martin Luther King, Nelson Mandela, La Repubblica, Eugenio Scalfari, Michele Serra, Nanni Moretti, Francesco Guccini, Franco Battiato”. Mi vergogno ma sono contento.

Mi piace, infine, quello che scrive Tommaso (che è del ’90). Indica tra i suoi maestri, come primo riferimento, “mio nonno materno, che proprio ieri ha compiuto 88 anni ed è senza dubbio la persona più lucida, intelligente, acuta e generosa che abbia mai conosciuto. Mezzo gradino più sotto, la mia maestra delle elementari, che tra poco andrà in pensione e mi ha insegnato, tra le altre cose, che l’ignoranza è il male più grave del mondo”. Ecco, questo mi ero proprio dimenticato di dirlo: maestra, maestro, è anche colui che incontri nella vita personale. E ti insegna molte cose con le parole, molte altre semplicemente esistendo.

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Sarò a Peccioli il 9 di dicembre, con il peraltro direttore (suggerisco Peraltro come appellativo onorifico, come Commendatore e Grand’Ufficiale), contento di esserci anche perché parleremo, tra le altre cose, di un libro che ho fatto con Altan, Ballate dei tempi che corrono. Spero di non avervelo già detto (gli anziani si ripetono), ma per me avere fatto un libro con Altan è come se avessi fatto un disco con De André, o dipinto un muro con Banksy, o traversato l’oceano alternandomi al timone con Soldini. Un punto di arrivo che se me lo avessero detto a vent’anni non ci avrei creduto. È un librone molto colorato (i colori sono di Altan) e raccoglie ventisette anni di poesie satiriche che il peraltro autore, che sarei io, è contento di avere scritto.

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Dopo una settimana di pausa Zanzare Mostruose riprende il suo cammino inesorabile, con una puntata, grazie a voi, semplicemente sontuosa. Per prima, segnalata da Federico, questa fulminante sequenza di locandine del Corriere delle Alpi, che il 22 di settembre titolava:

DROGA, ARRESTATO UN CAPO SCOUT

e il giorno dopo, 23 di settembre, annunciava la soluzione del più breve caso giudiziario della storia italiana:

DROGA, CAPO SCOUT ASSOLTO PERCHÉ RASTA

Alessandro segnala una specie di classico della titolazione pulp. È un titolo del New York Post del lontano 1983:

HEADLESS BODY IN TOPLESS BAR

Nella traduzione italiana (“corpo decapitato in un Topless bar”) si perde molto. La sonante sintesi dell’inglese è un capolavoro.

Sempre generosa di suggestioni l’ampia pubblicistica (specie on line) sugli animali, che oltre a cani eroici e gatti ingegnosi produce anche immagini quasi mitologiche, grazie a Repubblica.it:

SOLLEVANO LA GRATA DI UN CANALE DI SCOLO E SI IMBATTONO NEL RODITORE PIÙ GRANDE DEL MONDO

Bene anche, sempre dalla stessa fonte, questo titolo ai confini tra il zoofilo e il medianico:

FESTEGGIANO L’ANNIVERSARIO E RICEVONO UN MESSAGGIO DAL GATTO SCOMPARSO DODICI ANNI FA

Diverse segnalazioni, una delle quali troppo autorevole per essere ignorata (il Peraltro in persona) per questo magnifico titolo:

ACCOLTELLA UN UOMO A BRESCIA, È RITROVATO A TORINO, INUTILE LA FUGA SUI TETTI CON LA MAGLIA DI MESSI

Si tratta, in pratica, di una serie tivù di parecchie puntate, però riassunta in una riga e mezzo. Tanto di cappello.

Marco segnala, da Televideo di qualche anno fa:

MINA UCCIDE SOLDATO

E qui ci vorrebbe Umberto Eco per spiegare il sussulto di senso prodotto dall’omonimia tra l’ordigno bellico e la popolare cantante.

Infine, per coronare questa ricca puntata, un gran titolo da Cronaca Eugubina:

I LADRI SONO TORNATI A RUBARE

Colui che lo segnala, Jacopo, giustamente si chiede: nel frattempo, i ladri, che cosa avranno fatto?