In nome del popolo italiano
«Mi inchino a tutti loro, ai morti ma non santi, ai nonni contadini e operai, ai comunisti, agli anarchici, ai mazziniani, ai loggionisti innamorati, ai contadini ribelli, agli analfabeti puntigliosi, ai parroci sbalorditi e agli ufficiali di anagrafe presi alla sprovvista: dovevano fronteggiare la sovversione fattasi Nome»
A furor di popolo. Mai espressione fu più calzante. Devo riaprire a furor di popolo la faccenda dei “nomi strani”, che era cominciata per gioco (i fedeli di questa newsletter lo sanno: mi prendo gioco, da molti anni, dei nomi di esponenti leghisti tipo Maverick Buleghin, o Suellen Marangon). Il divertimento onomastico è poi sfociato nel racconto di quando, nel secolo scorso e alla fine dell’Ottocento, a dare nomi stravaganti a figlie e figli non erano i palinsesti di Mediaset, era la politica, la ribellione ai preti, l’estro ribelle del popolo. Quando il popolo – incredibile ma vero – era rivoluzionario, e l’unico obiettivo era fare uscire la prole dal calendario dei Santi.
Più di un mese fa avevo dichiarato chiusa la saga. Mi sembrava potesse bastare. Ma no, il mio spettabile pubblico non accetta che cali il sipario e ha fatto irruzione sul palco. Troppe le cose ancora da raccontare. E per quanto il sottoscritto sia il capo – questa newsletter non è un albergo! – non solo mi arrendo ai rivoltosi, ma mi unisco a loro.
I nomi delle persone evocano qualcosa di profondo e di ineludibile. Gli avi. Le storie e i racconti di famiglia. I fantasmi che ogni nostra cellula contiene, le madri e i padri, le loro voci che dentro di noi ancora pronunciano i loro e i nostri nomi, le nonne e i nonni, le lapidi dei cimiteri, le fotografie appese alle pareti e quelle dimenticate nei cassetti, la memoria che pare stemperata nel tempo, solubile, portata via (panta rei) e invece riemerge in un’ansa del fiume dove la corrente tende a rallentare. Mi sono arrivate tante di quelle mail, sui nomi, che non avete idea. Leggendole mi sono divertito (a volte ho anche riso) tanto quanto mi sono emozionato, come se ad ogni nome che scocca si intravedesse, per un attimo, giusto il tempo di due o tre sillabe, la vita di chi lo portava.
Così ho pensato che niente di “attuale” – la cronaca politica, la Siria, il rullare implacabile delle news (breaking news!) – può eguagliare la potenza fantastica dei nomi che mi/ci avete raccontato. Storia d’Italia, niente di meno. Storie di italiani che non ci sono più, e però ci hanno generato e dunque ne siamo il risultato. Cito spesso – lo so, anche troppo – Giovanni Lindo Ferretti, uno dei pochi reazionari che stimo: “Non c’è lama che possa recidere la languida catena, generazione su generazione”.
Adesso facciamo così: immaginate che qui sotto, alla fine di questo mio prologo, ci sia un red carpet. Il red carpet dei nomi dei nostri avi. Gli italiani di ieri. Immaginateli che arrivano alla spicciolata, come in un Quarto Stato meno compatto, più sfilacciato, una per una, uno dopo l’altro. È un corteo di azzardi, di invenzioni, di errori (anche di refusi), di equivoci e di visioni deliranti: e mi sembra incantevole. Un corteo di neonati e di vegliardi, di puerpere arrese a mariti e padri straparlanti. Mi inchino a tutti loro, ai morti ma non santi, ai nonni contadini e operai, ai comunisti, agli anarchici, ai mazziniani, ai loggionisti innamorati, ai contadini ribelli, agli analfabeti puntigliosi, ai parroci sbalorditi e agli ufficiali di anagrafe presi alla sprovvista: dovevano fronteggiare la sovversione fattasi Nome.
Mi permetto solamente, da curatore, di dirvi che ho messo in apertura due vere star, i due nomi che mi sono sembrati più degni della nostra stupefazione. Non che quelle e quelli che poi seguono non meritino i flash dei fotografi…
Ma adesso si apre il corteo dei fantasmi. Applausi.
“Ricordo fra i tanti il nome imposto a un piccolo innocente da un papà melomane: L’Oengrin (con l’apostrofo). Negli anni ’60 mio marito partecipò con l’IBM a un lavoro sull’anagrafe di Bologna. Lo ritrovo nelle segnalazioni dei tuoi lettori: Lenina, Stalina, Universo, Mefisto, Diana e Debora con acca e ipsilon sparse a caso…”.
Anna
“Mi raccontava mio padre di una contadina toscana che li batte tutti. No, non era la fin troppo conosciuta Finìmola, che arrivava in famiglia dopo una serie di Primo, Secondo, Terzo, ecc. La signora si chiamava Edeva. Come la prima donna, la compagna di Adamo: Adamo, Edeva”.
Mariele
“Mio nonno Azzo aveva chiamato le figlie Scadenza e Protesta, i figli Migliarino (dal nome del paese vicino) e Antide. Quest’ultimo era mio padre, mia madre si chiamava Iride e tra gli amici dei miei genitori ricordo Zirza, Combes e Agide. Per mia fortuna non hanno continuato questa tradizione anche con me”.
Bianca
“Ti segnalo la canzone Onomastica degli Offlaga Disco Pax, che racconta proprio dei nomi di eroi e di rivoluzionari che venivano dati ai figli in Emilia-Romagna:
Niente nomi di santi da lunario
Nessun nome di santo da lunario
Flore, faune, fiumi, laghi, centrali elettriche
Anagrammi, melodrammi
Moschettieri da leggere come si scrivono
Pronunce sballate per eroi d’ogni specie futuribile
Perché un nome era tutto quel che davi
Aderito, Athos, Babel, Boiler, Demos, Etno,
Eles, Enver, Engels, Engel, Enos, Ero,
Eves, Eides, Firmato, Flea, Glennis, Ibanez, Iaures.
Jean Jaurès era un dirigente del partito socialista francese”.
Matteo
“Il padre di un mio caro amico era l’ultimo nato in una numerosa famiglia e per tale motivo gli venne posto un nome tra il malinconico e lo scaramantico: Tramonto. Un altro figlio della stessa famiglia portava invece un nome beneaugurante: Giramondo”.
Mario Grego
“Dopo Primo, Secondo, Terzo, Quarto eccetera arriva Ultimo. Ma poi, purtroppo per lui, ne arriva un altro e lo chiamano Definitivo. Poi c’è anche Antatvleva. Dal dialetto emiliano all’italiano: non ti volevo”.
Paolo (Cespuglio)
“Mi sento in dovere di ricordare i miei nonni materni, da Reggio nell’Emilia, di nome Learca e Ives. Fra i nove fratelli di nonna Learca detta Lea spiccava Delfino detto Delfo. Gli altri mi risultano tutti con nomi normali”.
Laura Leone
“Ho trovato nel lettore Maurizio un fratello e quando girerò per lapidi, incuriosita dai nomi più stravaganti e commossa da antiche dediche, mi sentirò meno strana. In Maremma la tradizione di nomi non convenzionali è molto forte, anche se oramai quasi del tutto persa. Mia nonna, nata nel 1911 da Romildo e Zaira, venne chiamata Atene, nome non riferibile a nessuna santa, e tenuta lontana da preti e chiese. Una zia timorata di Dio la portò di nascosto dal parroco che la battezzò con il nome di Nada. Ai tempi del liceo presi l’elenco telefonico e trascrissi i nomi più incredibili che trovai tra gli abbonati dei vari paesi: Torello, Onesto, Agile, Virus (davvero!), Eialalà, Uguaglianza, Brasileiro, Victorugò, Zalamorte, Falaride, Asintone, Essonia, Ovigenio, Armistizio, Emole, Mirocle; nel cimitero di Scansano abbiamo anche Aminidonise (ho la foto, è un nome femminile)”.
Cristina.
“Al (fin troppo) blasonato Liceo Galvani di Bologna c’era, immagino ci sia ancora, un’aula intitolata a Folla Silvestri. Un’amica di famiglia che mi dava ripetizioni di greco mi raccontò la storia: la professoressa di matematica e fisica Folla Silvestri era (oltre che, a suo dire di ex allieva, cattivissima) parte del progetto editoriale femminile di un padre anarchico che volle chiamare quattro figlie Folla – Unita – Vittoria – Certa, senonché pare si sia fermato alla terza e più fortunata Vittoria per mancanza di ulteriore discendenza. Sul sito di Unibo esiste ancora la scheda anagrafica della professoressa quando studiava presso l’ateneo”.
Francesca
“Nella serie di nomi ritrovati nel cimitero di Ambrogio, frazione di Copparo, manca forse il più singolare: Ariode Bellagioia (Menegatti). Era mio nonno”.
Moky 62
“Dalla provincia di Modena posso personalmente citare una zia Dirce, una cugina di mio padre Afra e un prozio Frassine. Indimenticabile Archimedia, amica di nonna, una zia Redda e il di lei cugino Reddo, ineffabili tributi all’affascinante Rhett ( qui da noi chiamato Red) Butler di ‘Via col vento’! Mi piace questa abitudine della mia terra a dare nomi celebrativi, a segnare un’epoca anche nei registri dell’anagrafe. Nessuna tradizione, nessuno più che dava ai figli i nomi dei nonni, ma tanti che nei nomi dei figli volevano indicare una strada, una visione di un futuro desiderato, un campione da emulare. È vero che sono stati nomi difficili da portare, come fu per una bella donna di nome Enola impiegata in un ufficio in Romagna. Ma avevano dentro un’ansia di conoscenza del mondo, una spinta verso il futuro, un marchio di identità che nulla avevano a che fare con i nostri attuali criteri per giudicare se un nome fosse bello o brutto. Il nome era un concetto, una forma da dare all’anima e alla vita dei figli. Era un altro paese”.
Chiara Caselgrandi
“Segnalo tre nomi femminili comuni nelle Puglie a nord di Bari: Soccorsa, Siponta e Sterpeta, tutti nomi derivati dagli omonimi santuari mariani del Soccorso, di Siponto e dello Sterpeto. Sono nomi attuali, non residui del secolo scorso”.
Ernesto
“Mia nonna Stellina chiamò mio padre Andino: come andare, diceva. E mio zio Venturino, come avventuriero, e mia zia Ave senza un perché, ma è comunque un saluto che precede un andare avventuroso. La nonna non aveva neanche mai visto il mare, ma nel cuore forse sognava una vita di viaggi e libertà: una hippie dell’800”
Eugenio
“Mio marito nel 1955 fu chiamato Nadio per fortissima scelta di mia suocera emiliana che incinta aveva letto il nome su un fotoromanzo: per compensare e stare sul tradizionale, come secondo nome gli fu dato Sabino (nonno paterno irpino, mio suocero carabiniere non cedette). Vivendo in Romagna abbiamo ovviamente conosciuto anche un Navio”.
Maria Rita
“Propongo il nome di mia madre Equipalda (1919) e delle sorelle Danira (1921) e Brunilde (1923), tutt’ora in vita. Mio nonno Mario detto Angelo ne aveva, di immaginazione”.
Alberto Fondato
“Mio nonno materno si chiamava Sestilio, nella Toscana contadina c’era l’uso di indicare i figli in ordine di arrivo con un numerale: peccato che mio nonno fosse il secondo. Sposando mia nonna Rosa ebbe prima un figlio, che chiamò Gilfido. Poi, viste le sue simpatie politiche, chiamò la figlia Comunarda, classe 1920. Mia madre. Dato che il prete rifiutò questo nome mia madre, in chiesa ma non all’anagrafe, si chiamò Bruna. Il terzo figlio dei nonni, nato nel 1924, si chiamò poi Liceno (non so, come nel caso di suo fratello Gilfido, da dove venisse questo nome, se non dalla necessità anarchica di mio nonno di sfuggire alla celebrazione dell’onomastico). I miei nonni paterni si chiamavano Domizio e Zoraide (nome, credo, di origine abissina o somala: forse il bisnonno era stato laggiù in epoca crispina?). Domizio e Zoraide ebbero quattro figli, tre con nomi normalissimi: Bianca, Luigi e Cesare. Ma il primo figlio maschio fu mio padre e, siccome il nonno aveva un caro amico francese che si chiamava Legrand, pensò bene di onorare questa amicizia appioppandogli il nome di Allegrando. Sono cresciuta in un paesetto sulle colline a sud di Pisa che ora conta non più di 400 persone e si chiama Montefoscoli: lì la gente mi chiama Donatella di Allegrando. Puoi immaginare che cosa ho dovuto sentire, per tutta la vita, quando, per motivi burocratici, dovevo dichiarare i nomi dei miei genitori. Eppure adesso, da anziana saggia, mi piacciono, mi identificano, anche se per loro sono stati un fardello”.
Donatella Piccini (di Allegrando)
“Posso dare un contributo con uno sguardo sui nomi di una fascia sociale in ritirata ma ancora orgogliosa, l’aristocrazia. Alcuni esempi: Alteniero, Rambaldo, Guicciardo, Fulceri, Barbaziano, Bradamante, Gualfredo, Gualtiero, Moroello, Lottario. Tuttora portati con giusto orgoglio e a volte, a scuola per esempio, con paziente coraggio”.
Balasso Naldi
“Dal libro ‘Vola golondrina’ di Guccini-Macchiavelli (da leggere!): «Rivo è uno strano nome…». «Mio padre, da buon anarchico, voleva che i suoi figli portassero un nome significativo, ma non facilmente associabile a certi ideali; un poco criptico, per sfuggire a eventuali persecuzioni, e così mi chiamò Rivo; mio fratello lo chiamò Luzio e Nario doveva chiamarsi il terzo fratello. Rivo-Luzio-Nario. Nario, il terzo, non è mai nato».”
Paolo Ernesto
Nota del tenutario della newsletter, che sarei io: questa è la terza versione del trittico Rivo-Luzio-Nario. Vuoi vedere che ne arriva anche una quarta? Eccola!
“Nei manifesti elettorali di quando ero ragazzo c’era un nome che mi stupiva e mi piaceva molto. Eccolo qui, riportato nelle pagine dell’Unità di allora. Candidati al Senato della Lombardia, collegio di Clusone: Ghibesi Rivo Luzio Nario. Sursum corda!”
Piero Fogaroli
“Segnalo una prozia e un amico di famiglia, nati nei primi del Novecento: rispettivamente Arpàlice e il ‘letterato’ Vitorugo”.
Maurizio
“Può capitare che una bellissima ragazza di qualche anno fa si chiamasse Albina (classe 1927), nome non proprio comune. Capita anche che un ragazzo di qualche anno fa si chiamasse Albino (classe 1919). Capita poi che ragazzo e ragazza si trovino a lavorare nello stesso ambiente e si osservino un po’, attratti tra loro. E quando, vinta la naturale timidezza, lui decide finalmente di presentarsi, lei all’inizio pensa a uno scherzo di cattivo gusto. Pure lui pensa di essere preso in giro. Poi le cose si chiariscono e i due iniziano una bella storia d’amore.
Albino e Albina sono stati mio papà e mia mamma”.
Massimo Davico
“Vorrei aggiungere qualche nome reggiano (concordo con il lettore che attribuisce a Reggio Emilia il primato dei nomi bizzarri). Ho conosciuto due fratelli (ottime persone!) di nome Dembrao e Anillo, e una vulcanica protagonista di una filodrammatica di paese di nome Nevina. Nello stesso paese, evidentemente amante dei diminutivi, il parroco si chiamava Provino”.
Patrizia
“Segnalo la preziosa e più che meritoria rassegna (a cura di Aldo Montalti) nel link qui sotto:
https://www.radiomaremmarossa.it/onomastica-sovversiva/
L’elenco dei nomi ‘sovversivi’ dell’800 e del 900, con accanto il Comune e la data di nascita, è costruito dalle Anagrafi dei Comuni della Maremma e delle vicine province toscane, ed è diviso in: Nomi repubblicani, Nomi anticlericali, Nomi anarchici, Nomi social-comunisti, Nomi sovversivi e rivoluzionari, Sorelle e fratelli ribelli”.
Daniele Cappellini
“Bisogna ammettere che l’area romagnola è sempre stata più fantasiosa della mia: l’elenco dei nomi di un cimitero brianzolo come quello di Meda restituirebbe uno sterminato elenco di Mario e Maria”.
Mirko Schiavolin
In chiusura, dopo la struggente chiosa “lumbard” di Mirko, aggiungo questa mia piccola storia. Anni fa andai con un amico di Modena su per i monti in cerca di spugnole, genere Morchella, funghi primaverili celebratissimi dalla cucina francese (le morilles). Capitammo a Montefiorino, che fu sede di una gloriosa repubblica partigiana. Mi presentarono un vecchio meraviglioso, quando mi strinse la mano mi sembrò fosse fatta di corteccia. Mi dissero: “Si chiama Edoendo. Ma è un nome troppo difficile, dunque tutti lo chiamiamo Dovindo”. Voi capite: se il nickname di Edoendo è Dovindo, non se ne esce. E in fin dei conti, è bello non uscirne.
*****
Un pensiero per le ragazze di Damasco, i loro capelli sciolti che vediamo sventolare assieme alle nuove bandiere siriane. Assad, con il suo codazzo di sbirri e di sicari, se ne è andato, ma adesso le strade sono piene di miliziani islamisti, già si legge dei primi rimbrotti, delle prime minacce, “copriti, così disonori tuo marito”. I nuovi capi rassicurano, vogliono avere relazioni decenti con l’Occidente e dicono che andrà tutto per il meglio, ma le truppe? Le frange di fanatici o più banalmente di bigotti? I giovanotti armati entrati in Damasco dalle campagne, con una gran voglia di rimettere in riga quelli di città pieni di vizi e di idee balorde, tipo bere una birra con gli amici, ascoltare musica decadente, permettere alle sorelle di girare per la strada in blue jeans e senza velo? Damasco come Teheran come Kabul come Istanbul: fosse solo per le città, il fondamentalismo religioso avrebbe i giorni contati, i tempi moderni avrebbero stravinto, le culture arcaiche troverebbero degna sepoltura nei musei.
Ci si domanda quale gradazione di sottomissione sarà imposta alle donne siriane, se blanda oppure spietata. Poche cose fanno palpitare, umanamente prima ancora che politicamente, come la sorte delle ragazze e delle bambine, nei tanti posti del mondo dove le femmine sono considerate solamente fattrici.
*****
Due zanzarine piccoline, questa settimana, però gustose. Leonardo ha scovato sul sito Vivere Jesi un salto di sillaba che mette a fuoco una nuova ed efferata forma di stalking:
EVADE L’OBBLIGO DI DIMORA E IL DIVIETO
DI AVVINAMENTO ALL’EX COMPAGNA
La costringeva a bere, il mascalzone. Molto acuta la morale politica di questo refuso su Libero, segnalato da Giovanna. Dà soddisfazione, seppure tardiva, a chi si batte contro lo scialo di denaro pubblico:
SUPERBONUS A FONDO PERDUTO:
ECCO A CHI SPETTA IL RIMORSO DEL 100%
Un’altra settimana di dicembre (non è il mio mese prediletto) per fortuna è passata e avanza, a passi spietati, il Natale. Lo affronteremo a testa alta, sorretti dalla certezza che anche quest’anno le feste finiranno, e cercando di rubare al caos, e alle incombenze, qualche momento bello: i bambini, qualche incontro, qualche abbraccio, certe luci, certi presepi, e i brevi momenti di libertà spirituale che riescono a non farsi schiacciare nell’ingorgo, come i gatti quando attraversano incolumi.
Ai primi giorni di gennaio, aguzzando i sensi, potremo percepire quei pochi minuti di luce in più. Januarius, porta del tempo nuovo, già indica, senza dirla, la strada della primavera, anche se il gelo prende alle gambe e il riscaldamento presenta conti salatissimi. In alto i cuori, e alle donne di Damasco un pensiero così affettuoso e forte che possa scavalcare il Mediterraneo.