Il fumo di un bombardamento israeliano a Gaza sullo sfondo dei campi coltivati a Sderot, in Israele (Dan Kitwood/Getty Images)

Il tasso di preoccupazione giovanile

«E insomma, detto che dell’ansia e dell’angoscia esistono declinazioni personali le più varie e le più diverse, a me piacerebbe saperne qualcosa di più: a che punto è il vostro nodo allo stomaco, ragazzi? Avete paura del futuro: poca, tanta o nella media?»

Il dosaggio quotidiano di massacri, proclami bellicosi e skylines segnati da crateri in terra e traccianti in cielo, è così denso che vi risparmio notizie sul mio ordinario pessimismo. Preferisco partire da una mail, semplice e abbastanza secca, che mi ha fatto venire dei pensieri. Legati ai tempi (che sono gli stessi per tutti) e all’età (che invece è diversa per tutti).

“Sono una boomer del 1956 e mi considero una vera rivoluzionaria perché ai tempi del liceo (lo scomparso Edmondo De Amicis di Imperia, l’unica scuola al mondo dove hanno studiato due Nobel, Natta e Dulbecco: fosse successo in America chissà cosa ci avrebbero ricamato sopra) io ero l’unica iscritta al PLI. Ti scrivo perché al mattino, letto il giornale (ho le app di La Stampa, Il Post e Huffpost) mi intristisco per quello che succede nel mondo e vivo sinceramente preoccupata per il futuro di figli e nipoti. Ma vedo che loro, i figli, perché i nipoti sono ancora piccini, non sono (o non sembrano) così preoccupati. Eppure non sono figli leggeri, sono avvocati e economisti, tutti rigorosamente piazzati a sinistra, ma quando chiedo loro se hanno paura mi rispondono che… si vedrà. Poi leggo l’Internazionale (che mi hanno fatto conoscere loro, Limes ci ho provato ma è una noia pazzesca) e… apriti cielo. Quel che succede in Africa, Sud America, Oriente è forse anche peggio di quel che succede più vicino a noi. Preciso che sono in pensione e me la passo bene: leggo tanto, vado alla spiaggia, vado a camminare in montagna, faccio qualche viaggio e un po’ di volontariato e ho ancora qualche incarico professionale. Però mi chiedo: possibile che la gente non si preoccupi quanto mi preoccupo io, che ho sempre un piccolo nodo alla bocca dello stomaco? Sarà perché non hanno il tempo di leggere tanti giornali? Sarà perché sono giovani e devono per forza guardare al futuro con speranza e con fiducia?”
Bissi Giribaldi

Cara co-boomer, quel piccolo nodo alla bocca dello stomaco spesso accompagna anche me (che pure, come te, me la passo bene). Ma forse è solo un effetto collaterale del benessere. Abbiamo il tempo di guardarci intorno, di leggere molto e di scrutare il cielo nella speranza che almeno quello sopra di noi non sia segnato dalle scie dei missili. È fortemente probabile che le generazioni precedenti non avessero tempo e modo di farsi troppe domande su “come va il mondo”. Tolte le caste, poche e di pochi, dei regnanti, dei sacerdoti, dei generali, dei mercanti e dei banchieri, riempire la pancia e salvare la pelle sono state, dall’alba dei tempi, le occupazioni fondamentali dell’umanità quasi per intero. E il sentimento “fisico” della paura quotidiana sicuramente prevaleva su stati d’animo, come dire, più moderni e più pensosi: l’angoscia, l’ansia, la noia, la depressione, alle quali del resto è dedicata una buona fetta della letteratura novecentesca.

Che un esercito o una banda ostile sbucasse all’orizzonte (annunciato da una vela sul mare, una nube di polvere, un remoto fracasso in avvicinamento) era nelle cose, e lo era per tutti. Il mondo è sempre stato un carnaio, una fuga di terrorizzati, una mattanza di innocenti. Lo si dava per scontato, immagino. E si puntava direttamente al Paradiso, nelle sue varie declinazioni, come unica maniera per tirarsene fuori. La salvezza anche come cessazione della fuga e liberazione dal bisogno. Si poteva riprendere fiato solo da morti.

Forse ci eravamo illusi, noi occidentali della seconda metà del Novecento, prima e temo ultima generazione della Storia, che la pace, la libertà e il piatto pieno fossero una condizione infine conquistata. Il mondo ci sembrò un bel posto per il semplice fatto (mica tanto semplice, a ben vedere) che siamo cresciuti nel mezzo di una bolla di immunità, di novità e di speranza. L’amore più facile, i viaggi, la musica, il cinema, i libri, i globe-trotter, la fine delle frontiere, il lavoro e l’autonomia economica a portata di mano, i diritti che brillavano e i doveri un poco meno opprimenti del previsto. Goderci la vita: non è quello che abbiamo prevalentemente fatto, ognuno con i suoi bassi e i suoi lutti, ma poche tenebre attorno, e destinate a svanire presto? (“È la pioggia che va, e ritorna il sereno”, cantava Shel Shapiro).

A questo punto, però, detto di noi, della nostra quasi scontata delusione per esserci troppo illusi in passato, la domanda più interessante che ti fai, quella che conta davvero, è su quelli che vengono dopo di noi. Figli e nipoti. Non sembrano preoccupati più di tanto, tu dici. Sarebbe interessante che ce lo spiegassero loro, se sono preoccupati o no (attendo mail, sono sicuro che arriveranno). A che punto è il loro nodo alla bocca dello stomaco. Se hanno mangiato la foglia (hanno capito prima e meglio di noi che il mondo è un posto duro, e non la fanno tanto lunga); se dunque sono più scafati, meno ingenui di quanto noi siamo stati, a conti fatti, da giovani, più avvezzi, loro, a fare i conti con lo stato delle cose; se sono lucidamente rassegnati, e in questo più saggi di noi; o se sono talmente incazzati o tristi che non trovano modo di dare forma all’incazzatura e alla tristezza, e preferiscono tacere.

Se hanno più senso del pudore, rispetto al poco che noi avevamo blaterando a vanvera di una rivoluzione fondata sul concetto (davvero spericolato) che il popolo fosse buono e i borghesi cattivi. Se sono più muti perché hanno il senso dei loro limiti, e proverebbero imbarazzo a parlare troppo (mio Dio, quanto abbiamo parlato noi boomers! Abbiamo consumato parole quante le basterebbero per decine di generazioni!). O se invece parlano: ma non con noi, ipotesi non trascurabile.
E insomma, detto che dell’ansia e dell’angoscia esistono declinazioni personali le più varie e le più diverse, a me piacerebbe saperne qualcosa di più: a che punto è il vostro nodo allo stomaco, ragazzi? Avete paura del futuro: poca, tanta o nella media?

(Legenda per i più giovani: il PLI citato nella mail di Bissi era un partito novecentesco, Partito Liberale Italiano. Moderato di destra, ma democratico: partecipavano in tre o quattro, con una bandiera, ai cortei del 25 aprile. Piccoli ma tenaci. Piuttosto confuse le tracce storiche in rete: secondo una fonte venne fondato da Cavour nel 1822, secondo un’altra esattamente un secolo dopo, nel 1922, da Emilio Borzino. Non è la stessa cosa. Infine, con il simbolo immutato, esiste un PLI che vanta nel suo sito “25mila voti!”, con il punto esclamativo, e “sostiene la Lega di Matteo Salvini”. Sic transit gloria mundi).

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Ho rivisto per caso, in una notte insonne (capita) “Giù la testa” di Sergio Leone. Epiche gesta e tragici eventi durante la rivoluzione zapatista. Un grande classico. È probabilmente il film più rumoroso della storia del cinema. Tra fucilazioni, esplosioni, crepitio di mitragliatrici, cannonate, bombe, esplosioni dinamitarde, crolli di ponti, convogli militari sferraglianti, sono arrivato in fondo, dopo due ore e mezza abbondanti, totalmente rintronato. Non tanto da non accorgermi che la scena finale, il flashback molto melenso di un triangolo amoroso tra James Coburn, una fanciulla e un commilitone rivoluzionario, sembrava girato per un altro film e attaccato con lo scotch in fondo a questo. Per la serie “non si butta via niente”.

C’erano anche un sacco di belle cose, per carità, Sergio Leone è Sergio Leone, Rod Steiger e James Coburn sono Rod Steiger e James Coburn. Ma il commento finale, tra me e me, è stato: “forse ci sono opere d’arte, non solo film, un poco sopravvalutate”. So bene che qui si entra in un territorio minato. Che si rischia di farsi dei nemici. Ma insomma, chi di noi non leggerebbe, con un certo gusto, un “breve elenco delle opere d’arte sopravvalutate”, magari con il budget altissimo (è il caso di “Giù la testa”) come aggravante? Lo so che si rischia di litigare. Ma ci si diverte di sicuro.

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Errata corrige! Errore gravissimo per una newsletter che si chiama Ok Boomer! La settimana scorsa ho scritto che le ragazze (giovanissime) che tornano ad allevare capre e fare le pastore sono della generazione X. Ovviamente, trattasi della Z. La X è stagionata quasi quanto i boomers. Me lo fa notare Gianni: grazie. L’importante è che non lo venga a sapere il Peraltro direttore, dicono sia molto pignolo.

Invece Andrea, da Valdagno, aggiorna il non breve elenco (in uno dei prossimi numeri lo ripeterò per intero) dei nomi di esponenti leghisti anglo-maccheronici. Il prototipo inimitabile, più parodistico di una parodia, è il vicentino Joe Formaggio, già noto alle cronache. Andrea segnala il consigliere comunale di Recoaro Kevin Vinetti, classe 1998; e Demis Lovato di Arzignano, sempre in quota Lega.

Poche le zanzare, la prima delle quali (dal Corriere della Sera, segnala Riccardo) ripropone un grande classico del titolismo all’italiana

EX 007 INTOSSICATI, UNO MUORE, È GIALLO

Credo che i precedenti, noti e ignoti, siano infiniti, a partire da un famoso titolo del Resto del Carlino degli anni Novanta, edizione di Imola:

RIPESCATO NEL SANTERNO UN CADAVERE. È GIALLO

E da una sua replica con aggravante sulla Nazione del 2012:

CINESE UCCISO A COLTELLATE, È GIALLO

Anche il sapiente titolista dell’Ok Boomer! della scorsa settimana ha voluto rendere omaggio alla tradizione con il titolo “Elianto, è giallo”.

Utile a capire quanto sia importante, anche nei titoli, mettere bene in sequenza le parole, è questo brutto incidente riportato da Verona News, segnalato da Davide:

CICLISTA INVESTITO DA UNA JEEP IN GRAVI CONDIZIONI

Se la jeep fosse stata in buone condizioni, le cose sarebbero andate diversamente?

Siamo ai saluti. Ancora pioviggina e fa piuttosto freddo, qui nel buon vecchio Nord Ovest, e l’autunno comincia piano a piano a marezzare di rosso, di giallo e di ruggine i boschi. Non sarà proprio l’estate indiana, anche perché gli aceri sono pochi, e bassetti, ma basteranno querce, frassini, carpini e robinie a confezionare, tempo un paio di settimane, un autunno come si deve. Non vi ho ancora molestato con i funghi, sciorinando una sfilza insopportabile di nomi botanici, ma sappiate che prima o poi lo faccio.
Gli elianti dei quali, sette giorni fa, vi ho mostrato la fotografia, sono ancora nel loro vaso e danno l’idea di voler reggere per qualche giorno prima di rassegnarsi, come tutti i fiori, a chinare il capo. Al primo giorno di sole ne raccoglierò degli altri. In alto i cuori!

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