Ignora il prossimo tuo
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Michele Serra
Martedì 9 gennaio 2024

Ignora il prossimo tuo

«Uno smarrirsi, uno spaesarsi, un perdere contatto con il luogo nel quale appoggiamo i piedi e con la materia fisica che ci circonda»

(Getty Images)
(Getty Images)

Che cosa sia di preciso la maleducazione non è facile da dire, tanto relativi e cangianti sono i costumi, le convenzioni e i tabù attraverso le epoche e i popoli. Si cita sempre (chissà se è poi vero) l’orientale che rutta a tavola per manifestare apprezzamento; e pare che lo sternuto, che per noi è un piccolo intoppo ma non un tabù sociale, per certi popoli sia invece, se fatto in pubblico, fonte di grave vergogna. La maleducazione, così come la buona educazione, non è, voglio dire, un concetto così oggettivo. Nessun codice, nessun galateo basta a definirla una volta per tutte, e tanto meno a metterla al bando.

Lunedì scorso ho provato comunque a manifestare un certo disagio per i modi bruschi, o malaccorti, o distratti, che mi sembrano in aumento. Avvertendo che, magari, la mia era una considerazione molto “d’epoca”, condivisibile dai boomer e meno sentita dalle generazioni successive. Beh, le vostre mail, numerosissime come sempre, confermano in toto questo mio sospetto. Per quanto precario sia il novero per altro non esiguo dei miei lettori, come campione statistico, mi ha fatto una certa impressione constatare che, sul tema, mi hanno scritto solo boomers, più qualche raro cinquantenne. Forse per la prima volta da quando Ok Boomer! esiste (ormai è un anno) nemmeno un cenno dai lettori più giovani, di solito molto presenti e molto loquaci. Come se, appunto, il rilevamento di un “aumentato indice di cattive maniere” sia strettamente legato a parametri anagrafici; non registrato, o considerato poco interessante, da chi è sotto il mezzo secolo di vita. Chissà, dunque, se vale ancora, e se vale per tutti allo stesso modo, quanto Scott Fitzgerald faceva dire a Dick in Tenera è la notte: “O si impara l’educazione a casa, o il mondo la insegna con una frusta, e ci si può far male”.

Più sotto potete leggere la solita lenzuolata (ovviamente molto sintetizzata) di opinioni e di esperienze. Avendola io già letta, voglio comunque anticipare una considerazione, comune a diverse mail, che mi sembra possa imprimere un piccolo salto di qualità alla discussione. Più di un lettore mette l’accento sulla mancata percezione della presenza fisica altrui. Non dunque sull’aggressività; o sulle cattive intenzioni; ma sul “non accorgersi”. Lo sguardo e l’attenzione sono assorbiti da quel vasto e coinvolgente “altrove” rappresentato dallo schermo del cellulare o altri dispositivi di connessione; così che il vero “altrove” diventa, alla fine, il mondo fisico circostante, effettivamente non sempre entusiasmante e però sempre rilevante (fino a vent’anni fa: il solo rilevante). È come se in molti fossero espatriati da questo mondo, pur abitandolo fisicamente. Ne conseguirebbe una minore consuetudine con le convenzioni, le espressioni verbali, le maniere tradizionalmente impiegate per amministrare la convivenza fisica con gli altri: il “qui e ora”. Si è quasi sempre da un’altra parte, e questo, inevitabilmente, muta nel profondo percezioni e atteggiamenti.

Questa progressiva sostituzione del “prossimo” con il “distante”, un distante per altro molto più vicino alla punta del nostro naso di quanto lo sia la persona a due metri da noi, è un fenomeno, come si dice, veramente epocale, nel senso che ha cambiato nel profondo non solamente i nostri gesti individuali, ma anche le nostre relazioni sociali. Si dice in genere “è sempre spiacevole citarsi”, convenevole parecchio usato da chi fa il mio mestiere, ma in questo caso, e nella mia newsletter, mi fa invece molto piacere citare un mio romanzo del 2015, Ognuno potrebbe, nel quale di questo passaggio d’epoca si parla molto, quasi in ogni pagina, come di uno smarrirsi, uno spaesarsi, un perdere contatto con il luogo nel quale appoggiamo i piedi e con la materia fisica che ci circonda.

Chiusa la parentesi di autopromozione (però pertinente), aggiungo che forse non sono le “cattive maniere” il fenomeno del quale stiamo discutendo, ma qualcosa di meno formale e più sostanziale. È come se dovessimo resettare molte delle nostre abitudini e dei nostri modi di fare perché stiamo entrando, anzi siamo già entrati, in un mondo che ha una specie di doppia natura: quella fisica e quella virtuale, non meno rilevante e anzi spesso predominante. Con un’avvertenza che, almeno questa, non è da boomer e vale davvero per tutti: gli urti, le gomitate, i danni fisici, gli incidenti d’auto, avvengono irrimediabilmente nel mondo primitivo, quello fisico. E dunque almeno quando attraversate la strada datevi un’occhiata attorno, altrimenti vi spianano, e non fate nemmeno in tempo a postare l’incidente sui social.
Ultimissima cosa: un ringraziamento a Raffaele. Come vedrete è l’unico, tra i miei corrispondenti, a sostenere che eravamo molto più maleducati una volta. Così almeno è un dibattito, non un plebiscito di vecchi zii e vecchie zie da me istigati a lagnarsi delle cattive maniere…

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“Sono anch’io una boomer, nata nel 1956. Mi sono ritrovata molto nelle tue parole sulla maleducazione, perché in effetti con mio marito ed altri coetanei abbiamo notato questa spiazzante deriva di piccole e grandi inciviltà quotidiane.
Più di tutto mi colpisce, forse perché sono una psichiatra, quella specie di cecità, che anche tu hai descritto, rispetto alla mera esistenza dell’Altro. I “ragazzi”, e non solo ormai purtroppo, vivono in una bolla che non contempla la possibilità di accorgersi che non tutto è riferito al loro piccolo universo attuale, quindi lo smartphone e le persone con cui si stanno relazionando in quel momento. Il resto non esiste, e tra questo resto c’è a volte la mia persona che viene ignorata. Questo universo così ristretto è forse poi il motivo per cui non ci si interessa più del sociale, o per cui nemmeno si va più a votare? Se l’alterità nel mondo fisico non esiste più, siamo ancora animali sociali o solo social, essendo i social media l’unico apparente reale interesse?”
Donatella

“Ho 54 anni e sono un progettista sociale. Ho la sensazione, da tempo, che il problema non sia di generica maleducazione, ma dipenda dal mancato apprendimento della differenza tra ruoli e contesti. In un mondo sempre più egoriferito, dove la maggior parte dei servizi sono on demand, si è persa la capacità di essere o di agire diversamente in funzione del contesto in cui siamo e del ruolo che abbiamo in quel contesto. E questo non è un problema di boomer o di giovani: mi sembra diffuso in tutta la società. Qualche esempio: se un medico e un infermiere hanno da ridire, non dovrebbero farlo davanti ad un paziente; se io dico che non credo nell’importanza del 25 aprile sono solo un cretino qualunque, se lo dice la seconda carica dello Stato è un’altra cosa; dare del cretino a un insegnante potrebbe non essere un problema (magari è anche vero), farlo davanti ai propri figli che studiano nella scuola di quell’insegnante è un problema; dire a un mio amico che Serra è uno spregevole individuo e probabilmente un ladro mi rende una persona con una brutta idea di Serra; scriverlo su un social media mi rende colpevole di un reato. Si potrebbe continuare con questi esempi all’infinito. Non comprendere che quello che dico, e come lo dico, quando sono con amici in privato deve essere diverso da quello che dico e come lo dico quando sono in un consesso pubblico o quando ricopro un ruolo (insegnante, politico, medico, negoziante…) è il male del momento”.
Ruggero Signoretti

“Condivido le sue riflessioni sulle usanze mutate e sul minore rispetto formale che ormai si manifesta diffusamente. Resto sempre colpito quando, entrando in un negozio, la commessa di una cinquantina di anni meno di me mi saluta con un ‘ciao, cosa ti dò?’ oppure quando cammini sul marciapiede e incroci dei ragazzi che lo occupano completamente e si guardano bene dallo scansarsi di un millimetro. Mi consola vedere le mie due figlie comportarsi diversamente (almeno per quanto mi è dato di vedere). Con le figlie si parla molto, una lavora a Milano e frequenta ambienti di sinistra, se questa parola ha ancora un senso, l’altra un poco più giovane vive con noi, è femminista, intransigente, non disposta a compromessi. Mi sembra però che al di fuori non trovino altri con cui confrontarsi”.
Teresio Delsignore

“Sono un po’ più giovane di lei ma non abbastanza da non ricordare come ci si comportava in pubblico negli anni 70, 80, 90. Ma lo sa che tutto questo peggioramento non lo vedo proprio? Oggi ci si scanna nei social, negli anni 70 nelle piazze. Oggi si chiede scusa quando ci si urta per strada a volte sì a volte no, come negli anni 80. Oggi le donne vengono importunante di meno per strada di una volta, per i fischi e per le manate sul culo non si finiva nei telegiornali.
Oggi si litiga per il parcheggio come una volta ma forse una volta ci scappava il morto più spesso. A proposito di morti, i dati parlano chiaro. I maestri a scuola menavano come fabbri e chi era dislessico finiva dietro alla lavagna. Una volta non si faceva la raccolta differenziata e se buttassimo per strada la stessa percentuale di contenitori che buttavamo via negli anni 70, 80 e 90, vista la crescita esponenziale del packaging, la monnezza per strada sarebbe insostenibile. Negli anni 90 i proprietari di cani non raccoglievano le cacche dai marciapiedi. Nei negozi si viene salutati di meno perché ormai il libero servizio ha vinto e quando vieni salutato da un commesso già ti metti sulla difensiva, cosa possono fare i poveri commessi per essere gentili senza salutare? Sono finiti i formalismi e questo da più spazio alla goffaggine dei meno intelligenti, ma non mi sembra una emergenza nazionale”.
Raffaele

“Ho quasi settantotto anni, sono una vecchia signora grigia di capelli e ho deciso di investire una parte del mio tempo in tutte le forme del rispetto degli altri e della buona educazione, tipo: quando mi avventuro sulle strisce pedonali per attraversare, faccio chiari cenni di ringraziamento in direzione delle auto che si fermano; saluto a voce alta e chiara entrando e uscendo dai negozi; mi scuso sempre ad voce alta e chiara se urto o vengo urtata per strada; quando passeggio per sentieri montani col cane ( pastore belga, buonissima ma con faccia nera nera che fa paura) lo lascio libero ma al primo apparire di un altro passante la richiamo; se si profila un ciclista idem. Insomma pratico una forma attenta e insistita di buona educazione. Sarà l’effetto Nonna Papera, però gli umani che trovo sulla mia strada rispondono in modo amichevole, a volte stupito: comunque le brevi interazioni che ne risultano a me danno l’impressione di vivere in un mondo amico. Sono molto consapevole che pratico uno sport di lusso: ho tempo, vado a piedi, non devo portare bambini a scuola, raggiungere di corsa il luogo del lavoro, tornare a casa la sera stanca morta. Mi ricordo benissimo quando la vita era così, ma visto che adesso ho tempo, questo lusso dell’attenzione per l’altro offre prospettive non male sul mondo”
Annalisa

“Anch’io sono ormai una vecchia zia, ma la maleducazione mi urtava anche da giovane. Faccio una considerazione su quello che ho notato negli anni: i più educati sono gli stranieri. Se un ragazzo (o meno giovane) non di nazionalità italiana ti urta perché non ti ha visto, ti chiede immediatamente scusa come a qualcuno che in questo Paese è padrone, mentre lui è un clandestino anche quando ha un regolare permesso. Un’altra cosa che ho notato, lo dico con dispiacere: i ragazzi sono molto più educati delle ragazze che invece appaiono sempre più concentrate su se stesse, completamente lontane dalla vita altrui ; si piazzano davanti alla porta dell’autobus senza consentire l’uscita e ti guardano allibite se gli chiedi di spostarsi, lo stesso se ti bloccano il passo su una porta o un ascensore e loro stanno beatamente chattando o parlando al telefono”.
Clotilde Giurleo

“Sul mio profilo WhatsApp è riportata la frase ‘la gentilezza è rivoluzionaria’, che nei miei ricordi era presente sul palco di una festa di Cuore (1993? 1994?). L’ho sempre trovata assolutamente vera e geniale, nella sua semplicità. Quindi non so se perché sono del ’71 o per qualche altro motivo, ma penso che il mondo e la vita sarebbero decisamente migliori se ci fossero più gentilezza e buona educazione”.
Sergio

“Mi dichiaro vecchia zia. Nella realtà sono una vecchia nonna di bambini molto ammodo. Alla sua disamina della scortesia aggiungo un gradino in più: quella maleducazione che arriva all’inciviltà. Parcheggi sulle strisce pedonali, agli angoli delle strade, sui marciapiedi. In questo caso si tratta di moto, motorini e monopattini. Spazzatura per terra anche quando i cassonetti sono stati svuotati, traslochi su strada. Al di sotto di queste vette, si colloca l’ordinaria mancanza di un sorriso di scusa (dato che a tutti può capitare una svista o una cavolata), di un cenno, di un segno di presenza umana. Io lo faccio apposta a girare con la faccia sorridente e le parole gentili pronte, è una mia piccola sfida, mi diverto… e spesso raccolgo”.
Maria Vittoria Zoccai

“Da buon boomer cresciuto (in questo caso da una nonna) a massicce dosi di buona educazione ho notato anch’io un aumento degli atteggiamenti descritti nella newsletter. Mi vengono spontanee alcune considerazioni, non particolarmente originali ma che mi sembra comunque utile sottolineare .
La prima è che, perlomeno in base alla mia esperienza, questi atteggiamenti sembrano dettati da un misto di indifferenza e di paura/ostilità nei confronti dell’altro, immersi come siamo un po’ tutti in un clima sociale in cui l’individualismo più becero e la competizione senza freni sono visti da ormai troppi anni come dati ‘naturali’ o addirittura come elementi di progresso e prosperità. La seconda, forse ancora più tristemente scontata della prima, è che nella comunicazione pubblica delle classi dirigenti (non solo in Italia) la maleducazione – dallo sfottò sino all’insulto più greve – è ormai da tempo ampiamente sdoganata e anzi spesso rivendicata in quanto sedicente prova di sincerità d’animo e di genuinità. Colpisce però, in questo contesto, l’apprezzamento generale e anche l’affetto di cui gode una persona ‘che più beneducata non si può’ come il nostro Presidente Mattarella. Forse la buona educazione tanto cara alle nostre zie e nonne non è solo un vezzo ipocrita da boomer radical-chic ma una esigenza umana più profonda di quanto pensiamo”.
Francesco Lollobrigida

“Mi autodenuncio: sono una vecchia zia. La gente che non saluta esiste solo qui, appena valichi le Alpi ti chiamano Madame o Love o Dear o ma’am come la Regina Elisabetta e ti dicono bonjour, bonne route, have a nice day ecc. Ergo siamo un popolo di maleducati, ignoranti e arroganti e io non ne posso più.
Fine del primo sfogo del 2024”.
Maria Cristina

“C’è un antidoto: dirsi grazie da sé. In pratica ogni qual volta, per naturale cortesia, cedo il passo a qualcuno per strada o compio altri gesti simili di gentilezza, non attendo né mi attendo il grazie che in modo altrettanto naturale dovrebbe arrivarmi; dico grazie io ad alta voce; inutile dire che la sottile ironia o se vuoi il sarcasmo insito nell’asserzione è un termine senza significato, poiché i nostrali distinguono on-off solo farìdere-nonfarìdere”.
P.D.

“Concordo sulla maleducazione. È ovunque, in ogni classe sociale, in tante famiglie, persino tra amici. Io mi dispero, girando per la città, della sporcizia che straborda per le strade e nei giardini. Mi dico che il Comune pulisce poco ma che noi sporchiamo molto. E poi devi fare attenzione alle cacche dei cani, ai monopattini, ai ciclisti, agli automobilisti e ai pedoni. Probabilmente mi lamento essendo una boomer ma penso che basterebbe davvero poco avere un po’ di riguardo per le nostre città e per chi le abita”.
Daniela

“Ho festeggiato trent’anni di lavoro in Trenitalia. Ho sempre lavorato a contatto con il pubblico. Ho fatto la capotreno, ho lavorato in biglietteria, in ufficio assistenza, ora sono coordinatrice di un FrecciaClub. Il treno, la stazione, le lounge sono formidabili punti di osservazione del comportamento dell’essere umano e devo prendere atto che purtroppo i livelli di maleducazione e aggressività sono davvero aumentati. È interessante indagare le cause di questo declino e constatare che riguarda tutti. Ha colpito tutti (come il covid). A me viene in mente (e so di rischiare grosso e di sconfinare nella grande boomerata) che la TV dei talk show prima, e poi il confronto che abbiamo iniziato a sperimentare sui social, ci abbiano diseducati alle buone maniere. Magari siamo diventati super esperti ad argomentare. Ma ci siamo scordati tutte quelle formule di cortesia verbale e quei gesti legati alla nostra espressività fisica che farebbero emergere la nostra sensibilità, il tatto, la gentilezza e mi lasci dire: l’eleganza”.
Alessandra

“Ma del “tu” ostentato in negozi e bar ne vogliamo parlare? Mi irrita, mi offende, mi disturba. L’inevitabile ipertatuata/o con una confidenza forzata si rivolge con il “tu” al signore brizzolato che irremovibile continua a esprimersi con un educatissimo “lei””.
Carlo Simonetti

“C’è dell’altro, secondo me, oltre l’educazione. C’è un modo di comportarsi collettivo più o meno dotato di civicness. Mio figlio, rientrato in Italia dopo dodici anni all’estero, dichiara papale papale che gli italiani sono tutti cafoni: per come guidano, per come interrompono, per come pensano le donne, per come trattano le cose pubbliche. Ed è rientrato a Milano, eh, non da Balmoral, ma dalla Spagna…”
Anna M. Ponzellini

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Nella puntata natalizia dedicata al lupo ho commesso un errore che ben tre persone mi hanno immediatamente fatto notare, con la severa gentilezza tipica dei lettori del Post. Volendo intendere che la popolazione di lupi è molto aumentata, ho scritto “ripopolamento”. Parola sbagliata. Ripopolamento vuol dire che una specie viene intenzionalmente introdotta dall’uomo, o reintrodotta, in un habitat più o meno consono. Mentre l’aumento di popolazione del lupo è stata mera conseguenza “naturale” della politica di protezione della specie decisa, in Italia, a partire dagli anni Settanta. Mi scuso con i lettori e con il lupo, che è un animale in gamba e si è dunque “ripopolato” da solo: anche se sotto lo sguardo complice, e partecipe, dell’uomo e delle sue istituzioni.

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Zanzare Mostruose ritrova, dopo la parentesi delle Feste, la sua buona lena. Ne approfitto per dire che per me il giorno dopo l’Epifania, che tutte le feste si porta via, è il più bello dell’anno: amo la normalità più di qualunque altra cosa, e una sospensione della normalità lunga due settimane mi è sempre sembrata molto faticosa da reggere.
I titoli di questa settimana sembrano confermare la tesi che la vera emergenza nazionale non sia economica, non sia politica, non sia sociale, ma sia psichiatrica.

SI RIFIUTA DI LASCIARE L’ALBERGO A FINE VACANZA: INTERVENGONO LE FORZE DELL’ORDINE MA LEI RISPONDE FACENDO IL VERSO DEGLI ANIMALI

Tratto dal giornale on line il Dolomiti e segnalato da Gianluca. Essendo il titolo molto lungo, dispiace che non venga specificato di quali animali sia il verso che si è levato nella hall dell’albergo. Della stessa risma mi sembra questa indecifrabile vicenda, così riportata da PadovaOggi del 27 dicembre, e segnalata da Anna:

IL CANE SI SENTE MALE, I POLIZIOTTI PORTANO LA PADRONA IN CLINICA

La segnalazione di Lucia, tratta dall’informazione locale della Val d’Ossola, ci riporta invece a un clima molto natalizio, alla Frank Capra, che a modo suo fa bene al cuore:

DOMODOSSOLA, EVADE DAI DOMICILIARI E RUBA LE DECORAZIONI DI NATALE DI UN RISTORANTE

Si spera che gli inquirenti tengano conto delle attenuanti: è molto probabile che il gesto sia motivato dal forte desiderio di partecipare al Natale a dispetto del provvedimento restrittivo.
Claudio ha trovato su X (ex Twitter, perfino io lo so) questo magnifico manifesto di proselitismo religioso. Non è un titolo di giornale, ma viene ammesso in questa rubrica per l’evidente valore semantico:

DIO SI È FATTO UNO DI NOI

Evidenti le buone intenzioni (vedi One of us di Joan Osborne, molto bella la versione italiana di Eugenio Finardi), ma l’autore del coinvolgente slogan avrebbe dovuto interrogarsi sul possibile equivoco che l’espressione “si è fatto” comporta.

La segnalazione di Enrico (da Vela channel) si avvale del vecchio, formidabile effetto comico del refuso, errore di battitura ben noto a chi campa scrivendo:

L’EFFETTO EVOLUTIVO DELL’ELICA: COME GESTIRLO SULLA PROPRIA BARA

Il titolista, in questo caso, non è riuscito a tenere dritta la barra. Infine, piccolo gioiello, tratto da Il Saronno e segnalato da Mario:

LADRI DI FIORI AL CIMITERO DI VIA MILANO: L’AMAREZZA DELLE VITTIME