Diversità e inclusione
«Essere differenti, non assomigliare troppo agli altri, sentirsi riconoscibili e perfino apprezzabili per vie secondarie, accorgersi di essere “troppo uguali” e desiderare non esserlo più»
“Di sabato mattina in via Toledo, a Napoli, le ragazzine sembrano tutte l’ultima fidanzata del campione”. Lo scrive Concita De Gregorio in un lungo pezzo sull’ossessione estetica che omologa le facce fino dalla preadolescenza, le stesse labbra gonfie, gli stessi capelli lunghi, le stesse sopracciglia assottigliate, lo stesso belletto lucido, porcellanesco, che occulta le imprecisioni – le differenze – e spalma luci e ombre nella stessa, indistinta fotogenia. Sui profili social non è per niente facile trovare l’eccezione alla Regola.
Se ne parla molto, adesso, perché è morta una ragazza, povera figlia, per mano di uno dei tanti praticoni che promettono bellezza a basso costo. Venghino signori, venghino signorine: tutti ricchi, tutti belli, basta mettersi in coda e soprattutto non farsi troppe domande. Né su chi vorresti essere per davvero né su chi ti aspetta dietro certe porte invitanti. In rete il mondo sembra sempre un posto a portata di mano.
Ho visto un po’ di video di nuove pop star ventenni (basterebbe, per tutte, Billie Eilish) che, da questo punto di vista, aprono il cuore alla speranza: non dico trasandate, non dico neanche “ragazza della porta accanto”, ma insomma facce del tutto estranee al cliché “fidanzata del campione”, introvabili nel catalogo delle pose e dei ghingheri femminili. Ragazze che, solo a vederle, fanno pensare che si pensano da sole, per loro conto, e guai a inquadrarle in qualche paginetta del già visto, già sentito. Certo le pop star, ne abbiamo avuto fresche conferme, contano fino a un certo punto. I flussi oceanici dei gusti popolari vanno per la loro strada, impetuosi e spesso invisibili fino a che non te li ritrovi davanti, in via Toledo o in via del Corso o in piazza del Duomo, e ti domandi: ma quando è successo che le ragazze hanno definitivamente abolito i capelli corti?
Sull’omologazione dei comportamenti e dei gusti è stato detto di tutto. Che è sempre esistita, e anzi nei tempi antichi si era irreggimentati altro che dal rossetto e dalle scarpine giuste e dall’ultimo modello di smartphone: erano la religione e l’obbedienza al Re a organizzare la fila. Che è un falso problema, perché nessuno ti obbliga (questa cosa che “nessuno ti obbliga” è uno dei grandi alibi che consentono al conformismo di massa di travestirsi da libera scelta). Oppure, al contrario, con un pasolinismo facile facile, che ormai non c’è più speranza, il popolo tutto intero è irretito e corrotto dal consumismo, altro che religione o ideologia, l’assoggettamento definitivo del popolo è davanti alle vetrine.
Non so bene in quale punto del dibattito collocarmi. Quello che mi interessa chiedermi, però, è dove, quando e come, e soprattutto se, si manifesteranno, o già si manifestano, le forme di renitenza, le novità rilevanti, le disobbedienze non solo estetiche. Non parlo delle avanguardie (quelle ci sono sempre state e sempre ci saranno), parlo dei movimenti di massa, della residua speranza che possano ancora nascere, e cambiare la scena nel profondo, e diventare varianti importanti del Movimento di Massa Unico attualmente in corso, che è il conformismo. Immagino che le ragazze di via Toledo non conoscano Billie Eilish (qualcuna magari sì) e dunque non parlo tanto di modelli da imitare, anche se di buoni modelli da imitare c’è un gran bisogno. Parlo della eventuale rottura interna, e diffusa, di un meccanismo di “somiglianza” che, confesso, mi sgomenta. Essere differenti, non assomigliare troppo agli altri, sentirsi riconoscibili e perfino apprezzabili per vie secondarie, accorgersi di essere “troppo uguali” e desiderare non esserlo più. E condividere con altre persone questo scarto, questa novità: evitiamo di assomigliare troppo alle altre, agli altri. Evitarlo ci piace, ci fa sentire più libere, più liberi, la forma da dare a noi stessi è affare nostro (con-formismo vuol dire che tutti hanno la stessa forma: come da fotine sui social).
Non penso che questo sentimento (forse: questo presagio di amor proprio) dipenda strettamente dal livello culturale o dalle possibilità economiche. Anche se, certo, potere leggere, viaggiare e conoscere il mondo amplia la gamma della percezione, anche della percezione di sé. Penso che sia, appunto, un sentimento. Piuttosto basico. Forte in ogni essere umano, tanto quanto il desiderio di confondersi con gli altri. Il desiderio di distinguersi dagli altri. Di essere unici, inconfondibili.
Mi piacerebbe vederlo nascere e attecchire, questo sentimento, contagiando non solo le cosiddette élites, anche le cosiddette masse, che sarebbero poi, a ben vedere, una somma di persone. Forse mi illudo, forse no, e un giorno o l’altro anche in via Toledo si avrà la percezione visiva che si sono stufate, le ragazze, di assomigliarsi tutte.
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La settimana scorsa il mio racconto, apparentemente divagante, sul piacere di uscire sempre e comunque di casa, ha suscitato una lunga coda di mail. Questa è una selezione breve e, credo, molto espressiva. Sembra di vedervi, tutti quanti, perdere un po’ di tempo tra le persone e le botteghe. Molto condiviso il mio elogio dei ferramenta (delle ferramenta?).
“Il rituale dei due passi con un pretesto pretestuoso è anche per me un modo per riconquistare la libertà dalla dittatura delle incombenze quotidiane, ritrovarmi padrone del mio tempo, libero persino di ‘sprecarlo’ per acquistare una pila per quell’orologio fermo da mesi o di un gancio per quel quadretto che vorrei appendere da qualche parte anche se non so dove. Incombenza che mi spinge ad incamminarmi verso uno di quei supermercati del bricolage (ce n’è uno a 10 minuti a piedi da casa) oasi del possibile, dove mi sento capace di costruire/aggiustare qualsiasi cosa. Poi, puntualmente, ritorno a casa con una borsa piena di cose che probabilmente non userò mai e una spesa insensatamente lievitata rispetto ai pochi euro previsti… Certo, mi ritengo un privilegiato potendo da libero professionista gestire il tempo del mio lavoro in autonomia, ma per fortuna ad oggi nessuno ha ancora standardizzato il tempo necessario alla generazione di un’idea”.
Marco
“Da sempre, anche quando lavoravo e avevo i bambini piccoli, ho questa attitudine a uscire e perdermi in chiacchiere. Il mio attuale marito, all’inizio, non si capacitava che io uscissi per comprare il pane dietro casa e tornassi dopo un’ora, ignorando messaggi e telefonate, tanto ero presa dalle persone che avevo incontrato. Pensava sempre mi fosse accaduto qualcosa. E certo che mi era accaduto qualcosa, ma niente di tragico, avevo solo dedicato ad altri e a me stessa un po’ di tempo vuoto da pensieri e preoccupazioni. Un sorriso qui, un buongiorno là, un piccolo gossip, l’ascolto del racconto di un malanno o l’offerta di un consiglio, niente di ché ma brevi momenti che hanno sempre fatto la differenza nei rapporti di vicinato. Oggi posso dire che sono una persona molto amata (soprattutto dagli anziani perditempo)”
Emilia
“Evviva il cazzeggio senza sensi di colpa, evviva la comunicazione fra umani!
A vent’anni frequentavo Lingue a Verona e, quando avevo lezione al pomeriggio, ero incaricata da mia madre di preparare il pranzo. Un mattino misi sul fuoco una pentola d’acqua con le patate, calcolando che avrei avuto un’oretta per uscire in bici in paese per comprare il pane. Ma mi sono fermata con ogni persona che conoscevo, così il tempo passava e dimenticai completamente le patate lasciate a bollire… Morale: entrata in casa mi avvolse una nuvola di fumo e una puzza di bruciato…La pentola in alluminio? da buttare. Le patate immangiabili. Insomma uscire era perdere la nozione del tempo e svagarsi con le ‘ciacole’… La gente, quanto la amo, e nei paesini tanto di più! Oggi, già in pensione, ogni tanto prendo su e vado via due giorni con la mia auto col letto dentro. E ciacole con chiunque e dovunque in tutte le lingue che conosco, e no. Che meraviglia ogni occasione d’ incontro. Non cucino più, nel frattempo. Vivamus et amemus”.
Nicole (Barge, CN)
“I momenti più belli della giornata per me sono la colazione e il caffè di metà mattina. Mi piace girovagare per la città, fare fotografie e scovare qualche angolo nascosto che non conoscevo. Quando arrivo nella piazza Duomo (il Duomo di Voghera è stupendo) non manco mai di entrarci per accendere qualche candela. Non vado per pregare ma per ringraziare per tutto quello che ho. Il mattino per me è davvero un bel momento. A proposito di ferramenta ieri ho visitato una casa museo a Mede (PV) dove questo signor Boccalari raccoglie cose pazzesche.
Se ama la ferramenta dovrebbe visitarla perché io cose così non le avevo mai viste, e vengo da una cascina. Vale una visita solo per i martelli”.
Angelina
“Girovagare per le strade cittadine o di un borgo è importante per un sano cazzeggio, ma fondamentale è anche il ‘casuliare’, ovvero il gironzolare per casa ora aprendo un libro ora spostando un soprammobile ora guardando fuori dalla finestra ora inseguendo il gatto (che non aspetta altro per giocare) ora guardando nel frigo. E i pensieri vanno…”
Raffaello
“Grazie dell’ode alla passeggiata pretestuosa, quella che vive del cosa si va a fare (i famosi bulloni… viva le ferramenta!!), insieme mezzo e fine. Mio padre dice spesso ‘chi va in giro lecca e chi sta a casa se secca’, e chissà se è un vero proverbio o lessico famigliare. Nel dubbio vado in giro, danzo, mi lascio sorprendere dalla vita, o semplicemente non ‘me secco’”.
Giulia
“Cazzeggiare pallido e assorto/presso un rovente muro d’orto (dalla prima stesura autografa di Eugenio Montale…). I momenti in cui si lascia ogni compito importante per cazzeggiare sono fondamentali. A parte la socializzazione con le fioraie, permettono al cervello di distendersi placidamente. Ma mentre Serra si diverte, il cervello disteso continua ad elaborare. Scrive una brutta di ciò che lei poi copierà in bella al computer. Merito dell’inconscio che fatica mentre lei cazzeggia”.
Piergiuseppe Menietti, 1949
“Da quando è divenuto impossibile soddisfare il naturale bisogno di ‘danzare’ dell’essere umano, la spinta al movimento tanto ben descritta da Chatwin, il desiderio di strusciarsi contro il flusso ininterrotto della città, di incontrare persone a caso, amici o semplici sconosciuti, senza doversi motivare con qualche acquisto? Ma chi lo ha inventato, intendo quale generazione? La mia (M45), la sua o qualche altra lettera di coda dell’alfabeto inglese? Chi o cosa ha trasformato il giro di spesa quotidiana, commisurato (o quasi) ai bisogni immediati, in una gita consumistica quotidiana?”
Adriano
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Zanzare sontuose, questa settimana. Grazie a voi lettori, che avete lo sguardo acuminato e non vi sfugge niente. Per cominciare, un refuso eccellente che Sandra ha trovato in UdineToday.
VIOLENZA A SCUOLA, I RIMEDI SARANNO
CANTI ANTIDROGA E AGENTI IN BORGHESE
I compositori di canti antidroga si facciano avanti: potrebbe essere il loro momento. Un altro refuso notevole, segnalato da Simona, ha fatto capolino sul Corriere della Sera:
SPAZI RISTRETTI, TRATTAMENTO INADEGUATO E ANIMALI FERITI:
COSÌ SI ALLEVANO I CONSIGLI IN GABBIA
Terzo refuso, dalle conseguenze imprevedibili nel mondo accademico, quello trovato da Michele su Milano Finanza:
NUCLEARE, IN ITALIA IL PRIMO SIMULATORE
DI UN RETTORE DI QUARTA GENERAZIONE
Il quarto e ultimo refuso è di Alto Adige e fa riflettere sul potere subdolo che il gioco d’azzardo e le bische esercitano a nostra insaputa. Segnala Francesca:
UBRIACO VANDALIZZA AUTO E SCOOTER: MULTATO
E BANDITO DAI BARI DEL CENTRO PER DUE ANNI
Accanto alla sezione refusi, sempre florida, prospera la sezione equivoci, la più insidiosa, la più affascinante. La necessità di sintesi non consente al titolista, a volte, di attribuire con chiarezza ruoli e responsabilità. Segnala Franco da FoggiaToday:
SACERDOTE PICCHIATO NEI LOCALI DELLA PARROCCHIA:
“ERA STRAFATTO E PIENO DI ALCOL”
Con qualche malizia, Mauro giudica piuttosto ambiguo questo titolo a nastro, avvistato su Sky Tg24.
SCIOPERO TRASPORTI. SALVINI: UN DANNO PER IL PAESE
Una didascalia dal Corriere della Sera, segnalata da Mauro, ci parla di un verbo digitato per errore al posto di un altro:
UN 26ENNE È STATO RUBATO MENTRE TENTAVA DI SCAPPARE
DALLO STORE DI PIAZZA SAN BABILA CON ACCESSORI RUBATI
Doppia segnalazione (di Paolo e di Riccardo) per questo titolo di grande suggestione del Messaggero Veneto. Molti ci si riconoscono. In fondo, potrebbe essere una soluzione.
VINCE TRUMP
SI ARRABBIA
E SI PERDE
IN MONTAGNA
Gran finale. Non è la distrazione di un titolista, ma la potenza della cronaca (e della vita) a rendere epico questo titolo, letto da Michele sulla Libertà, glorioso quotidiano di Piacenza e provincia:
“SUOCERA COLPITA IN FRONTE CON UNA PECORA DI LEGNO”:
CHIESTI SEI MESI DI RECLUSIONE
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Anche se so bene che chi si loda s’imbroda, non riesco a salutarvi senza dirvi che esce in libreria questa settimana, come sempre per Feltrinelli, il mio nuovo libro Osso, storia dell’ incontro tra un vecchio e un cane. E che sono veramente contento di averlo scritto. Nacque quattro anni fa, in pieno lockdown, come libro per ragazzi, è stato adottato in molte scuole primarie e secondarie, ha avuto ottima accoglienza in libreria. Oggi Osso comincia la sua seconda vita come libro di narrativa tout-court. È illustrato, con magnifica leggerezza di tratto, da Alessandro Sanna, la stessa mano che aveva illustrato l’edizione, coloratissima, per ragazzi.
È una storia semplice e breve, rileggendone alcune pagine in pubblico, sabato sera, al Castello Sforzesco di Milano, per BookCity, sono stato contento di non trovare, nelle mie parole, quel tanto di melensaggine, di sentimentalismo facile, che capita di usare quando si scrive di cani e di animali in generale. È un libro piuttosto duro, anche se parla pur sempre di amore, ed è duro perché la natura lo è. Travolgente e dura. Affascinante e dura. Chi ha letto Jack London sa di che cosa stiamo parlando.
Milano, sabato sera, sprofondava nella nebbia “come ai vecchi tempi”, come nelle canzoni di Jannacci, come quando c’erano i borghesi e gli operai, come quando andavo a scuola. Nostalgia? Beh, ogni tanto capita, mica possiamo vergognarci. Sempre in alto i cuori, che nella vaghezza delle notti nebbiose prendono quota, e spariscono nel buio, sopra i trolley dei tram, senza fatica e senza farsi del male.