Dichiarazioni di colpevolezza
Si è scatenato il finimondo. La mail di Manuela “ho comprato un biglietto per il concerto di Al Bano, ditemi se è grave” ha dato la stura a un’alluvione di confessioni/rivendicazioni attorno al concetto di guilty pleasure, piacere colpevole, o forse meglio “piacere che fa sentire in colpa”. Le piccole (o grandi) cose di pessimo gusto che facciamo volentieri. Così volentieri che compongono, con pieno diritto, il nostro ritratto e la nostra biografia.
Per dire quanto sia utile chiacchierare, a patto che gli interlocutori siano quelli giusti, devo confessarvi prima di tutto che l’espressione guilty pleasure, così precisamente eloquente, l’ho imparata da voi, qui e adesso. Non la conoscevo. D’altra parte l’elenco delle cose che scopro di non sapere non solo è cospicuo, ma si allunga con il passare degli anni – così che attorno ai novanta, se ci arrivo, potrò finalmente dire: non so niente, dunque posso imboccare felice e leggero il mio ultimo chilometro.
Prima di cedere la parola all’assemblea, mai presente e rumorosa come questa settimana, vi devo però dire un paio di cose che mi sembrano molto attinenti al nostro argomento. Attorno ai concetti di “alto” e “basso” si discute, da più di mezzo secolo, accanitamente. Non mi sento in grado di riassumere, anche per sommi capi, la materia del contendere, che è smisurata quanto la massificazione dei gusti, la confusione dei generi, l’allargamento del pubblico, la decadenza dei vecchi criteri di distinzione tra “colto” e “incolto”. Quando ho cominciato a lavorare nei giornali, alla fine degli anni Settanta, la musica classica si chiamava “musica colta”, tutta quell’altra era “extra-colta”, ovvero fuori dai canoni delle culture musicali consacrate (la sinfonica, la lirica, la contemporanea, forse il jazz per le menti critiche più spigliate). Ditemi se può reggere, oggi, una così assurda separazione.
Possiamo dunque affermare, con una certa sicurezza, che la binarietà alto/basso non ha retto all’urto dei tempi – al pari di molte altre binarietà. Alto e basso sono categorie sempre deformabili e sempre discutibili, non più separate da un confine netto, ammesso che lo siano mai state (Verdi era pop!). Un film di Godard non è un film con Alvaro Vitali – questo è facile. Keith Jarrett non è Pupo, anche se entrambi emettono suoni – anche questo è facile. Ma nel mezzo c’è un oceano.
La commedia all’italiana, per dirne una, fu, nei suoi anni d’oro, un esempio ammirevole di con-fusione tra le due categorie, spesso riuscendo a essere alta e bassa nello stesso momento, addirittura nella stessa scena e nella stessa battuta. La comicità, che ha sovente modi spicci, può toccare vertici di grande raffinatezza intellettuale. Serie TV molto pop, destinate a pubblici vastissimi, sono veri e propri gioielli narrativi (ho perso la testa per The Queen’s Gambit, la Regina degli scacchi, e non la metterei mai tra i miei piaceri guilty, ma tra le cose belle da rivendicare).
Secondo me quello che cambia, che fa davvero la differenza, è l’altezza o la bassezza dello sguardo dello spettatore (fruitore? utente? cliente? turista? A seconda dei casi). Se si è avuta maggiore pratica delle cose belle, se si è potuto/voluto studiare di più, leggere di più, viaggiare di più, nell’oceano della cultura di massa si galleggia un po’ meglio. Anzi, molto meglio. E si potranno padroneggiare meglio anche quelle “cose basse” che richiedono, comunque, un minimo di capacità di lettura, di conoscenza del mondo. (Obbligatoria, a questo punto, la citazione del celebre libretto di Foster Wallace sulle crociere: Una cosa divertente che non farò mai più, buona perifrasi, a pensarci bene, di guilty pleasure, o di “un biglietto per Al Bano”).
C’è un problema di padronanza delle situazioni che l’orrida demagogia dei nostri anni relega a questione di “snobismo”, di elitarismo, ed è la peggiore truffa politica in atto: l’ignoranza non può mai essere una rivendicazione di “orgoglio popolare” da sbattere in faccia ai radical chic. L’ignoranza è una deprivazione, come la povertà e la fame. E va combattuta, come la povertà e la fame. Rende più esposti, più vittime, più ingannabili.
Fine dell’omelia, scusate l’enfasi ma è un tema che mi appassiona molto. Ve lo scodellerò davanti più spesso di quanto io stesso abbia paura di farlo. E adesso: sotto con i vostri biglietti per Al Bano, con la solita avvertenza: ho molto tagliato. Sono il vostro editor. Fidatevi di me.
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“Dopo anni di decisioni, negoziazioni, ripensamenti, ho comprato Biancaneve e i sette nani e li ho messi orgogliosamente in vista in giardino. Li trovo meravigliosamente allegri e danno il benvenuto a tutti! Col tempo, anche i figli e gli amici hanno compreso (o accettato). Mia moglie meno ma, nel complesso, riesco a compensare bene. Segnalo che su Amazon si compra, con poco, una maglietta di buona fattura con la scritta Proud Boomer, in 4 o 5 colori. Ovviamente l’ho fatto subito”.
Roberto
“Il mio biglietto per Al Bano sono i manuali di auto-aiuto (dai figli alla rabbia alla meditazione zen). Li compro e li guardo. Spesso non li leggo ma ne sono comunque appagata. Stanno lì, li ho comprati, ho fatto quanto in mio potere per migliorarmi. Posso tornare a essere una madre pessima, incazzarmi e non meditare…”
Francesca
“Il mio biglietto per Al Bano sono libri, film e serie TV sulla famiglia reale inglese, ho letto persino Spare. Solo il documentario di Netflix è stato troppo per me… Vale come giustificazione dire che sono fermamente convinta che la monarchia sia un’istituzione inutile e anacronistica?”
Arianna
“Il mio ‘biglietto per Al Bano’ è un ticket autostradale per Rimini Nord. Con tutti i posti che ci sono. Con tutti i mari più cristallini. Con Ryanair che ti porta, scomodamente, ovunque. Con la gente che ti guarda strano, perché ha appena prenotato nove notti a Samoa, o mal che vada sette a Sharm, o una settimana in residence a Gallipoli. Rivendico il mio diritto al mare insabbiato, al bagnino pataca, alla caccia all’ombrellone in prima fila, al sole che ti ammazza, alla signorina cinese del ‘massaggio massaggio’, al bazar accanto alla boutique, al kebab di fianco allo stellato, alla Motonave Vittoria, alla bassa marea che in Croazia ci arrivi a piedi, al risveglio muscolare (degli altri), ai chiringuitos che ti bombardano di decibel, e io in mezzo. A sessant’anni non inseguo ricordi, li vivo, impanato di Nivea, sabbia, illusioni, sotto un cielo che spacca”.
Luca
“Arnold Schwarzenegger dai tempi di Total Recall. Impareggiabile.
Una volta c’era Clint Eastwood, ma lo sdoganarono al Manifesto e divenne chic farselo piacere, addirittura prima dei ponti di Madison County. Il che mi porta ad alzare la posta. Secondo me Al Bano è legittimato per tutti, come dice lei è canone, e forse dovremmo pensare a svelare (almeno a noi stessi) il godimento davvero perverso per qualcosa o qualcuno di oggettivamente vergognoso.
Io una cosa del genere ce l’ho, ma col cavolo che gliela spiffero. Accontentiamoci di Schwarzenegger e auto tamarre”.
Pietro
“Il mio biglietto per Al Bano è guardare Un posto al sole tutti i giorni. E quando non riesco, lo recupero su RaiPlay”.
Gabriele
“Il mio sono alcuni programmi trash, italiani e non, alla Ex on the beach, Temptation Island e similari. In ricordo di quando all’università facevo pausa dallo studio con Uomini e Donne”.
Maria
“Le hits degli anni 80, proprio quelle più UMCIA UMCIA, quelle che se passano alla radio io mi devo dimenare, quelle che le sai tutte a memoria in un inglese che non è neanche Globish ma un idioma tra il luciodallesco e la lallazione, quelle che mi scompongono e mi fanno venire voglia di ricordare come eravamo: creste, chiodi, timberland e spalle da giocatori di baseball. C’è stato un momento di pudicizia, quasi di vergogna nel palesare questa passione, quando ci si considerava giovani impegnati: non potevi dire che ti piaceva la disco perché eri tacciato di essere superficiale, burino e intellettualmente non all’altezza. A 60 anni ho perso, finalmente, questa paccottiglia di remore e ammetto con viva soddisfazione la mia passione per la disco: facciamo festini a tema (ovviamente al netto delle ernie che nel frattempo nella nostra compagnia di boomers si sono insinuate nei rachidi) e ci travestiamo pure!!!!”
Cristina
“Io ne ho vari. Quello più connotato generazionalmente (sono dell’83) è l’accoppiata Max Pezzali/Mauro Repetto. Coinvolge tutti i ‘millennial’ della mia famiglia. Siamo molto consapevoli, divertiti e molto felici (ora che abbiamo i biglietti per il concerto)”.
Giovanni
“Durante le superiori e ancora di più quando studiavo cinema al Dams mi sono sempre sentita inferiore a tutti quei miei ‘colleghi’ che per diletto guardavano oscuri film muti o discutevano di pesantissimi tomi di critici morti e stra-morti.
Non navigo solo nella leggerezza, ma da sempre adoro la cultura pop. Adoro creare invisibili collegamenti tra star irraggiungibili, brand di moda, eventi esclusivi e coloratissimi reality. L’ho sempre fatto per il piacere e la soddisfazione immediata che ne ricavo, ma dopo anni ho scoperto che questa mia passione mi ha portato a interpretare il mondo contemporaneo meglio di tanti miei coetanei, che alla fine sono invecchiati precocemente insieme ai loro tomi e alle loro band di nicchia”.
Erika
“Mi chiamo Simone, sono un dottorando di 28 anni. Negli ultimi anni si è diffusa l’espressione inglese guilty pleasure, piacere colpevole. Secondo l’espressione, in accordo con una visione piuttosto puritana della vita, al piacere deve seguire la sua mortificazione attraverso il senso di colpa. Ma il biglietto di Al Bano di ognuno può costituire una moneta di scambio nei rapporti umani, a cui toglie quel velo di serietà e formalità. E può trasformarli in relazioni più aperte e sincere. Qualche anno fa stavo con una ragazza che adorava le commedie brillanti di Richard Curtis degli anni ’90, mentre io ero un patito di britpop e calcio inglese: questa fascinazione verso la cultura pop britannica era uno dei luoghi virtuali dove preferivamo incontrarci. Recentemente vengono rivalutate fra i giovani le canzoni in napoletano, sotto l’influsso dei rapper ma anche di una sorta di rinascimento napoletano degli ultimi anni (penso a Sorrentino, Ferrante, le imprese del Napoli di Sarri prima e Spalletti ora)”.
Simone
“La mia amica Simona di Firenze ha comprato 8 biglietti per 8 date di Francesco Renga. Questo mi sembra grave. Io sto in campagna e compro peonie e ortensie”.
Lina
“La Sampdoria, il mio ‘biglietto per Al Bano’ è la Sampdoria. Trovo il tifo sportivo, quello calcistico in particolare, qualcosa di molto stupido e pure un po’ becero. Eppure, ogni volta che gioca la Samp mi ritrovo davanti alla TV a fremere. E quando segna (raramente, ahimé) urlo come un pazzo. E di tanto in tanto vado persino a vederla allo stadio. Lungo il tragitto, però, leggo Internazionale. Così, per darmi un tono”.
Matteo
“Sono una ex insegnante, amo appassionatamente i libri e la lettura, il cinema e il teatro, sono generalmente considerata una persona di cultura, eppure ogni tanto cerco su Netflix o Amazon Prime un bel filmone romantico, su cui sospiro, rido, piango… Non lo rivelerei ai miei figli nemmeno sotto tortura, ma tanto so che, seppur abbonati al Post, non leggono Ok Boomer! e mi sento al sicuro!”
Beatrice
“Mi venne chiesto ‘Con chi andresti su Marte?’. D’istinto risposi ‘con Michele Serra’, pregustando il piacere di ascoltare le sue Amache dal vivo. Ma per non essere tacciata di piaggeria, a mente fredda oggi risponderei ‘con Marina di Un posto al sole’: vorrei verificare se si è fatta veramente qualche ritocco estetico, come sembra, e se la sua mente sia strutturata in qualcosa di più coerente del coordinare abiti e scarpe (che invidia…) e del fare periodicamente stronzate madornali, quali disprezzare e strapazzare gli altri. Mi ci angustio ogni sera, con punte di parossismo il venerdì nella consapevolezza di dover attendere fino al lunedì sera la soluzione della suspense settimanale. Cerco di consolarmi ricordandomi che anche Margherita Hack non perdeva una puntata di questa serie…”
Dorina
“Identikit: mamma 40enne di due figli, impiegata a Milano in società di ricerche di mercato e marketing, laureata in scienze politiche e diplomata al classico, passione per Dante (di cui mi dilettavo a imparare i canti a memoria), storia filosofia, letteratura… Mio personale biglietto per Al Bano: ascoltare podcast/vedere documentari/leggere forum e blog on line dedicati al true crime, in particolare italiano, primo fra tutti il caso del mostro di Firenze di cui ormai conosco anche i minimi dettagli. Per fortuna noto che sono in folta compagnia, e questo da un lato mi consola, dall’altro mi lascia alquanto perplessa”.
Michela
“Proprio per non cadere nell’ossessione del ‘livello alto’ ho coltivato per molto tempo, anche grazie (o per colpa) dei miei ex coinquilini, la passione per La Zanzara, programma a tratti ripugnante che forse hai avuto anche tu la sfortuna di conoscere. Molte volte mi hanno chiesto per quale malsano motivo ascoltassi un guazzabuglio di cinismo delirante e cattiverie gratuite di autentici rifiuti umani. Ho risposto che serviva per isolarmi in una sorta di bolla intellettuale collegandomi quotidianamente con una realtà piena di imbecilli. Con un pizzico di imbarazzo ammetto un certo piacere nell’assistere alla rissa verbale. È piuttosto rilassante, come se arrivassi a casa da lavoro già ‘litigato e sfogato’.”
Elio
“Io sono nato nel 1983 e credo che il mio guilty pleasure fondamentale sia Dawson’s Creek, un telefilm per adolescenti trasmesso oltre vent’anni fa su Italia1. Era tutto quello che ci si può aspettare da un telefilm per adolescenti: armadietti scolastici, balli di fine anno, appuntamenti, amicizie, relazioni e soprattutto una quantità esorbitante di chiacchiere. Chiacchiere peraltro piuttosto introspettive e corredate da un lessico sofisticato per dei 16enni di una small town sulla costa Est: questi ragazzini non facevano altro che parlare e analizzare, razionalizzare e sviscerare ogni singolo accidente di cui gli capitasse di fare esperienza. Ho 40 anni e poco tempo libero, ma ogni tanto mi capita di vedere una puntata (sulle piattaforme: Italia1 non so più cosa sia) o spezzoni su youtube. E pensare che non ho mai finito Guerra e Pace”.
Giorgio
“I film Marvel. Nonostante mi diletti a sguazzare per filmografie di paesi che individuo a fatica su un atlante, lingue originali e formati inconsueti, quelle giostre di effetti speciali, superpoteri, esplosioni e adrenalina sono un piacere perverso e irresistibile”.
Luca
“Il mio: una passione smodata per il bluegrass, musica da cowboy reazionari.
E per uno speedball di latte di soia e sciroppo di mandorla”
Michele
“Il mio personale biglietto per Al Bano è la vergognosa ricerca su TikTok di video giapponesi e cinesi di famiglie che, rientrate dal lavoro, riordinano casa e cucinano la cena. Nella metodicità dei gesti, nell’utilizzo di ogni genere di inutile (ma assolutamente desiderabile) gadget per svolgere le loro incombenze, io mi perdo. Non ne capisco il senso, quando stacco dico “ma perché?”, eppure ci ritorno!”
Giusi
“Ho resistito fino a sei mesi fa, poi poco prima del mio cinquantasettesimo compleanno ho cominciato a frequentare Dagospia… a mia parziale discolpa, giurin giuretta, non ci passo più di dieci minuti al giorno”.
Michele
“Il mio personale Al Bano sono i b-movie catastrofici, quelli con gli effetti speciali fatti in casa. Sono, in modo assai rassicurante, tutti uguali: una spaventosa minaccia incombe sulla terra, anzi sugli Stati Uniti (in questi film è la stessa cosa). La scienza ufficiale se ne fotte, anzi peggio, perseguita l’unico scienziato che aveva capito. Solo quando la catastrofe sta per compiersi lo scienziato, supplicato in ginocchio e con l’aiuto dell’immancabile figlio/a, appena diciassettenne ma capace di programmare un Commodore 64 per guidare missili ipersonici, salva il mondo e si prende la sua grandiosa rivincita. Ecco, a me questi film rilassano come le partite di calcio”.
Dario
“Il mio Al Bano è guardarmi la serie TV NCIS. Un’americanata come poche, con un sottotesto militarista conservatore. Però fatta bene e con personaggi a cui ci si affeziona. Ingenua a modo suo, patriottica, senza mettere troppo in discussione il modello di egemonia militare degli States nel mondo. Epperò mentre si fa la lavastoviglie è perfetta”.
Lorenzo
“È Un posto al sole, da 25 anni a questa parte, passione che tenevo segreta fino a quando ho scoperto che amiche insospettabili, professioniste, intelligenti e ricche di interessi, la condividevano con me”.
Delia
“Da 43enne disoccupato che ascolta Radiorai e Radio popolare, i podcast del Post, e in tv guarda Crozza, Blob, Cucciari e pochissimo altro, devo confessare che il mio Al Bano è l’ascolto, in differita, de La Zanzara. Sento il bisogno di vergognarmi, dissociarmi e scusarmi. Saluti fortemente imbarazzati”.
Antonio
“Confesso di avere da decenni ormai un vero e proprio feticismo per il cosiddetto ‘puttanpop’, quel pop commerciale cantato da ragazze o donne bellissime come Madonna, Britney Spears, Kylie Minogue, Rihanna e più recentemente Miley Cyrus e Ariana Grande. Sono un professore di latino e greco, faccio letture impegnative (sto leggendo Ernesto De Martino), perciò quando confesso in pubblico questo mio ‘biglietto per Al Bano’ la cosa genera sconcerto sia tra i miei coetanei sia tra i miei studenti. Questa musica diciamo ‘fatua’ mi riporta ai miei vent’anni, quando frequentavo bar e discoteche gay e lì non si parlava d’altro, c’erano addirittura fazioni contrapposte di madonnari (seguaci di Madonna), little monsters (seguaci di Lady Gaga) etc. Ci siamo fatti delle grandi risate. Un po’ perché sono un millennial, un po’ perché proprio non ce la faccio, continuo con le mie playlist fatue. Non me ne vergogno però”.
Carlo Alberto
“Boomer ultra sessantenne, laureata, mediamente colta, lettrice/viaggiatrice accanita. Il mio biglietto per Al Bano sono certe serie TV, Netflix o Amazon Prime. Ultimamente ho visto 6 stagioni di una meravigliosa serie americana, This is us, come in stato di trance e versando fiumi di lacrime. Mi vergogno a parlarne con gli amici, è grave?”
Silvia