Così vicini, così lontani
«Se – per dirla in due parole – il motore della paranoia complottista è la sofferenza delle persone, risulta meno semplice liquidare queste persone come un impiccio molesto»
Ogni tanto capita che l’argomento di Ok Boomer! sfondi una porta (magari già aperta, magari no) e ci ritroviamo in tanti nella stessa stanza. Una piccola folla. Tutti a guardarci intorno e a chiederci dove siamo capitati, e che diamine è successo. Credevo che la mia domanda della scorsa settimana, “come si parla con i complottisti?”, sollevasse un problema, come dire, soprattutto politico, quasi “tecnico”. Le vostre mail (un’ottantina, che in rapporto alle mie forze vuol dire: una valanga) dicono anche molto altro. Dicono, in prevalenza, che siamo alle prese, chi più chi meno, con un problema umano e perfino – chiedo perdono per l’impudicizia – un problema d’amore.
Non me l’aspettavo, non in questa misura. Non mi aspettavo che la questione riguardasse così diffusamente, e così nel profondo, la vita quotidiana e la vita affettiva di tanti. Sono in minoranza le opinioni, diciamo così, rassegnate o liquidatorie, quelle che dicono: lasciamoli cuocere nel loro brodo, si arrangino, non c’è niente da fare. (Atteggiamento legittimo, sia ben chiaro. Le forze di cui ognuno di noi dispone sono limitate, non abbiamo tempo ed energie per tutte le occasioni e per tutte le persone). Ma sono molte di più le mail che trattano la questione come una ferita personale e una fatica improba: un muro che li separa, o li ha separati, da persone alle quali vogliono bene. Amici o parenti, anche stretti. E questo, ammesso e concesso che una newsletter non abbia rilevanza statistica, è comunque sintomatico di una condizione non così marginale o irrilevante. Decidere che si può fare a meno della realtà – perché la realtà ha deluso, o ha tradito, o ha stufato – non è una scelta così rara e così eccentrica. In forme molto diverse, è una condizione che impatta sulla nostra vita sociale e in molti casi sulla nostra vita personale.
Ovviamente, “complottista” vuol dire tante cose. È una semplificazione che indica gradi anche molto differenti di renitenza alla realtà. Ognuno di noi ha i suoi bias, i suoi pregiudizi e le sue zone di invalicabile “autismo”, chiamiamolo così. Ma la maggioranza di noi cerca di farsi guidare da un principio di realtà che invece sembra vacillare in un numero rilevante di persone – rilevanza non quantificabile, non esiste un Albo dei Complottisti e neppure studi attendibili sulla loro classificazione e il loro numero: si sa solo che sono “tanti”, e sempre più percepibili. Lo sono anche grazie a un sistema di comunicazione, il web, che permette ai singoli di incontrarsi, coalizzarsi e rassicurarsi l’un l’altro con una velocità e una pervasività mai viste prima nella storia umana. Se sono il solo a essere convinto di essere stato rapito dagli alieni, posso dubitare di me stesso. Ma se in rete scopro che siamo a centinaia, a essere stati rapiti dagli alieni, la mia prospettiva muta radicalmente: siamo una cerchia di eletti, di prescelti, e “gli altri” vogliono farci passare per pazzi perché temono, o invidiano, il nostro superiore livello di coscienza. Siamo gli illuminati, i portatori di questa o quella Novella che l’umanità non è ancora in grado di accettare; siamo i perseguitati, gli incompresi, i discriminati dal potere, dal conformismo, dalla cecità dei nostri simili, pecoroni che credono a giornali e telegiornali e brancolano nelle tenebre…
Nel suo prezioso Infocrazia il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han parla di “erosione della verità come fenomeno patologico della digitalizzazione”. Si dilunga su Trump, “completamente indifferente alla verità”, spiegando che lui e i suoi elettori non sono tradizionali “bugiardi”, ovvero negatori della verità. Semplicemente, la verità non è un problema che li riguarda. La bypassano. “L’arbitrarietà soggettiva annulla la verità”. Han scrive anche che “la libertà d’opinione degenera in farsa quando non prevede alcun riferimento a fatti e verità fattuali”. Ma di questa farsa, che comunque ha un peso tutt’altro che secondario sulle elezioni e dunque sul futuro prossimo di noi tutti, oggi prendiamo in considerazione, grazie ai vostri racconti, anche le ricadute umanamente dolorose. Se – per dirla in due parole – il motore della paranoia complottista è la sofferenza delle persone, risulta meno semplice liquidare queste persone come un impiccio molesto.
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Peccato non potere pubblicare tutte le mail sull’argomento – Ok Boomer! diventerebbe fluviale. Al solito, non possiamo che affidarci alla mia selezione, che questa settimana, vi assicuro, è stata particolarmente ardua. Le prime due lettere, quella di Marco e quella di Anna, dicono bene quali sono i due poli entro i quali il nostro dilemma si sviluppa. Marco non ne può più, si è arreso. Anna ci prova ancora. Poi, di seguito, gli altri. Grazie a tutti per la schiettezza, e per le porzioni di vita che siete capaci di condividere.
“Sono Marco da Lucca, 57 anni. Anni passati a lottare contro i fanatici delle scie chimiche e dei mille complottismi correlati. Sintesi: ha ragione da vendere l’antropologa Gatto Trocchi, è tutto inutile. Spesso anche controproducente, esatto. Il problema enorme è che ancora vent’anni fa c’era uno scemo ogni tanto contro il quale scozzarsi, e tutto il resto intorno era sano di mente e capace di intendere e volere, adesso le proporzioni si sono ribaltate, questi votano, spostano equilibri socioeconomici, eleggono presidenti degli USA, abboccano a qualsiasi tipo di propaganda organizzata e non. La destra ha aperto un vaso di Pandora per il quale non si vede all’orizzonte alcuna possibilità di chiusura e di mitigazione del danno. Che qualcuno ci aiuti a trovare una soluzione praticabile e non solo teorica, prima che sia troppo tardi…”.
Marco
“Le scrivo perché i tratti che lei descrive li conosco molto bene. Li hanno, ahimè, i miei genitori quasi ottantenni; e li ha un uomo di cui (prima di conoscerne l’aspetto complottista) mi sono invaghita e che (per fortuna, a questo punto) dopo qualche titubanza mi ha rispedita al mittente; li hanno molti conoscenti, ché a Torino il gruppo complottista è parecchio folto; e li ho visti su molti volti alle manifestazioni nogreenpass in cui mi sono imbattuta nel periodo ‘caldo’ post covid, tra via Po e piazza Vittorio Veneto. La conclusione a cui sono giunta, che mi rattrista, è che non è l’ignoranza, né l’ottusità, né l’ingenuità a celarsi dietro certe idee in stile terrapiattista, bensì la sofferenza. E di fronte a un’emozione non c’è ragionamento logico o razionale che tenga. È come di fronte all’amore, con la differenza che il vero amore porta alla vita, la sofferenza alla distruzione/morte”.
“Credo che l’unico modo per combattere i complottismi sia l’amore. Ma ce ne va tanto, spesso troppo, e non è detto che basti. Un amore che sciolga. Ma nel frattempo, anche si riuscisse ad amare con tanta intensità senza perdere la pazienza, nel tempo che passa prima dello scioglimento queste persone, con la loro sofferenza, impattano nel mondo esattamente come gli altri. Nei momenti di più grande sconforto mi sono detta che prima di votare bisognerebbe che tutti facessimo un test di sofferenza/benessere. Si fa una scala da 1 a 10 e chi non arriva alla sufficienza non vota. Ma mi rendo conto che sarebbe poco democratico, quindi mi ridimensiono e mi limito a dire che, forse, se la nostra società (noi, quindi) imparasse a gestire meglio la sofferenza (ad esempio attraverso la scuola, banalmente), eviteremmo non solo la frustrazione dell’inevitabile sconfitta della dialettica/logica contro l’emotivo, ma anche di vedere certi personaggi nelle istituzioni. E l’ulteriore sofferenza che ne discende, e di quella che da questa ne discende ancora. L’effetto domino della sofferenza”.
Anna
“Per atteggiamento professionale (i miei studi iniziano con la Ψ) cerco sempre di capire cosa muove la persona. Diciamo che l’approccio che utilizzo lo mutuo da quella straziante (per molti e anche per me, all’epoca) intervista di Giuliano Ferrara a Giovanni Lindo Ferretti sulla sua discussa ‘conversione’ da simbolo di una sinistra estremissima ad appassionato di Ratzinger e del cattolicesimo più conservatore. In realtà GLF era ed è ancora un arcaista convinto, o un antimoderno, se vogliamo dirla così, e nelle sue canzoni lo ha sempre motivato anche in modi molto convincenti. Disse rispetto al suo rapporto con la religione e con i credenti: ‘Se qualcuno mi dice che crede, io gli credo’. Da cosa nasce questa alzata di muri verso il mondo da parte di chi non vuole vaccinarsi, rifiuta il mondo globale, etc.? Da paure, senza dubbio. Se una persona è spaventata non gli si può dare semplicemente contro. Va capita, bisogna entrare un pochino nel suo – a volte – delirio. Va rassicurata e gli vanno dati strumenti, ma non va mai sottovalutata o peggio presa in giro. La mancanza di comunità e le minacce di un mondo che sembra sempre più piccolo ma in realtà è immenso fanno paura. Per gli uomini la misura del mondo attuale è veramente spropositata a livello psicologico. Un mondo che non si può contenere crea ansia ed è inevitabile che si vogliano creare dei confini: danno sicurezza. Se non è più possibile creare confini allora questa sicurezza da qualche parte bisogna realizzarla. L’ascolto non giudicante ed empatico (per quanto si può e a tutti i livelli) è sicuramente il primo passo. Non è un caso che chi trasmette di ascoltare questi timori sia stato votato in massa”.
Giovanni
“Il 30 ottobre del 2017 partecipai a una giornata di conferenze sul giornalismo scientifico, uno di quegli incontri che l’Ordine dei Giornalisti organizza per noi iscritti affinché si conquistino crediti e – questo il vero obiettivo – ci si aggiorni un po’. I relatori erano giornalisti e docenti del Politecnico di Milano. I temi furono le biotecnologie, gli Ogm, i farmaci biotech, la genetica agraria, e soprattutto come affrontare questi argomenti senza che il pubblico pensi a Frankenfoods o a eugenetica. Gli scienziati presenti, conoscendo bene la predilizione giornalistica per i nomi e le espressioni a effetto, ci invitarono a una maggiore precisione nell’uso della terminologia, a sforzarci di capire meglio numeri e statistiche, a cercare sempre un filo diretto col ricercatore. Ma quando si arrivò a parlare di bufale, il tono virò allo sconsolato. Questa la trascrizione dei miei appunti di allora: ‘Nel mondo della rete si creano sistemi isolati di circolazione delle info che però non partono da chi origina le info (es. i laboratori). Sono gusci impermeabili a qualsiasi ragionamento razionale. Oggi la paura è l’unknown —> semplificazione. Unica soluzione: insistere, insistere, insistere – non entrerete in quelle comunità chiuse, ma informerete più gente e meglio al di fuori di quei gusci’. Non possiamo salvare i ‘contagiati’, ma prevenire il contagio si può e si deve fare”.
Valeria Andreoli
“Come ci si rapporta con questo genere di persone io me lo chiedo tutti i giorni, più volte al giorno. Perché fino a che punto la situazione è ‘loro’, quando quella persona è tuo marito e il padre dei tuoi figli? Le ho provate tutte, ho discusso e litigato, ho avuto la tentazione di rinunciare, ho provato a fare breccia con buoni argomenti e anche a prenderlo di petto (in periodo Covid, per poter vaccinare i nostri figli, l’ho portato in tribunale), ma nulla è servito… La nostra terapista dice che dobbiamo cercare di ricostruirci come coppia e come genitori e nel frattempo tenere sopiti questi argomenti, lasciando che il tempo faccia la sua parte e – in linea con quanto dice la sua antropologa – guarisca da sé. E ci si prova, anche se circumnavigare questi argomenti, stare attenta ogni momento a non dire nulla che possa scoperchiare uno dei tanti vasi di Pandora del suo giardino, oltre che stancante (alla lunga direi logorante), limitante, faticoso, è come mettere un tappo sulla cima di un vulcano: la lava trova il modo di uscire comunque dalle fessure laterali e lo zampillo non è meno potente né meno doloroso… ci si scotta lo stesso e spesso a tradimento, nei posti e nei momenti più impensati. Mi dicono tutti che ho una grande pazienza, io non credo, anzi, sbotto anche troppo spesso. L’unico motivo per cui non mi arrendo è che continuo imperterrita a nutrire la speranza che ne esca, che ‘i suoi anticorpi’ facciano il loro lavoro. Certo ci vuole tempo e pazienza, e se la pazienza dicono che io ce l’abbia, il tempo è invece tiranno, perché i bambini crescono in fretta e diventano adulti, cresciuti da due persone con le idee sempre più distanti… spero solo di avere la forza e la capacità di guidarli e di aiutarli a capire, perché non vadano come loro padre ad ingrossare le fila di ‘quella fetta di umanità che navigando si è perduta’. Mi perdoni per la risposta che, mi rendo conto, è diventata uno sfogo. E grazie di cuore, meno male che ci siete voi del Post che per me siete una seconda famiglia”.
Morgana
“Sono Sofia, 26 anni, studi prima umanistici, poi scientifici e un grande interesse verso le dinamiche della mente umana. Di fronte a chi dimostra di credere all’incredibile, mi trovo nella sua stessa condizione: non so come comportarmi, cosa dire, cosa fare per aiutarli/e. Evitare l’argomento o cambiare discorso rappresenta, di solito, la strada più sicura, senza ostacoli, quella che tendenzialmente imbocco più volentieri e abbastanza in linea con ciò che le disse l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi. Ma un articolo di Le Scienze che lessi tempo fa (edizione di giugno 2019), riportava altri possibili approcci: trovare un modo per confutare la teoria del complotto facendo attenzione a non mettere in discussione l’identità dell’interlocutore, e provare a far leva sul pensiero analitico. Alcune ricerche dimostrano che l’effetto boomerang (cioè alimentare la tesi di un complotto nel tentativo di contrastarlo) è amplificato nel momento in cui le persone vedono messe in dubbio le idee che definiscono la loro visione del mondo o di se stessi (il sarcasmo spesso viene preso sul personale); nel caso in cui questo non avvenga, l’effetto boomerang è molto ridotto”.
“Per quanto riguarda le capacità analitiche, sarebbe opportuno cercare di approfondire il discorso, in modo da comprendere quali siano le motivazioni che portano una persona a credere a una determinata teoria, chiedendole se abbia delle prove, quale sia la fonte e quale il collegamento logico tra le prove e la teoria. Di solito le affermazioni sono contraddittorie, le prove inconsistenti, le fonti inaffidabili. Questo metodo risulterebbe certamente più impegnativo del precedente e il successo non sarebbe comunque assicurato, ma potrebbe ridurre quella sensazione di inevitabile incomunicabilità con alcune persone – non tutte, quelle che pensano che un tavolo quadrato sia rotondo sono abbastanza irrecuperabili. E se quegli anticorpi, citati dall’antropologa, potessero tornare ad essere prodotti anche grazie a un nostro piccolo aiuto?”
Sofia Bonetta
“Quando mi ritrovo a sentire che il 5G serve a controllare la mente, mi sforzo di pensare che chi lo dice ha certamente un raziocinio, una propria sensibilità, intuizioni, dubbi, incertezze, paure, come tutti quelli che appartengono al genere umano. Voglio allora rendermi disponibile per discutere, ma sento che la distanza che si crea tra i diversi punti di vista — ho due zii “ufologi”, opportunamente gemelli, e inopportuni spesso — non è dovuta tanto alla mia posizione, che vuole essere sì scientifica ma dalla quale cerco comunque di disinnescare i pregiudizi, quanto a chi sostiene certe tesi incredibili. Se non sai niente di vaccini alle nanomacchine, banche che ci odiano, guerre mondiali non ancora iniziate in cui la Russia è sempre giustificabile (qualora volesse partecipare), migranti malvagi che vengono a minare le fondamenta di società perfette e civili, alieni antropomorfi che sono nelle istituzioni (in cui forse credo…), sei praticamente un coglione. Allora, riscontrando sempre una certa ferocia e un sostanziale nervosismo, comincio a sospettare di una specie di complesso di inferiorità (senza la minima pretesa di saperne di psicologia): “Tu che leggi ogni giorno i giornali controllati, dormi! Io invece sono sveglio perché mi guardo l’unboxing del mistero giornaliero con warrior69 su TikTok!”. La conversazione diventa puntualmente un inaspettato show di sé stessi, dove una mente più mitomane che illuminata smaschera con leggiadria l’informazione, piomba sulla storia scritta dai vincitori per trasformarla e ci racconta pure il tetro futuro. E io, coglione, diffido pure dell’oracolo invece di esultare per avere finalmente aperto gli occhi su un mondo che mi vuole sopprimere entro sera!”
Alessandro
“Chi ti scrive è un boomer e ha lo stesso problema con una persona molto vicina e molto cara. È molto faticoso, e spesso inutile, cercare di opporre argomenti razionali: per enunciare una ca**ata serve un minuto, per confutarla giorni e giorni di studio e documentazione. Così sto seguendo il suggerimento di Vecchioni: “Che al di là del torto e la ragione contano soltanto le persone?” (incluso il punto interrogativo finale). Forse è un po’ troppo poco, ma funzionicchia”.
Giorgio
“Sono Laura e ho 55 anni (generazione X). Vale la pena cercare di ragionare con persone che vivono una realtà distorta, o è vero il detto ‘non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire’, quindi lasciamolo perdere? Nella vita mi è capitato in diverse occasioni di arrendermi per sopravvivere, perché ho capito che non c’era margine di discussione anche se affrontata con apertura, senza sarcasmo. Ho capito che, se avessi insistito, la qualità della vita sarebbe peggiorata sia per me, sia per la controparte. Ho capito che, in certi casi, ci si guadagna in salute (soprattutto mentale) a lasciar ‘bollire qualcuno nel suo brodo’, ed è ovvio che, se nel ‘brodo’ ci sto dentro anch’io, qualche conseguenza la subisco, ma bisogna scegliere il male minore. Quindi mi trovo grandemente in accordo con il consiglio che le diede l’antropologa Gatto Trocchi, e grandemente in accordo con lei nel dire che è molto triste”.
Laura
“La domanda ‘davvero non si può e peggio non si deve fare niente, perché ogni parola non può che peggiorare la situazione?’ se la sono fatti in tanti, ripetutamente, e con sempre più insistenza in tempi recenti. Il libro che ho trovato più interessante al riguardo è How to Talk to a Science Denier di Lee McIntyre. Nel libro, McIntyre descrive la sua esperienza e i suoi tentativi di interagire con ‘gli altri’, visitando conferenze terrapiattiste e parlando con negazionisti climatici. Purtroppo il libro non dà una soluzione pratica e definitiva. Ma aiuta a capire il fenomeno. Ci sono due cose che mi sono rimaste impresse e che tengo con me ogni qual volta che mi trovo a dover interagire, ad esempio, con qualche WhatsApp apparentemente fuori di testa mandato da parenti e amici. Il primo è che prendere posizioni irragionevoli spesso non è un problema di mancanza di logica o mancanza di razionalità. È un problema strettamente sociale. Per un terrapiattista rinnegare la sua convinzione significherebbe anche rinunciare alla propria identità; dover lasciare amici, compagnie e gruppi che magari sono stati gli unici a dare conforto e compagnia in momenti di solitudine e difficoltà. Il secondo è che, alla luce di questo, attaccare l’irrazionalità della tesi complottista/antiscientifica è di solito inutile. Le migliori interazioni sono domande (McIntyre suggerisce, per iniziare, domande come ‘perché credi a X?’ o ‘quale sarebbe una prova per cui saresti disposta ad ammettere che non è vero?). Lo scopo è capire, e ristabilire un contatto umano su valori comuni. Risalire a quel nucleo primordiale di dolore, paura o solitudine che hanno funzionato da catalizzatore alla ricerca di teorie alternative. È un approccio che mi piace perché, sebbene non risolutivo, riporta la discussione sulla comune umanità fra ‘noi’ e ‘loro’. Che sicuramente è meglio di niente”.
Davide
“La mia compagna (da una decina d’anni) è una ex testimone di Geova (era già ex quando l’ho conosciuta, però con molti strascichi, in molte delle cose che le avevano inculcato ancora credeva), pertanto ho vissuto qualcosa di simile. Lei ha subito, fin da piccola, fortissimi condizionamenti psicologici, e l’uscita dalla ‘confraternita’ ha comportato un distacco dai genitori e da un mondo che prima ti fagocita (i non testimoni di Geova sono chiamati, con una nota di spregio, ‘quelli del mondo’, significativo no?) e poi ti rifiuta (ti tolgono proprio il saluto, rimani solo). Quel che posso dire, per la mia esperienza, è che se non li prendi di petto e rimani loro vicino nel tempo, evitando quindi di poter essere accostato al ‘nemico’ ma, piuttosto, ti proponi solo come esempio di approccio alla vita alternativo, è possibile che nel lungo periodo inizino a fare delle valutazioni dei due modelli con cui si ritrovano ad avere a che fare, e può essere che a un certo punto si rendano conto che i tuoi riferimenti (laici, nel mio caso) sono più credibili e solidi di quelli che gli sono stati inculcati. Così è fortunatamente stato nel mio caso. E fino a che punto è ‘loro’, la situazione, visto che dividiamo lo stesso posto e lo stesso tempo? Il problema è che votano, maledizione. Oltre a una scuola dell’obbligo più lunga e più orientata a formare cittadini consapevoli, bisognerà introdurre il merito all’atto del voto. Una testa un voto, nella società connessa, non regge più. Del resto già ora la democrazia, pronta a ridarci Trump, è stata completamente svuotata”.
Lettera firmata
“Mia sorella è una complottista. Viviamo in città diverse con una mamma vivente che fa da calamita, è il centro di questa mal assortita famiglia. Inesorabilmente, ci ritroviamo insieme durante le festività. Con estremo dispiacere, ammetto che per me è diventato sempre più insostenibile passare del tempo con lei. Il periodo del Covid ha ulteriormente alimentato la sua follia, non saprei come altro chiamarla. Quando ha saputo che mi sono vaccinata, mi ha ripetuto con amore fraterno che tra un anno sarei morta. L’ anno è passato, io sono ancora qui viva e sana, con i debiti scongiuri. Un raro caso di sopravvivenza, perché a sentire lei i suoi diversi amici e conoscenti o sono morti o convivono con i più disparati mali causati dal vaccino. Quante volte mi sono dovuta trattenere dal dire che avevo un banale mal di testa per non essere annoverata tra le possibili vittime da vaccino. Non riesco più ad avere una normale conversazione. Qualsiasi banale argomento può innescare uno sproloquio sui poteri forti che hanno soggiogato il mondo e su noi poveri ingenui che ancora crediamo a quanto ci racconta la TV e la carta stampata”.
“In genere in sua presenza cerco sempre di tenere un basso profilo e lascio che sia lei a monopolizzare la discussione e quando parla, parla fino allo sfinimento dei suoi interlocutori. Perché lo faccio? Perché voglio bene a mia madre che crede che siamo una famiglia unita. Per tanto tempo lo siamo state davvero. Io sono la più piccola e mia sorella ha avuto sempre un atteggiamento protettivo e amorevole nei miei confronti. Poi sono subentrate nella sua vita tante vicissitudini dettate da scelte sbagliate. Diversi lavori sempre precari, amori instabili e poco duraturi, lo stesso per le amicizie. Dove ha fallito lei io invece mi sono ‘realizzata’. Parolone grosso per definire una persona con marito e prole che cerca di affrontare la vita a volte con un sorriso, a volte con coraggio e dispiacere, e anche sbagliando. Lei quando parla in maniera generalizzata della massa di benpensanti, burattini manovrati dai poteri forti, nella foga del discorso si rivolge a me e le scappa un Voi. Con quel Voi mi ritrovo catapultata dalla parte del nemico senza aver fatto o detto nulla. Sono arrivata, a malincuore, alla conclusione che molte persone hanno perso il senso della realtà perché non fanno autocritica. Vivono il fallimento come un’ingiustizia e la felicità degli altri come un privilegio. È molto più facile additare un fantomatico nemico come causa dei nostri fallimenti che invece ammettere che siamo solo noi, con le nostre scelte, la causa dei nostri mali”.
Daniela
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L’Unità, che fu “organo del Partito comunista italiano”, e ai quali (giornale e partito) devo tantissimo della mia formazione culturale e umana – ci ho lavorato dai 21 ai 35 anni – compie cento anni. Teoricamente è ancora in vita, in uno dei suoi tanti e bislacchi tentativi di riesumazione. Con tutto il rispetto per chi ci prova, penso che non abbia senso simularne le sembianze. Poche cose sono novecentesche come quel giornale. Non c’è più il Pci (da più di trent’anni!), perché mai dovrebbe sopravvivergli il suo giornale? Se nessuno ripropone più il Caffè di Pietro Verri, ci sarà una ragione…
Per chi fosse curioso di sapere qualcosa in più dell’Unità quella vera, dunque quella consegnata agli archivi, segnalo due bei libri, fatti di memoria, di storia, di testimonianza ancora vivissima di cosa fu la seconda metà del secolo scorso. Il primo è L’Unità. Una storia, tante storie (Fandango), l’ha scritto Roberto Roscani, che fu capo delle pagine culturali del giornale comunista. Il secondo è Casa per casa. L’Unità, una storia centenaria (All Around), l’hanno curato Franca Chiaromonte e Graziella Falconi.
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Questa settimana siamo andati molto lunghi e dunque ho pensato di rimandare alla prossima Zanzare Mostruose. Ma il titolo segnalato da Maria e Aldo, tratto dalle pagine di Brescia del Corriere della Sera, merita un’eccezione:
STRANGOLA LA MADRE, RESTA IN CELLA
“È PERICOLOSO, POTREBBE RIFARLO”