Comunque belli
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Comunque belli
Michele Serra
Martedì 18 giugno 2024

Comunque belli

«La bellezza senza sforzo, senza calcolo, di Françoise Hardy rimanda all’epoca – privilegiata – nella quale sembrò che un filo (appena un filo) di mascara, un paio di jeans, i capelli al vento e una macchina usata bastassero per mettersi in cammino, a condizione che si avessero vent’anni»

Françoise Hardy a Parigi nel 2009 (François Durand/Getty Images)
Françoise Hardy a Parigi nel 2009 (François Durand/Getty Images)

L’idea era cercare di spiegarvi perché Françoise Hardy (1944-2024) fosse così bella, ma non ho trovato le parole. Dunque non lo so spiegare nemmeno a me stesso.
Come e perché si sia belli, o meno belli, o belli solo per qualcuno e non per altri, è ufficialmente un mistero irrisolto, e forse è proprio per questo che la bellezza delle persone, certe volte, quasi tramortisce. Dovrebbero occuparsene i trattati di estetica, ma azzardo l’ipotesi (non ne ho mai letto uno) che arte e architettura abbiano generato, lungo i secoli, canoni e contro-canoni estetici in quantità enorme, e di conseguenza un articolato linguaggio utile per definire la bellezza delle cose, oppure per confutarla. Non altrettante certezze sono state generate a proposito del volto umano: lineamenti, espressione, luce, voce, mobilità delle espressioni, modo di fare, cornice dell’epoca, sono troppi gli elementi per poterlo canonizzare e definire.

Nemmeno i Padri Classici, cui ci si riferisce sempre quando si cerca di dire qualcosa di intelligente, poterono più di tanto: canonizzarono l’armonia del corpo nel suo insieme (il discobolo, i bronzi di Riace, la Venere di Milo e la Nike di Samotracia), ma il volto rimase, in tutti quei plastici idoli, una maschera perfetta ma indefinita. La bellezza, quella concreta, quella delle singole persone, è inafferrabile, e mi fermo qui perché l’argomento, assai denso, sconsiglia di avventurarsi più in là di tanto. Ormai vi conosco bene, cari lettori del Post. Qualcuno potrebbe scrivermi, meravigliato e al tempo stesso soccorrevole: «Ma come, non conosci l’imponente opera del Kabirowsky Interpretazione del volto umano lungo i secoli?…»

Mi è poi venuta l’idea balorda di cercare “le parole giuste” per dire di Françoise Hardy attraverso una breve ricognizione on line, digitando “estetica del volto umano”, ma il risultato è stato quasi comico. Lo avrete già capito: la quasi totalità dei link disponibili riguarda la chirurgia estetica, con potente innesto pubblicitario di bisturi e botulini in grado di rimediare a qualunque offesa del tempo, o imperfezione congenita. A parte un vago e diffuso accenno all’“armonia dei lineamenti” (e fin lì, siamo capaci tutti: il naso di Cyrano, sul volto di Scarlett Johansson, stonerebbe), neppure in quel pittoresco suk di venditori di bellezza ho trovato traccia, anche minima, di un codice interpretativo efficace, o anche solo interessante. In fondo al suk, tra le ultime bancarelle e dunque le meno visitate, c’era anche Aristotele, con la sua estetica. Ho pensato che forse dovrei leggerlo, recuperando almeno qualcuna delle cose non studiate al liceo. Ma chissà se Aristotele, incontrando per la strada le Kate Moss e i Jude Law del suo evo, sarebbe stato capace di spiegare perché dalla bellezza fisica sprigiona, a volte, un incanto quasi metafisico. È una rivelazione, la bellezza – ma di che cosa non lo sapremo mai.

Anche nel po’ po’ di articoli letti in morte di FH la sua bellezza incombe, ma nessuno si azzarda a definirla direttamente. Viene detta attraverso “altre vie”. Si rimanda alla sua eleganza, alla malinconia delle canzoni, alla semplicità dei modi, alla voce così antiretorica (così non-Piaf, direi, parlando di Francia). Per far capire che era bella, che è stata una delle filles fatales degli anni Sessanta e Settanta, si fa l’elenco, molto lungo, delle pop star che si vocifera fossero invaghite o innamorate di lei, da Jagger a Bowie a Dylan, e abbiano fatto di tutto per frequentarla (con Bowie ci fu una lunga amicizia, iniziata nella swinging London dove tutti, anche le star francesi all’epoca andavano a registrare i dischi). Siamo nel campo delle dicerie, naturalmente, e delle confidenze spesso riportate da secondi o da terzi, ma è agli atti che un ex datore di lavoro di Dylan – il proprietario di un locale di Brooklyn – abbia ritrovato un pacco di lettere d’amore di Bob a Françoise mai spedite; gliele abbia fatte avere a Parigi nei primi anni del Duemila, immagino senza consultare Dylan; e lei le abbia infine lette, e pare molto gradite, quasi mezzo secolo dopo.

Ora però ci provo – e dopo quello che ho scritto sopra, so che è un azzardo – a dire perché FH, non solamente secondo me, era così bella. E così iconica, termine che uso, nonostante l’abuso, perché in questo caso molto calzante. Era così bella perché non faceva niente per esserlo. Non appariscente, non “pupa”, non pin-up, non truccata, non in posa, non over-dressed, non atteggiata. Una bellezza non pensata, non calcolata, non sottolineata. Una ragazza che passa per la strada. Si diceva (si dice ancora) retoricamente “bellezza acqua e sapone”, “ragazza della porta accanto”, l’idea era ed è ancora quella di elogiare l’involontarietà della bellezza, il suo essere “come i gigli nei campi”, senza calcoli, come pura manifestazione della vita.
Se posso dire – così poi se ne discute – FH fu il contrario quasi esatto della prevalente bellezza social, che anche quando è bella “alla base” è poi sovraesposta, ritoccata, super truccata, quasi cartoonizzata da quello sforzo di “essere belli” per obbligo, a volte per mestiere, che un poco rovina il gioco, lo rende prevedibile. Se una/uno dice: guarda come sono bella/bello, è come se ti rovinasse la sorpresa. Ti viene voglia di dire, a prescindere, che non spetta a lei/lui dichiarare la bellezza. La bellezza folgora quando è preterintenzionale.

La bellezza senza sforzo, senza calcolo di FH rimanda all’epoca – privilegiata – nella quale sembrò che un filo (appena un filo) di mascara, un paio di jeans, i capelli al vento e una macchina usata bastassero per mettersi in cammino, a condizione che si avessero vent’anni. Non era vero, lungo il cammino si persero in parecchi, ma quello era lo spirito e quella era “l’estetica”. Devo dire, con il senno di poi, che gli strati successivi di bellezza procurata, acquistata, applicata, ritoccata, simulata, ostentata, mi sembrano avere appesantito le facce e le intenzioni. Ma questi sono discorsi da vecchio boomer, uno che non cambierebbe una sola Françoise Hardy per cento Kim Kardashian. E quando guardo (le guardo tutte) le sfilze di fotografie delle star, sul Post, sono contento quando vedo che molti dei più giovani (Emma Stone? Billie Eilish? Timothée Chalamet?) portano in giro facce che sembrano ancora indenni da ogni tentativo di simulazione. Non solo perché hanno vent’anni. Perché li hanno senza pensare troppo a che faccia si deve avere a vent’anni, a parte la propria.
Guardate che la vita è un cerchio. Prima o poi sbucherà, girando l’angolo, un ragazzo in jeans, una ragazza in bermuda, e sarà chiaro, in un attimo, che le tonnellate di belletto e i miliardi di photoshop hanno fatto la loro epoca.

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Parecchie le mail post-elettorali, suscitate anche dalle mie riflessioni agrodolci in proposito. Qui di seguito una ampia sintesi, è la classica discussione che si fa in capannelli abbastanza numerosi.

“Che fatica la democrazia. In preda allo sconforto da dopo-elezioni (anche il mio voto è andato disperso come ‘lacrime nella pioggia’) mi viene da invocare l’uomo solo al comando: illuminato, competente, visionario, libero di fare la cosa giusta per tutti noi, affrancato da giudizi popolari inficiati da ignoranza e demagogia.
I social ci hanno messo davanti l’evidenza di un popolo mediamente molto meno riflessivo e razionale di quello che si potesse pensare, succube della ‘pancia’,
vendicativo, rancoroso, manipolabile come un qualsiasi consumatore di prodotto.
Poi penso che quello che oggi politicamente mi sembra meglio è diverso da quello che ritenevo meglio 35 anni fa, e meno male che non è andata come allora avrei auspicato. E forse dietro a scelte che considero dissennate (vedi l’affermazione di Rassemblement National in Francia o peggio AFD in Germania) non c’è solo stupidità, che comunque un peso ce l’ha (ho appena letto due articoli in tema del direttore Sofri) ma ci sono anche disagio, paura, fragilità, povertà di mezzi culturali ed economici a cui gli ‘illuminati’ non sono stati capaci di dare sufficienti rassicurazioni. E allora mi convinco, forse pure io rassicurato dalla mappa del prossimo Parlamento Europeo, che la strada migliore (o la meno peggio) che possa tenere insieme tutta questa eterogenea umanità nei binari di una convivenza civile rispettosa di alcuni valori fondamentali, sia ancora quella, faticosissima, farraginosa, frustrante, spesso irritante della vecchia cara democrazia”.
Marco

“Condivido pienamente la tua analisi sulla democrazia e sul voto come rituale.
Sono ancora abbastanza giovane e, dopo essermi astenuto per tanto tempo, da qualche anno ho compreso l’importanza di votare. Però mi chiedo se questa forma di partecipazione sia abbastanza per dare consistenza alla democrazia. Secondo John Dewey, che teorizzò l’individualismo democratico, è un grosso pericolo considerare la democrazia solamente una struttura giuridica e politica. Non va data per scontata, ma concretizzata attraverso le azioni dei singoli. A questo punto si pone un’altra questione: la democrazia dev’essere appresa, come diceva Kurt Lewin? Siamo davvero democratici? Tolleranti verso gli intolleranti? L’impressione è che siamo sempre meno disposti al dialogo e al confronto con chi possiede idee diverse dalle nostre, e forse è questo il pericolo più grosso per la democrazia”.
Davide, 30 anni

“Come sempre accaduto nella storia, nei periodi di insicurezza e instabilità le destre nazionaliste danno rifugio all’elettorato, mai come oggi perlopiù vecchio, stanco, impaurito. Della crisi della sinistra si è scritto e detto tanto, così come della sua incapacità a rappresentarsi come risposta alle ansie dei cittadini meno ‘strumentati’. Inutile sperare nei giovani, quelli per i quali l’Europa è già nelle loro vite mobili, poliglotte. Quelli sensibili alle tematiche ambientaliste, che nell’UE trovano legislazione e che i nazionalisti non a caso contrastano. I giovani sono una minoranza, in questo continente vecchio e chiuso in sé stesso. Il federalismo europeo, le idee di Spinelli, devono trovare il modo di convincere l’elettore ultracinquantenne, impoverito, condannato a lavorare fino oltre i 70 anni per un tozzo di pane. Intanto sono contento per il risultato in Italia della Schlein e di AVS. Non siamo soli e non siamo pochi”.
Guido

“Ogni volta che scrivi a proposito dell’importanza di andare a votare è sempre un piacere per me: anch’io lo considero un rito. Alle regionali del 2023 (abito in Lombardia) l’incaricato del seggio a cui avevo dato documento e scheda elettorale mi guardò e disse in tono quasi roboante ‘Il signore non può votare!’ Quando vide la mia faccia stupita si mise a ridere e mi disse ‘Non c’è più spazio per mettere i timbri, lei ha un eccesso di senso civico. Deve fare il duplicato in comune’. Non perdo un’elezione, mai, amministrative, politiche o referendum che siano. Lo stesso vale per mia moglie, e siamo contenti di aver trasmesso questa ‘passione’ a nostra figlia, che si è organizzata per votare per queste europee a Parigi, dove sta completando il corso per la laurea magistrale. Il suffragio universale è una conquista, e nemmeno le scelleratezze della politica italiana (e anche mondiale) mi hanno convinto a desistere dall’esercitare un diritto che sono felice di avere e utilizzare”.
Mauro

“Domenica mattina ho caricato i miei figli sulla mia bici cargo elettrica da radical chic, presa con un incentivo regionale di 1.000 euro (Emilia Romagna, as usual), alla volta della scuola Ferrari, Parma, sezione 55. La stessa di nonna Silvia, morta nel 2011, quell’anno andammo a votare insieme per i referendum. A testa alta la nonna Silvia, umile donna del 25, figlia di un mazziniano, mai saltato un voto. Dicevo, ho caricato Amalia e Matteo, quattro e due anni, sulla mia bici cargo. Amalia è una bimba curiosa e sveglia, ricorda benissimo di aver già votato con mamma Bianca, l’anno scorso, per il Sindaco di Parma e per la Caterina, amica di mamma Bianca. Questa volta le racconto che votiamo un Sindaco per l’Europa, mica solo uno però, che non vorrei metterle in testa l’elezione diretta di un Presidente, finché possiamo evitarla… Ha ben capito tutto, ha pure visto la bandiera dell’Europa appesa fuori dalla scuola, una cartina appesa in classe e
tanta gente simpatica e sorridente, felice di vedere due bimbi che
partecipano al rito antico del voto. Abbiamo sceso le scale della scuola, ho guardato i miei figli e ho pianto, solo per due gradini, massimo tre. Questa cosa di andare a votare emoziona davvero”.
Luca

“Sono molto più giovane di lei (classe 1996), eppure ho fatto – faccio – spesso pensieri simili a quelli che ha condiviso. Pensieri sulla ‘vecchiaia’ della democrazia, sull’ipocrisia di chi, se non fosse stata la più grande conquista occidentale del secolo scorso, non potrebbe trattarla come uno straccio dall’alto del potere che essa stessa ha conferito loro. Recentemente però ho ascoltato un intervento di Barbero in un podcast che mi ha insegnato una cosa: non c’è democrazia senza lotta e dolore. Forse per ingenuità, o per la radicata consapevolezza che tutto è relativo – soprattutto la durata della mia esistenza terrena rispetto alla storia – questo mi rende un po’ fiduciosa, in qualche strano modo. D’altronde oltre 70 anni così ‘sereni’ hanno pochi precedenti nella storia, se non addirittura zero. Vuol dire però anche che bisogna rimboccarsi le maniche per attraversare la lotta e il dolore. Siamo pronti? Forse sì, ma credo che nessuno lo voglia davvero, e questo spegne ancora un po’ la fiducia. Non lo so, magari qualche membro di questa strana community epistolare ha qualche idea”.
Lucia

“Anche la mia scheda si è involata come foglia al vento. Ma sono in pace con me stessa. Il diritto al voto è una conquista a cui non ho intenzione di rinunciare. Ho grande rammarico per quell’astensione, lo ritengo un insano frutto dell’imperante narcisismo che anima moltissimi a sinistra: persone per cui nessuno è degno del loro voto. Anche a destra si astengono, ma per un molto italico menefreghismo. Poi c’è il mio sparso paesello appenninico (sono, in un certo senso, una sua vicina) dove ormai sospetto gli abitanti votino per passaparola: sempre allineati, prima leghisti, poi grillini ed ora ammaliati dalla ‘detta Giorgia’. O forse no, semplicemente vogliono sentirsi protagonisti insieme alla maggioranza”.
Annalisa

“Che dire, ho sempre provato anch’io quell’emozione che indicavi nel tuo post, e l’odore di scuola poi mi ha accompagnato per tutta la mia carriera lavorativa, la maggior parte della mia vita, prima da studentessa in seguito da insegnante.
Penso che se credi nel valore delle votazioni, nell’esercizio di questo diritto sacrosanto, quando ti è data questa opportunità di difendere la democrazia non ci sono scuse, che i cuori si alzino o stiano – alla fine- così così. Sarò sempre convinta che non te la devi lasciare sfuggire, l’occasione. A dirla con la Cortellesi, c’è ancora domani… (e poi la prossima volta, e poi quella ancora…)”
Anna Maria

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Si registra un certo ritorno di fiamma di Zanzare Mostruose. Il refuso ha sempre un ruolo importante, anche se in questo caso Alessandra, che segnala il titolo (tratto da Open) avanza il sospetto che si tratti di ignoranza musicale:

MILANO: CANCELLATO PER IL NUBIFRAGIO
IL CONCERTO DELLA FISARMONICA DELLA SCALA

Massimiliano tira fuori dal cassetto un titolo della Provincia di Asti del 2021, che ha giustamente conservato:

BOVINO LASCIA LA GIUNTA

Si tratta, ovviamente, di un assessore, ma il bambino che è in noi vede la mucca, o il bue, che abbandona al loro destino le istituzioni, ormai insalvabili.

Complessa e dolorosa la notizia di cronaca segnalata da Roberta e tratta da Leggo (ma l’avevo vista, quasi identica, su Repubblica.it)

INVESTITO DA UN CINGHIALE MUORE IN SCOOTER A ROMA
ERA IL CUGINO DEL MARITO DI MARIA GRAZIA CUCINOTTA

Posto che è più probabile che siano gli scooter a investire i cinghiali, ci si domanda fino a quale grado le parentele con i vip meritino di essere segnalate.

Infine, per celebrare la nuova, travolgente popolarità della giovane segretaria del Pd, Lorenzo segnala questa locandina di Repubblica:

DEBUTTA REPUBBLICA DELLE IDEE
STASERA IN PIAZZA ELLY SCHLEIN

Si domanda Lorenzo, e noi con lui: mica le avranno già intitolato una piazza?