Altri abusi di altri uffici
«Se buona parte dei media non avesse avuto questo ruolo non richiesto, di aizzatore della pubblica indignazione piuttosto che di informatore della pubblica opinione, sono sicuro che il dibattito sulla giustizia sarebbe di molto alleggerito e svelenito»
Giorni fa ho ascoltato, da Gruber, una discussione particolarmente animata sul reato di abuso d’ufficio, la sua eventuale abolizione, la sua importanza come argine all’arbitrio dei potenti, il suo peso negativo sull’attività dei pubblici amministratori, eccetera. Come quasi sempre accade con i temi giudiziari nel nostro Paese, il dibattito era molto polarizzato tra “garantisti” e “giustizialisti”, ciascuno con le sue brave ragioni che, riassunte un po’ alla grossa, vedono i primi più sensibili ai diritti dell’imputato e al principio della presunzione di innocenza, i secondi al rispetto della legalità e alla lotta alla corruzione politica. (Entrambe le esigenze, teoricamente, dovrebbero trovare piena rappresentanza nell’iter processuale e nella dialettica accusa/difesa, ma evidentemente questo non accade in misura soddisfacente: di qui, forse, le migliaia di ore di talk-show dedicate alla materia negli ultimi trent’anni).
La mia osservazione, non credo laterale, è questa. Se è vero che sono in buona parte giornalisti gli artefici di questo ormai annoso dibattito, è altrettanto vero, e sorprendente, che sono molto rari i riferimenti a quello che, secondo me, è forse l’aspetto più macroscopico del problema: proprio quello giornalistico, cioè quello che riguarda più da vicino il lavoro, le scelte, le responsabilità degli animatori principali di questo dibattito. Sto parlando dell’uso della materia giudiziaria che fanno giornali e giornalisti, spesso ingigantendo lo “scandalo” (formalmente non tale) dell’avviso di garanzia e soffiando sul fuoco delle accuse; salvo ridicolizzarle o rigettarle a priori se la persona convolta è “uno dei nostri”.
Questo uso disinvolto (eufemismo) del diritto di cronaca ha rovesciato, negli anni, fiumi di emotività e di malanimo sopra vicende, e ferite, e casi controversi, che avrebbero avuto bisogno, sempre, di ragionevolezza, di precisione e di cautela, a meno di voler assegnare ai media la mera funzione di organizzatori delle tifoserie politiche (sto dicendo una cosa molto “da Post”: ma forse non è per caso che la scrivo sul Post).
Se buona parte dei media non avesse avuto, da Tangentopoli in qua, questo ruolo, non richiesto, di aizzatore della pubblica indignazione piuttosto che di informatore della pubblica opinione, è molto probabile che il dibattito sulla giustizia sarebbe molto svelenito. Molti innocenti non si sentirebbero segnati a vita, oltre che da un’accusa avventata, da fiumi di titoli e articoli che li hanno infamati. E molti colpevoli non potrebbero farsi forza, oltre che della loro vocazione all’impunità, dell’osceno appoggio politico delle testate a loro vicine. Quando sento parlare di “abuso di ufficio”, dunque, penso spesso a come molti giornali e molti giornalisti hanno abusato del loro ufficio; e di quanto poco volentieri ne parlino, però, perché perfino nei talk-show più polemici e accesi i giornalisti, divisi su tutto, si chiamano tra loro per nome e sembrano, alla fine, come sopraffatti dal vincolo di colleganza. Quando ci si riferisce ai politici si parla di consociativismo. E quando ci si riferisce ai giornalisti?
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Vi dicevo, la settimana scorsa, che sull’argomento maleducazione (da me sollevato con l’attitudine, autodenunciata, della “vecchia zia”) mi erano mancate le osservazioni, e anche i cazziatoni, dei più giovani. Maliziosamente, un paio di lettori boomer mi hanno fatto notare che, nei giorni attorno al Capodanno, i giovani, beati loro, hanno baldorie da vivere o da smaltire; dunque ben altro da fare che leggere la newsletter del vecchio zio; e mi avrebbero fatto sapere qualcosa, con la dovuta calma, in tempi meno festivi.
Beh, è successo proprio così. Mi avete scritto in parecchi, dai quaranta in giù, e le due lettere che introducono la lenzuolata di questa settimana mi sono sembrate così notevoli che mi sento in obbligo di rispondere a entrambe.
“Sono Gabriele, sempre diciassettenne, è la seconda settimana in cui si parla di giovani in questa newsletter (ormai entrata a far parte delle mie abitudini) e sento il dovere civico di dare la mia opinione. Il primo pensiero che ho avuto è stato quello di andare a controllare il meraviglioso sito yourbias.is, che raggruppa i principali bias cognitivi, per rinfrescarmi la memoria sugli errori di ragionamento. Credo, infatti, che non esiste un’argomentazione su questo tema che sia immune dai bias, perché si inserisce in pieno nel classico conflitto generazionale che l’umanità porta avanti, scambiandosi i ruoli, da migliaia e migliaia di anni. È possibile avere un’opinione razionale, mi chiedo, quando chi pensa si inserisce in questa dinamica eterna?”.
“Ogni volta che si presenta un argomento contro ‘i giovani’ o ‘i ‘tempi moderni’ (a meno che non si parli del film di Chaplin), ricordo una famosa citazione attribuita a Socrate, che se la prende con i giovani dei suoi tempi per la maleducazione, con il tipico tono da ‘vecchia zia’. Al di là della (dubbia) veridicità storica della citazione, è evidente che percepire il proprio tempo come in declino è una sensazione diffusa, che si incastra benissimo nel conflitto generazionale e credo che sia insita nella nostra mente. Quindi, le possibilità sono poche: 1) gli umani stanno peggiorando da quando sono apparsi sulla Terra o 2) non è vero niente e va tutto benissimo. Secondo me l’opzione corretta è la 3): la nostra mente è piena di bias e non dovremmo fidarci dei ragionamenti che ci vengono troppo istintivi, specialmente quando riusciamo a razionalizzarli. Alla luce di tutto ciò credo che sia importante guardare alla scienza, piuttosto che alle sensazioni, perché l’esperienza personale è tremendamente limitata e le emozioni non fanno bene al ragionamento; conviene sospendere il giudizio fino a quando non si hanno sottomano dei dati empirici, come quelli che citava Raffaele”.
Gabriele
Gabriele, tu mi fai paura (in senso buono). A diciassette anni non avrei saputo dire nemmeno la metà delle cose intelligenti che scrivi: e dunque, nel caso in questione, il conflitto di generazione perde già in partenza un suo ingrediente classico, quello del brontolio dei vecchi sui tempi in declino (o tempora, o mores!). Non mi sembri per niente declinante.
Detto questo – e non è un convenevole – e preso atto che i bias influenzano pesantemente il pensiero di ognuno, ecco una mia breve contro-osservazione. Al netto del sacrosanto invito a diffidare delle emozioni e dei pregiudizi, cercando di inquadrarli in un contesto razionale e “scientifico”, rimane il problema del giudizio su quello che ci circonda. Possiamo decidere di non esprimerlo, nel dubbio che ogni nostro giudizio sia troppo condizionato dall’emotività per essere “oggettivo”. Ma rischia di diventare, come dire, una specie di astensionismo etico.
Se vogliamo interagire con gli altri siamo costretti a cercare, insieme a loro e a volte in contrasto con loro, una griglia di comportamenti e di valori che ci sembrano positivi (o utili, se preferisci il criterio utilitaristico); oppure negativi/inutili. E questo vale a qualunque età e in qualunque epoca: non esiste comunità che non cerchi di stabilire “regole” che, per quanto discutibili e riformabili, valgano per tutti. Una interminata discussione accompagna, da sempre, questa ricerca. Per questo io penso che sia meglio esprimersi, rischiando qualche imprecisione, che ammutolire nell’attesa (vana) che il nostro pensiero soggettivo combaci con una specie di Aurea Oggettività. E dunque, Gabriele: se qualcuno ti sembra cafone, e qualcun altro gentile, dillo senza farti imprigionare dal padre di tutti i bias: il bias che ci fa temere di essere in perenne ostaggio dei bias.
Ps – In conseguenza di un mio bias (“siamo colonizzati dagli acronimi anglosassoni!”) ho sempre creduto, stupidamente, che la parola fosse un acronimo anglosassone. Anche grazie alla tua lettera ho scoperto che il termine pare sia di origine arcaico-provenzale e significhi, più o meno, “storto”. Dunque mi sono liberato di almeno un bias: il mio bias sui bias.
“Sulla questione ‘maleducazione=mancata percezione della presenza fisica altrui’, mi viene questa riflessione. Ho 45 anni, non nativo digitale ma nemmeno boomer, dei privilegi dei boomer non godo nemmeno di uno. La generazione a cui lei appartiene ha fatto tanto, pensato tanto e anche creato tanto. Ma avete anche abbandonato tanto. Nel nome del progresso. Non quello industriale (che è sporco, inquina ed è anche brutto esteticamente, cosa di cui discutere, quest’ultima) ma dei diritti. Sono tutti individuali, i diritti civili. Il mondo di oggi poggia anche su quello. Vedo in questo la principale deriva individualistica da cui poi nascono la mancata percezione degli altri e la maleducazione. La radice sta tutta lì. Non abbiamo una coscienza comunitaria. O meglio, quando la vecchia coscienza comunitaria andava cambiata perché non aveva più senso, non ne abbiamo sviluppata una moderna. Non c’è nessuna riprovazione sociale per chi inquina o per chi non paga le tasse. Se invece una donna – giustamente – vuole portare la minigonna e non può perché è pericoloso allora ci solleviamo – ripeto giustamente – tutti. Sono in ufficio e mangio una cosa dal bar. Mi danno una piccola confezione con una forchetta, un coltello e un tovagliolo. Con chi mangio? Da solo. Se tutto è pensato per l’individuo è difficile trovare spazio per gli altri. Gli smartphone sono un’evoluzione coerentissima di tutto ciò. Così come forchetta, coltello e tovagliolo”.
GR
Non sapendo come affrontare in poche righe una questione così complicata mi limito a dirti: giustissimo. Noi boomer occidentali abbiamo lavorato tanto e bene per tutelare i diritti individuali ma non siamo stati capaci, proprio per niente, di costruire, come tu scrivi, una “coscienza comunitaria moderna”. Sarebbe stato necessario, penso, dedicare al concetto “doveri” la stessa energia dedicata al concetto “diritti”, ma non l’abbiamo fatto. Proprio in questo senso, citando una volta di più Gaber, “la nostra generazione ha perso”. Ha perso la politica. “Ha perso la città”, come canta Niccolò Fabi. E hanno stravinto gli strateghi dei consumi, per i quali il cliente perfetto, quello che consuma di più, è il single. La persona sola. Quanto a mangiare da soli e allo spirito di comunità, rimando a una delle prime puntate di Ok Boomer!, quella del 27 febbraio ’23, dove si raccontava di un risotto condominiale.
Qui di seguito qualche altra mail. Rigorosamente, questa settimana, solo quelle dei non boomer.
“Il titolo della newsletter, Pardon, mi ha ricordato mio nonno che usava sempre questo modo e lo ha trasmesso a me, forse l’unico quarantenne a utilizzarlo. Termine di un’eleganza incredibile, almeno per me. Mi chiedo come il lockdown abbia aumentato questo fenomeno: lo spostamento di molte relazioni sociali, in primis quelle lavorative, verso piattaforme digitali per il lavoro a distanza, ha accelerato il processo di abbandono delle convenzioni sociali per come le conoscevamo? Secondo me sì. Erano già in disuso tra i più, è aumentata la percezione di ‘falsa cortesia non più necessaria’ nel mondo del qui ed ora, individualizzato sempre di più su uno schermo che poi diventa un modello di vita. Una derivazione della mass produced individuality”.
Matteo
“Ho 37 anni, mi scuso quando urto qualcuno in strada, saluto all’entrata e all’uscita di negozi, dico buongiorno, per favore e grazie, ringrazio quando mi fanno attraversare sulle strisce. Ringrazio, con cenno di mano e sorriso, anche quelli che non si fermano, mi diverte molto la loro reazione imbarazzata. Non sono solo i giovani ad essere maleducati, ci sono anche moltissimi boomer. Sono convinta che non ci sia solo un fattore anagrafico, dietro alla maleducazione, in maggior parte penso sia dovuta al contesto famigliare e sociale a cui si è cresciuti e si vive. Credo di dover ringraziare, oltre alla mia famiglia in generale, in particolare mia madre che mi è stata di esempio. Fa un lavoro a contatto con il pubblico, in ambito ospedaliero, e ha una pazienza secondo me inumana nel trattare con persone, spesso anche colleghi, che le si rivolgono in maniera scortese e aggressiva, per le quali ha sempre un atteggiamento e delle risposte educate e gentili. Tengo ad esprimere tutta la mia ammirazione per coloro che fanno un lavoro a contatto con il pubblico e riescono a mantenere la calma e a non perdere le staffe. Avete tutta la mia stima, io non ci riuscirei”.
Simona
“Sono del 1998, una ‘zillennial’(?). Lavoro in areoporto, ogni giorno vedo molta gente e ho occasione di osservarne i comportamenti. Spesso mi trovo a pensare ‘se al mio posto ci fosse un tablet sarebbe la stessa cosa’. Le persone non salutano, parlano al telefono mentre gli si sta spiegando qualcosa, evitano di guardarti negli occhi perché sono troppo impegnate a guardare il cellulare. Mi sono ritrovata a ripetere ‘good morning’ più volte a un signore in attesa di una risposta, in cambio ho ricevuto solo uno sguardo scocciato. Cerco sempre di pormi con gentilezza ma spesso la maleducazione delle persone mi getta nello sconforto. Siamo talmente concentrati su noi stessi e sulla narrazione di noi stessi che abbiamo dimenticato i valori fondamentali”.
AC
“Non mi sorprende che abbiano risposto solo boomers: era un’esca troppo allettante. Mi è parso di leggere quasi solo vecioti che fanno della loro opinione l’unica lente con cui leggere il mondo; tendenza comune e intergenerazionale, ma mi sembra anche comune che invecchiando si tenda a diventare più insofferenti, soprattutto ai cambiamenti – tutti in peggio ovviamente – ma anche qui, non dico nulla di nuovo. Spero solo di ricordarmene quando toccherà a me! Concordo sul fatto che ci siano dei fenomeni oggettivamente nuovi: lo spostamento verso il virtuale è un tema grosso e incisivo, a cui potrei aggiungere un aumento dell’individualismo/solitudine che ci va a braccetto: ma da dove arriva? Il mercato che entra sempre più in tutti gli aspetti della vita? L’invecchiamento della popolazione? La frenesia frutto della distopia della crescita infinita? Anche l’informazione 2.0 ha potenziato la percezione delle cose negative in un circolo vizioso. Quante radici si intrecciano, come ridurle a un discorso composto e sintetico? Non voglio nemmeno finire nel ‘tutto è relativo, vale tutto’, ma forse un discorso più fecondo ha bisogno di domande poste diversamente (cosa intendiamo per buona educazione e perché, ad esempio) altrimenti la risposta alle lenzuolate lette qui non potrà che essere: ok, boomer…”.
Stefano
“La mia testimonianza di quasi giovane: sono d’accordo con la maggior parte dei commenti, credo che la maleducazione sia aumentata, anche se più nelle piccole cose che nelle grandi. La mia personale battaglia è contro chi usa il cellulare a tutto volume senza cuffie in treno, per ascoltare musica, messaggi vocali o video chiamate. Questo comportamento l’ho ritrovato in tutte le età e le etnie, anche se forse in percentuale (lievemente) maggiore negli stranieri. Concordo sulla causa evidenziata da alcuni lettori: ognuno vive ormai nella sua bolla, non si preoccupa degli altri perché l’unica realtà è quella del telefono. Detto questo, mi avvilisce leggere il commento di un lettore che si lamenta del ‘tu’ dato da un ipertatuato ad un ‘signore brizzolato’, ci colgo un po’ di classismo malcelato e di pregiudizi verso gli stili diversi. Per quanto mi riguarda io vivo immerso nel ‘lei’ (faccio l’insegnante, un po’ riluttante) e forse proprio per questo tendo a dare del tu quando mi rivolgo ad altre persone, più o meno a prescindere dall’età. Non credo che sia automaticamente sinonimo di maleducazione”.
Mattia
“Ho 36 anni e pur non essendo boomer un po’ mi ci sento. Pochi giorni fa non ho visto due ragazze sui sedici anni che stavano per attraversare sulle strisce e non le ho fatto passare. Una volta accortomene mi sono ampiamente scusato a gesti e, non capendo se avevano capito le mie scuse, ho abbassato il finestrino per scusarmi a voce. Mi hanno guardato come un alieno perché per loro le mie scuse erano più assurde di un’infrazione automobilistica”.
Andrea
“Pur non essendo boomer (ho quarant’anni) mi trovi assolutamente d’accordo quando dici che c’è un aumento di modi bruschi e distratti, ma io aggiungerei pure maleducati. Ho notato che c’è stato un aumento post-pandemia, come se ci fossimo dimenticati come si sta con gli altri, come si vive in una società. E questi modi non sono propri solo dei cosiddetti ‘giovani’. Se mi guardo attorno sia in ambito lavorativo che nel tempo libero ho la netta sensazione che si sia persa la percezione degli altri (con la sola eccezione del circolo familiare in senso stretto)”.
Raffaella
“Io tendo a evitare sempre il lei. Alla mail della signora che vuole del lei quando entra nel negozio ho pensato: ‘Scenda dal piedistallo’. A me sembra un trattamento voluto da una persona che per qualche motivo crede di essere sopra di te, mentre tu stai sotto. L’anzianità mi darà il diritto in futuro di avere una posizione di dominanza sui giovani? Se così fosse si spiegherebbero molte cose sulla classe politica attuale. Credo che un rapporto meno formale con l’interlocutore crei un legame più reale, e lo credo perché è un qualcosa di cui ho la riprova ogni giorno. Concludo dicendo che forse, e dico forse, se scendessimo tutti dal nostro piedistallo e ci guardassimo negli occhi alla stessa altezza parlandoci senza tanti fronzoli, tra boomers e generazioni come la mia ci sarebbe un rapporto più onesto e costruttivo. Per fortuna c’è questa newsletter che ci prova”.
Nico.
“Una rapida lettura alle mail dei boomers e già ‘mi sale l’orticaria’. Ancora una volta mi chiedo: ma questa banda di maleducati che saremmo noi millenials/genX, da chi è stata educata?! Onestamente vedo spesso più 50-60enni incapaci di gestire la tecnologia con un minimo di grazia tra suonerie sguaiate e mancato utilizzo degli auricolari con predilezione del vivavoce (ultimo degli esempi? Giusto ieri, il sessantenne accanto a me al cinema a cui squilla il telefono e… risponde!). Per non parlare dell’utilizzo della terza o della seconda persona singolare. Che me ne faccio di sentirmi dare del lei dal canuto ginecologo che poi però piazza la battuta tipo ‘si sbrighi a fare il secondo figlio finché è giovane e fertile’ senza che io abbia accennato alla volontà di una seconda gravidanza!? Non è forse più maleducata l’incapacità di tanti che in funzione della loro età anagrafica/ posizione si sentono in diritto di poter dare consigli non richiesti?”
Chiara Carrieri
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Per una singolare coincidenza, Zanzare Mostruose si apre questa settimana con due titoli di carattere micologico, per la grande soddisfazione di chi, come me, va volentieri a funghi. Il primo è segnalato da Luca e tratto da Ansa-Umbria:
CANE DA TARTUFO CIECO RENDE OMAGGIO AL PRESEPE DEI CAVATORI
Si tratta, qui, del ben noto processo di antropizzazione delle bestie, molto praticato dal giornalismo più pop (cioè, quasi tutto). Difficile che un cane possa, se non rosicchiando il bue e l’asinello, rendere omaggio a un presepe, e soprattutto distinguere un presepe ordinario da quello dei cavatori. In ogni modo il bravo cane, come bene documentato da un’immagine della stessa fonte, è in braccio al suo tartufaio e tanto ci basta per saperlo felice.
NUOVE RIVELAZIONI SULLA MORTE DELLA REGINA ELISABETTA: CARLO ERA ANDATO A RACCOGLIERE FUNGHI
La segnalazione è mia e il titolo (secondo me strepitoso) è tratto da Repubblica. Mi sono lungamente interrogato se possa esserci un nesso tra il decesso della regina e il fatto che l’erede al trono fosse a funghi. Ma forse la conclusione è molto semplice: il nesso non c’è.
Molto intricata la vicenda evocata del titolo seguente, tratto dal Corriere online, pagine torinesi, e segnalato da Giulio:
FINTI CARABINIERI PERDONO LA PISTOLA VERA E RAPINANO IL PUSHER CON MANGANELLO E MANETTE PRESI DAL SEXY SHOP
Il sospetto è che la titolazione online, potendosi concedere spazi impensabili sulla carta stampata, debba ancora perfezionarsi. Ci si dilunga in particolari che rischiano di stordire il lettore prima ancora che legga l’articolo.
Ottima, per finire, la segnalazione di Eleonora, tratta dalla selezione di Bing (che non ho idea di cosa sia). Ci richiama tutti, con severità, all’importanza della virgola. Una sua omissione può avere effetti molto sgradevoli.
INFLUENZA 2024: NASO CHE COLA DIARREA E ALTRI SINTOMI