La vittoria dei proiettili di rame
Al termine di centoventi lunghissimi minuti, terminati sullo 0-0, ci sono voluti ben diciotto calci di rigore prima di assegnare il più prestigioso trofeo per squadre nazionali d’Africa. L’errore di Gervinho, fantasista ivoriano dell’Arsenal e autore del gol decisivo nella semifinale vinta contro il Mali, precede la realizzazione decisiva dello stopper Sunzu: i chipolopolo (‘proiettili di rame’) dello Zambia entrano nella storia e regalano una gioia enorme ad un paese che per il 70 per cento vive sotto la soglia di povertà.
Sovvertendo tutti i pronostici della vigilia, la squadra allenata dal francese Herve Rervard batte la Costa d’Avorio, che al 70’ sbagliava malamente un rigore – peraltro dubbio – concesso dall’arbitro senegalese Diatta e calciato alle stelle dalla stella del Chelsea Didier Drogba. Una finale davvero inedita che ha messo fine alla dittatura calcistica dell’Egitto, detentore delle ultime tre competizioni. Gli elefanti ivoriani, grandi favoriti della vigilia insieme al Ghana, vantano numerosi giocatori protagonisti in Europa e sono giunti in finale con cinque vittorie consecutive, senza subire nemmeno un gol. I chipolopolo, grande sorpresa di questa edizione di Coppa d’Africa, grazie ad un gioco concreto e vincente, si sono presentati all’appuntamento sulla scia dell’entusiasmo per il successo in semifinale contro il rassegnato Ghana di Asamoah (anch’egli ha fallito un rigore!), poi nuovamente battuto dal Mali (per 2-0) nella finalina per il terzo posto.
Le due squadre non facevano certo parte dell’elitè del calcio continentale. Niente a che vedere con i sette successi egiziani o i quattro a testa di Ghana e Camerun. L’unica vittoria della Costa d’Avorio risale al 1992. E sarebbe stata certamente una vittoria importante per aiutare il tentativo di riconciliazione intrapreso da un paese che nell’ultimo decennio ha conosciuto un susseguirsi di guerra civile, tentativi di colpo di stato militari e istituzionali fino alla drammatica crisi della scorsa primavera che ha causato diverse migliaia di morti. E quanto a riconciliazione, la palla rotonda sarebbe tornata ancora protagonista. Il presidente Alassane Ouattara, presente sugli spalti, avrebbe tanto voluto alzare al cielo questo prestigioso trofeo insieme agli idoli di un paese diviso, tra cui molti – a cominciare proprio da Didier Drogba – provengono dalla stessa regione (Gagnoa) dell’ex presidente Laurent Gbagbo, oggi incarcerato all’Aja per i crimini seguiti alle contestate elezioni del novembre 2010.
Appena due secondi posti quelli fino ad ora conquistati dallo Zambia, riuscito nell’impresa di trasformare Libreville in un ricordo glorioso, sebbene questo successo non potrà mai cancellare la tragedia del 1993, la ‘Superga africana’. Era il pomeriggio del 27 aprile e la nazionale di calcio dello Zambia, che in massima parte era quella che sconfisse l’Italia per 4-0 alle Olimpiadi Seul del 1988, prese il volo verso Dakar per affrontare il Senegal in un match valido per le qualificazioni ai Mondiali. L’aereo dell’aeronautica militare zambiana si inabissò poco dopo nelle acque dell’Oceano Atlantico, cinquecento metri al largo dalle coste della capitale del Gabon. Trenta le vittime. Nessun superstite (eccetto cinque giocatori che erano partiti in auto). L’anno seguente, con una nazionale completamente rimaneggiata, lo Zambia raggiunse la finale, poi persa contro la Nigeria. Un dolore sempre vivo, commemorato prima della partita sulla spiaggia di Libreville, con i giocatori che hanno deposto fiori, pregato e intonato cori in memoria dei defunti predecessori. In un continente che fa del simbolismo una pratica di vita quotidiana e magica, le vittime di quello sciagurato incidente erano certamente dietro a Sunzu per calciare in rete il rigore della vittoria. A Lusaka la festa è grande come grande è la commozione: lo Zambia è campione d’Africa.