Le elezioni in Costa D’Avorio
Il Presidente Ouattara continua nella sua marcia verso la normalizzazione e il rilancio del paese, sebbene siano molte le insidie che ne ostacolano il corso. Le strade di Abidjan appaiono ripulite dalla lotta armata dei mesi passati, i check-points dei militari sono quasi del tutto spariti e tanti cantieri sono aperti e visibili. Le tensioni interne non si sono affatto placate ma la tabella di marcia del governo in carica – che alcuni definiscono ‘étapiste’ – non ha voluto cedere ai tentativi di rinviare le elezioni legislative programmate per l’11 dicembre per far in modo che anche quello che resta del FPI (Front Populaire Ivorien) di Gbagbo partecipasse. Ma il boicottaggio decretato dal FPI è stato reso ancora più irrevocabile dal trasferimento di Gbagbo all’Aja avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 novembre. In seguito a ciò, anche altri partiti che componevano il cartello de LMP (La Mouvance Présidentielle) hanno ritirato le proprie liste di candidati e aderito al boicottaggio. Intanto il FPI, mentre promette di riorganizzarsi sulle ceneri dell’ancien regime, versa in stato di dissoluzione e i suoi quadri sono stati arrestati, hanno riparato all’arresto o, nel migliore dei casi, preferiscono mantenere una posizione di basso profilo in questa delicata fase.
In un contesto certamente poco entusiasmante per la democrazia, anche queste elezioni – come avvenne per le presidenziali – vengono presentate in un quadro di ‘sortie de la crise’. Un anno fa, più dell’80% degli oltre cinque milioni di ivoriani aventi diritto si era recato alle urne con entusiasmo e commozione, convinti che quelle elezioni, attese per almeno cinque anni e più volte posticipate, avrebbero significato l’uscita dall’impasse politica ed economica che attanaglia il paese dalla fine degli anni ’90. È da allora che il miracolo ivoriano è definitivamente svanito per far posto ad una realtà di violenze e conflitti, di recessione economica e deterioramento del tessuto sociale di un paese che vantava elevati standard di istruzione e benessere, al punto da essere presentato come orgoglio del colonialismo francese in Africa.
Il ballottaggio tra Ouattara e Gbagbo del 28 novembre 2010, infine, invece di determinare l’uscita dalla crisi, ha finito per precipitare il paese in una crisi ancora più grave delle precedenti, durata cinque lunghi mesi di conflitto e isolamento economico rispetto al resto del mondo. Le stime parlano di almeno 3.000 morti, circa 300.000 sfollati interni e 200.000 rifugiati nei paesi confinanti (Burkina Faso, Liberia e Ghana). Della serie, appunto, che non c’è mai fine al fondo.
Tuttavia, non c’è molto da essere ottimisti innanzi a queste elezioni legislative che rappresentano piuttosto la volontà del governo ivoriano di voltare pagina il più in fretta possibile, fornire una maggiore legittimità al governo del primo ministro Guillame Soro e al Presidente Alassane Ouattara al fine di ristabilire la sovranità di un parlamento eletto per l’ultima volta nel 2000 e latinante dalle sue funzioni collegiali almeno dal 2005. Ma non sempre il domani ci riserva migliori condizioni del presente. Nel caso ivoriano altri interrogativi prendono il sopravvento alla luce di questo scrutinio. In questo breve reportage se ne affrontano solo alcuni… e dice bene il tanto amato artista ivoriano Alpha Blondy che “bisogna diffidare da chi afferma di aver capito la complessità di questo paese, poiché vuol dire che non ha capito proprio un bel niente”.
Ognuno la vede a modo proprio: se è vero che, soprattutto in politica, la verità è qualcosa di assolutamente soggettivo, la Costa d’Avorio ne è un ottimo esempio. Un paese dove tutti hanno un punto di vista e un’opinione che esprimono senza esitazione con puntuale ricorso a proverbiali ivorianismi che ne fanno oratori ammalianti. Un paese dove esiste una carta stampata completamente assoggettata alla linea che rappresenta fino all’acriticità più marcata. Un paese diviso dove non bisogna dimenticare né sottovalutare che sebbene il risultato legittimo delle presidenziali sia quello annunciato dalla CEI (Commission Electorale Indépendante) e certificato dall’ONUCI (la missione ONU in Costa d’Avorio) che ha assegnato a Ouattara il 54% dei suffragi, esiste tuttavia un 46% di elettori che ha votato in maniera convinta per Gbagbo. La distanza che resta da colmare tra i sostenitori delle due parti è netta e presenta pochi margini di negoziazione. Le radici di tale distanza vanno ricercate in motivazioni etniche, antropologiche e sociologiche che sono oggetto del mandato della Commissione Verità e Riconciliazione, istituita nel mese di maggio e presieduta dall’illustre baulé Konan Banny.
Ognuno la vede a modo proprio: se è vero che, soprattutto in politica, la verità è qualcosa di assolutamente soggettivo, la Costa d’Avorio ne è un ottimo esempio. Un paese dove tutti hanno un punto di vista e un’opinione che esprimono senza esitazione con puntuale ricorso a proverbiali ivorianismi che ne fanno oratori ammalianti. Un paese dove esiste una carta stampata completamente assoggettata alla linea che rappresenta fino all’acriticità più marcata. Un paese diviso dove non bisogna dimenticare né sottovalutare che sebbene il risultato legittimo delle presidenziali sia quello annunciato dalla CEI (Commission Electorale Indépendante) e certificato dall’ONUCI (la missione ONU in Costa d’Avorio) che ha assegnato a Ouattara il 54% dei suffragi, esiste tuttavia un 46% di elettori che ha votato in maniera convinta per Gbagbo. La distanza che resta da colmare tra i sostenitori delle due parti è netta e presenta pochi margini di negoziazione. Le radici di tale distanza vanno ricercate in motivazioni etniche, antropologiche e sociologiche che sono oggetto del mandato della Commissione Verità e Riconciliazione, istituita nel mese di maggio e presieduta dall’illustre baulé Konan Banny.
La fine di Gagbo? Sono passati otto mesi esatti dall’11 aprile, quando Laurent Gbagbo veniva prelevato ed arrestato nel bunker del palazzo presidenziale di Cocody e da lì trasportato a Khorogo, nel profondo nord, dove è rimasto detenuto fino al 29 novembre. Poi, sebbene i riflettori della Corte Penale Internazionale, (CPI) sotto l’impeto del procuratore Moreno-Ocampo (che il 25 ottobre aveva avanzato una richiesta ufficiale d’arresto nei confronti di Gbagbo), fossero puntati sugli eventi ivoriani ed una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite lanciata nel mese di giugno per fare luce sulle responsabilità di entrambi i campi, dalla sera alla mattina Gbagbo è stato prelevato e trasferito nel super carcere di Scheveningen, alla periferia de l’Aja.
in Olanda, Gbagbo è certamente il detenuto più illustre finito sotto la giurisdizione della CPI. Ma durante le ore d’aria, potrà tuttavia fregiarsi della compagnia dell’ex-presidente liberiano Charles Taylor, dei serbi Ratko Mladic e Radovan Karadzic, dell’ex vicepresidente congolese Jean-Pierre Bemba con il suo entourage. Insomma, tra un corso di computer, uno studio privato e una cucina personale, Laurent Gbagbo non avrà certo tempo di annoiarsi mentre prepara le sue accese arringhe difensive. In tal senso, nel suo esordio innanzi alla Corte, il 5 dicembre, non ha dato certo l’impressione di essere rassegnato ma ha attaccato apertamente l’ingerenza della Francia negli affari ivoriani, dando prima sostegno alla ribellione delle Forces Nouvelles e poi all’elezione di Ouattara, fino ad assumere un ruolo chiave per pervenire al suo arresto.
In Costa d’Avorio, ad Abidjan, c’è ancora chi attende il rientro di ‘papà Gbagbo’, ne difende le ragioni e invoca che se giustizia deve essere, che la si faccia a largo raggio e si incrimini anche chi nell’altro campo si è reso protagonista di altrettanti crimini quali quelli imputati a Laurent Gbagbo. Non si può parlare di riconciliazione senza la garanzia di un’equa giustizia. La certezza che si respira, infatti, è che Gbagbo non sarà l’unico ivoriano a comparire nelle aule dei giudici dell’Aja. Ma per questo bisognerà attendere e vedere fin dove la CPI avrà il coraggio di spingersi.
in Olanda, Gbagbo è certamente il detenuto più illustre finito sotto la giurisdizione della CPI. Ma durante le ore d’aria, potrà tuttavia fregiarsi della compagnia dell’ex-presidente liberiano Charles Taylor, dei serbi Ratko Mladic e Radovan Karadzic, dell’ex vicepresidente congolese Jean-Pierre Bemba con il suo entourage. Insomma, tra un corso di computer, uno studio privato e una cucina personale, Laurent Gbagbo non avrà certo tempo di annoiarsi mentre prepara le sue accese arringhe difensive. In tal senso, nel suo esordio innanzi alla Corte, il 5 dicembre, non ha dato certo l’impressione di essere rassegnato ma ha attaccato apertamente l’ingerenza della Francia negli affari ivoriani, dando prima sostegno alla ribellione delle Forces Nouvelles e poi all’elezione di Ouattara, fino ad assumere un ruolo chiave per pervenire al suo arresto.
In Costa d’Avorio, ad Abidjan, c’è ancora chi attende il rientro di ‘papà Gbagbo’, ne difende le ragioni e invoca che se giustizia deve essere, che la si faccia a largo raggio e si incrimini anche chi nell’altro campo si è reso protagonista di altrettanti crimini quali quelli imputati a Laurent Gbagbo. Non si può parlare di riconciliazione senza la garanzia di un’equa giustizia. La certezza che si respira, infatti, è che Gbagbo non sarà l’unico ivoriano a comparire nelle aule dei giudici dell’Aja. Ma per questo bisognerà attendere e vedere fin dove la CPI avrà il coraggio di spingersi.
Le elezioni legislative: sono un migliaio circa i candidati in corsa nelle 205 circoscrizioni per contendersi i 255 seggi che comporranno la prossima Assemblea Nazionale. Il governo in carica ha apportato rilevanti modifiche alla delimitazione territoriale delle circoscrizioni finendo per aggiungere 30 seggi secondo un nuovo criterio di redistribuzione che favorisce la rappresentatività delle meno dense regioni del nord, feudi inespugnabili delle Forces Nouvelles, politicamente oramai del tutto assimilate al RDR (Rassemblement des Républicains) di Alassane Ouattara. Il sistema elettorale è un maggioritario semplice a turno unico con liste bloccate.
Dato il boicottaggio del campo pro-Gbagbo, il tasso di partecipazione è certamente uno dei più importanti indicatori cui si guarderà per valutare l’esito di questo scrutinio. Fa eccezione LIDER (Liberté et Démocratie pour la République), partito appena fondato da Mamadou Coulibaly, futuro ex-presidente dell’Assemblea Nazionale e brillante quadro del FPI fino alla definitiva presa di distanza da Gbagbo a causa delle divergenze in seguito alle contestate presidenziali. LIDER presenta in totale 8 liste e 12 candidati, con Coulibaly schierato in prima persona nel collegio di Koumassi ad Abidjan dove la sfida tra RDR e PDCI (Parti Démocratique de CÔte d’Ivoire) promette di essere all’ultimo voto. Ma mentre oggi Coulibaly spera di portare alle urne in suo favore almeno una parte degli elettori del FPI, il suo sguardo sul futuro va ben oltre queste elezioni legislative e il nome scelto per la sua formazione politica la dice lunga. Un’altra manciata di ex-dirigenti del FPI (38 fino a quando una parte di essi ha deciso di ritirarsi per protesta contro la consegna di Gbagbo alla CPI) correrà nelle vesti di candidati indipendenti e sono oggetto di attacchi mediatici sia da parte degli avversari del RDR e del PDCI che da parte dei loro ex-compagni di partito.
Una prova di forza tra i maggiori azionisti del RHDP (Rassemblement des Houphouétistes pour la Démocratie et la Paix): non è certamente casuale che il presidente Ouattara abbia deciso di mantenere una posizione defilata durante questa campagna elettorale, durata appena una settimana in cui si sono registrati alcuni episodi di violenza e diverse tensioni all’interno del campo presidenziale. Infatti, se dapprima l’idea di Ouattara fosse quella di consolidare il RHDP, ciò non si è potuto materializzare a causa della contesa interna per definire le candidature e, inoltre, per non incorrere nell’inopportunità di tornare al partito unico. Vale la pena ricordare, infatti, che Ouattara deve la sua elezione ai voti indirizzati in suo favore dal PDCI al secondo turno delle presidenziali. Queste elezioni legislative, quindi, costringono RDR e PDCI alla conta e, considerata anche l’età del Presidente in carica (Ouattara ha 69 anni), potrebbero rappresentare un’ipoteca per la candidatura alle prossime elezioni presidenziali previste nel 2015 ma, soprattutto, sulla immediata ricomposizione del governo in carica.
Il PDCI spera di attrarre il voto dei delusi gbagboisti che mai potranno accettare uno ‘straniero’ a capo della Costa d’Avorio. Ouattara è di origine burkinabè e la questione della nazionalità e dell’ivorianità è al centro del dibattito politico-sociale da metà degli anni ’90. Da quando, appunto, finito l’interregno di Houphouet-Boigny, durato dall’indipendenza del 1960 fino al suo decesso nel 1993, la Costa d’Avorio non è stata più in grado di offrire accoglienza e lavoro agli ‘stranieri’ della regione. Sul concetto di ‘straniero’, quindi, si sono sprecati fiumi di inchiostro fino a renderlo un concetto molto fluttuante che non riguarda solamente chi viene dall’estero ma presenta molti altri connotati. I partiti politici, ovviamente, ci hanno messo del loro, enfatizzando ed esaltando una politica regionalista basata sull’etnia che non ha di certo aiutato la coesione nazionale.
Dato il boicottaggio del campo pro-Gbagbo, il tasso di partecipazione è certamente uno dei più importanti indicatori cui si guarderà per valutare l’esito di questo scrutinio. Fa eccezione LIDER (Liberté et Démocratie pour la République), partito appena fondato da Mamadou Coulibaly, futuro ex-presidente dell’Assemblea Nazionale e brillante quadro del FPI fino alla definitiva presa di distanza da Gbagbo a causa delle divergenze in seguito alle contestate presidenziali. LIDER presenta in totale 8 liste e 12 candidati, con Coulibaly schierato in prima persona nel collegio di Koumassi ad Abidjan dove la sfida tra RDR e PDCI (Parti Démocratique de CÔte d’Ivoire) promette di essere all’ultimo voto. Ma mentre oggi Coulibaly spera di portare alle urne in suo favore almeno una parte degli elettori del FPI, il suo sguardo sul futuro va ben oltre queste elezioni legislative e il nome scelto per la sua formazione politica la dice lunga. Un’altra manciata di ex-dirigenti del FPI (38 fino a quando una parte di essi ha deciso di ritirarsi per protesta contro la consegna di Gbagbo alla CPI) correrà nelle vesti di candidati indipendenti e sono oggetto di attacchi mediatici sia da parte degli avversari del RDR e del PDCI che da parte dei loro ex-compagni di partito.
Una prova di forza tra i maggiori azionisti del RHDP (Rassemblement des Houphouétistes pour la Démocratie et la Paix): non è certamente casuale che il presidente Ouattara abbia deciso di mantenere una posizione defilata durante questa campagna elettorale, durata appena una settimana in cui si sono registrati alcuni episodi di violenza e diverse tensioni all’interno del campo presidenziale. Infatti, se dapprima l’idea di Ouattara fosse quella di consolidare il RHDP, ciò non si è potuto materializzare a causa della contesa interna per definire le candidature e, inoltre, per non incorrere nell’inopportunità di tornare al partito unico. Vale la pena ricordare, infatti, che Ouattara deve la sua elezione ai voti indirizzati in suo favore dal PDCI al secondo turno delle presidenziali. Queste elezioni legislative, quindi, costringono RDR e PDCI alla conta e, considerata anche l’età del Presidente in carica (Ouattara ha 69 anni), potrebbero rappresentare un’ipoteca per la candidatura alle prossime elezioni presidenziali previste nel 2015 ma, soprattutto, sulla immediata ricomposizione del governo in carica.
Il PDCI spera di attrarre il voto dei delusi gbagboisti che mai potranno accettare uno ‘straniero’ a capo della Costa d’Avorio. Ouattara è di origine burkinabè e la questione della nazionalità e dell’ivorianità è al centro del dibattito politico-sociale da metà degli anni ’90. Da quando, appunto, finito l’interregno di Houphouet-Boigny, durato dall’indipendenza del 1960 fino al suo decesso nel 1993, la Costa d’Avorio non è stata più in grado di offrire accoglienza e lavoro agli ‘stranieri’ della regione. Sul concetto di ‘straniero’, quindi, si sono sprecati fiumi di inchiostro fino a renderlo un concetto molto fluttuante che non riguarda solamente chi viene dall’estero ma presenta molti altri connotati. I partiti politici, ovviamente, ci hanno messo del loro, enfatizzando ed esaltando una politica regionalista basata sull’etnia che non ha di certo aiutato la coesione nazionale.
I pronostici per il futuro, tuttavia, vedono sempre Guillame Soro, leader delle Forces Nouvelles, come astro della politica ivoriana. Questo quarantenne venuto dal nord, tanto giovane quanto fine stratega, in pochissimi anni ha trasformato un movimento di ribellione in una forza di governo repubblicana, è candidato alle legislative sotto le effigi del RDR nel collegio blindato di Ferké, sua regione di residenza dove non conosce rivali che possano contenerlo.