Diario dalla Tunisia
Oggi è giorno di luna piena nel Maghreb. Finisce il mese di Ramadan e si festeggia el-Eid el-Fitr, l’equivalente musulmano del Natale cristiano. Tanti regimi sono capitolati rispetto ad un anno fa, ma nessuna impiccagione mirata quest’anno – come fu quella di Saddam Hussein nel 2006. Certamente non vi è coincidenza nemmeno con la caduta di Gheddafi nella vicina Libia, mentre i rifugiati libici in Tunisia festeggiano in strada l’uscita di scena del raìs.
Le famiglie tunisine siedono oggi raccolte, consumando pietanze e dolci tradizionali per celebrare la venuta del loro Profeta e pongono fine al mese di digiuno diurno, senza acqua né sigarette, imposto dalla legge coranica in un mese d’agosto a 40°. Ancora due giorni di festa e poi tutto tornerà alla normalità, compreso il ripristino degli orari lavorativi, poiché nei mesi estivi vige la cosiddetta séance unique, introdotta dai francesi, in cui si lavora solo la mattina e che nulla ha a che vedere con il Corano.
Ma quale normalità? I tunisini residenti all’estero fanno ritorno nei loro paesi di abituale dimora dopo che quest’estate sono venuti numerosi per vedere di persona cosa fosse cambiato con il vento della rivoluzione e per sopperire alla forte flessione di turisti stranieri, come dicono i più patriottici. Ancora due settimane e riapriranno le scuole, fra due giorni gli asili. I ristoranti e i caffè che avevano serrato le saracinesche durante il mese santo, riaprono i battenti e, mentre alcuni sono intenti a fare grandi pulizie altri già servono dolciumi e bevande a una folla che sembra essersi risvegliata da un lungo letargo. Forse anche gli stadi di calcio riapriranno le porte agli spettatori dopo le misure precauzionali decise a seguito degli eventi rivoluzionari. Per strada, intanto, come funghi, appaiono banchetti improvvisati di venditori ambulanti che offrono pane, arrosticini, olive, capperi e peperoni. Ma nulla è più come prima in Tunisia e il futuro appare ancora molto incerto per gridare agli albori della prima vera democrazia araba. Indietro non si torna e non si può certo dire che il ramadan abbia smorzato sogni della rivoluzione.
Approfitto di questa giornata di mezzo e mi avvio verso il TGM, il famoso metrò leggero che collega La Marsa a Tunisi. In appena mezz’ora e una decina di fermate il trenino attraversa Cartagine, le zone popolari e portuali di Le Kram e La Goulette, dove è possibile avvistare i grattacieli galleggianti della MSC Crociere che da poco ha ricominciato a fare scalo da queste parti. Tocca ancora Sidi Bou Said, patrimonio dell’Unesco per la sua architettura di ispirazione andalusa, da dove ora comincia il mio viaggio. Da qui in venti minuti, si arriva alla stazione marina di Tunisi, poche centinaia di metri a sud dell’Avenue Habib Bourguiba, grande boulevard del centro cittadino chiaramente ispirato agli Champs Elysées. Nella piazza dell’orologio, che una volta si chiamava piazza 7 Novembre 1987 (giorno in cui Ben Ali spodestò Bourguiba) la sera una moltitudine di giovani siede ai bordi della grande fontana centrale. A seguito dei recenti eventi spiccano cartelli che indicano la nuova denominazione: Place 14 Janvier. Ancora dieci minuti a piedi e si giunge alla Medina.
Costeggio il Grand Theatre Municipal dallo stile ispano-portoghese e svolto in rue de Gréce con i suoi piccoli hotel e viuzze che si inerpicano verso i souk della Medina. Le strade sono quasi completamente deserte. Fa caldo, è ora di pranzo ed è un giorno di festa che si trascorre in famiglia. Faccio qualche foto. Mi si avvicina un uomo che mi indica di tornare pochi metri più indietro per imboccare la stradina a destra parlandomi come se dietro a quel muro fosse nascosta chissà quale sorpresa. “Monuments historiques, Unesco, tout est caché, tout est là”, ripete più volte. Dopo un po’ si sforza di dirlo anche in italiano, mentre ci incamminiamo per scoprire cosa ci sia al di là del muro.
Tarek – basso di statura, capelli brizzolati e barba incolta – avrà tra i 50 e i 55 anni. Lavora in una fabbrica di abbigliamento per bambini. Ha modi molto gentili supportati da un’evidente curiosità, apprezzamento e conoscenza della storia e dei luoghi che l’hanno fatta. Dopo circa dieci minuti da quando ci siamo immessi nei vicoli della parte sud della Medina, ho la certezza che Tarek appartenga a quella tipologia di persone che ti rivela ciò che da solo non potresti mai trovare: una guida senza patente che oltre alla storia scritta sui libri, ti racconta anche quella di ogni pietra su cui poggi piede. “Labirinto”, ripete spesso incalzando i passo a destra, a sinistra, poi avanti e ancora indietro. Proprio così, un labirinto mai avaro di sorprese Casa Sicilia, Rue des Andalous, la casa natale di Ibn Khaldoun, un’altra casa abitata dai discendenti del Bey, i palazzo dei Sultani, una chiesa diroccata, una delle moschee più antiche collocata quattro metri sotto terra hammam storici frequentati dal popolino prima e dalle classi più agiate dopo, poi ancora mille archi a volta restaurati (o altri trasandati), portoni di legno ferrato di varie taglie e colori, per lo più giallo oro e azzurro mare, con manine di Fatima che fanno da campanello e incisioni murali di un simbolismo magico.
Sono passate più di due ore. Saluto Tarek ed ho ancora il tempo e voglia di scoprire, ma anche un po’ fame. Più avanti, nella piazza del mercato all’ingrosso di frutta e verdura, ci sono dei fast food locali popolari, che attirano viaggiatori curiosi e affamati: un quarto di pollo, patate fritte, insalata e salsa di peperoni piccanti in un piatto, zuppa di lenticchie in un altro: le mani e il pane per posate.
Riprendo la strada. Un caffè tipico tra mille uomini che fumano mille sigarette, giocano a carte e discutono di tutto un po’. Ancora un centinaio di metri con un gelsomino profumato tra le mani e sono nuovamente sul TGM. Sfoglio i giornali del giorno e ritorno a Sidi Bou Said.