Superbowl, tutto quel che c’è da sapere
Domenica va in scena il più grande spettacolo sportivo americano e intanto si parla anche molto di Madonna, la 53enne italo-americana di Detroit (“È il sogno di ogni ragazza del Midwest esibirsi al Superbowl”) che salirà sul palco nell’intervallo della finalissima NFL tra New England Patriots e New York Giants. Più che “Like a Prayer”, qualcuno ha titolato “Like a Player”, perché anche Madonna – come parecchi giocatori, il più importante il tight end dei Patriots Rob Gronkowski – è alle prese con un piccolo infortunio, al tendine del ginocchio. Di “preghiere” si è comunque parlato, e a farlo è stata l’altra donna da copertina di questo Superbowl, la super top model Gisele Bundchen, nonché signora Brady (cioè, è la moglie del quarterback di New England): che è finita sulle pagine del New York Post con il testo di una mail spedita ad amici e parenti in cui chiedeva “le preghiere di tutti in una giornata davvero importante della vita e della carriera di mio marito”. Saranno sufficienti? I bookmaker di Vegas ci credono e danno i Pats favoriti sui Giants in quella che sarà, prima di tutto, l’ennesimo capitolo dell’eterna sfida tra Boston e New York ma anche la rivincita del Superbowl di 4 anni fa, quando New England si presentò imbattuta (19 vinte, 0 perse) alla ricerca di una storica “perfect season” (riuscita solo ai Miami Dolphins nel 1972) per vedere il proprio sogno infranto da Eli Manning e i suoi Giants, vincitori per 17-14. Già, Manning.
A Indianapolis, dove si gioca, è un cognome che conoscono bene: il “vero” Manning, Peyton, è quarterback dei locali Colts. E uno dei due, ironia della sorte, potrebbe benissimo competere per il premio di MVP (miglior giocatore) di una stagione che non ha visto neppure mai mettere piede in campo l’altro. Prima del via, infatti, i Colts erano accreditati da molti (da tutti?) come vincitori della propria division e sicuri protagonisti dei playoff finché un brutto guaio fisico non ha messo fuori gioco il Manning maggiore. Risultato? Perse le prime 13 in fila della stagione e record finale di 2-14. Non che le cose al fratello sembrassero andare tanto meglio, in quel di New York. A due giornate dalla fine del campionato, i suoi Giants avevano vinto 7 partite e ne avevano perse altrettante, con chances di playoff a grave rischio. Ma in America si parla spesso di “peaking at the right time”, ovvero della capacità di squadre e campioni di entrare in forma al momento giusto.
I Giants arrivano a questo Superbowl sulla scia di 5 vittorie consecutive, i Patriots su una striscia aperta addirittura di 10 successi. L’ultima sconfitta? Il 6 novembre 2011, in casa, proprio contro New York (24-20). E se Peyton Manning ha dalla sua 4 titoli di miglior giocatore NFL (record assoluto), come lui Eli ha vinto già un Superbowl e pure un premio come miglior giocatore della finalissima. Potrebbero diventare due già domenica notte, eguagliando così proprio il suo rivale nella finale, Tom Brady, già votato come MVP del Superbowl nel 2002 e nel 2004. Brady e Manning, come detto, si ritrovano uno davanti all’altro con in palio il titolo per la seconda volta in carriera e una rivincita del genere era successa in passato solo ad altri 4 quarterback: Terry Bradshaw aveva avuto la meglio entrambe le volte su Roger Staubach (Pittsburgh vs. Dallas) e Troy Aikman aveva infranto e re-infranto i sogni di vittoria di Jim Kelly (Dallas vs. Buffalo).
Una statistica che, visto il precedente del 2008, i tifosi di New England vogliono leggere e subito dimenticare, nel caso aiutati da quel miliardo-duecentotrentaduemilioni-e-centocinquantunomila litri e spiccioli di birra che verranno consumati davanti alla partita dell’anno (ci si riempiono 493 piscine olimpiche, fanno sapere…). Perché la sera del Superbowl è un grande evento non solo sportivo ma anche televisivo (rating alle stelle per la gioia di NBC, mentre in Italia la finale si potrà vedere su Sportitalia e – con la novità dell’HD – su ESPN America, su Sky), di marketing (la solita corsa delle più grandi multinazionali mondiali a presentare in anteprima nuove pubblicità durante le pause della partita) e di costume sociale. Solo il 5% degli americani, infatti, vedrà la partita nella solitudine della propria casa, mentre saranno più di 61 milioni (quasi il 20%) quelli che parteciperanno a un “Superbowl Party”, come quelli che ESPN America ha organizzato anche in tutta Europa (Amsterdam, Parigi, Praga, Monaco, Berlino, Vienna, Varsavia e Lisbona) e pure da noi in Italia, all’Hard Rock Cafe di Roma e al Kookaburra di Monza. Per tirare mattina e vedere – oltre a Madonna – chi vince il Superbowl.