Una storia d’altri tempi
Tutto in un giorno (ieri): prima filtra la notizia, poi arriva la conferenza stampa a suggellarla. Jerry Sloan non è più l’allenatore degli Utah Jazz. E allora, direte voi? Chi è questo Sloan? Mica è Mourinho. No, non lo è. E neppure il famoso “coach Zen”, Phil Jackson, se si vuol restare all’interno dei confini dell’universo NBA.
Quindi? Perché dovrebbe interessare?
Perché Jerry Sloan, 69 anni a fine marzo, ha rassegnato le dimissioni da capo-allenatore dopo 23 anni e 1.221 vittorie (terzo per gare vinte nella storia della NBA, primo tra gli allenatori in attività) alla guida della stessa squadra, la “sua” squadra, gli Utah Jazz.
Dal 9 dicembre 1988 al 10 febbraio 2011. Ventitre anni. Una squadra. Un allenatore.
Se il dato sembra folle nella patria dei Zamparini e dei Cellino, schizofrenici mangia-allenatori del pallone, fa notizia anche oltreoceano, dove Sloan era il coach da più tempo sulla stessa panchina in tutti e 4 i principali sport professionistici americani (football, baseball e hockey su ghiaccio, oltre al basket NBA). Per dire: nel suo periodo alla guida dei Jazz, nella NBA si sono succeduti 245 allenatori. Per dire: mentre i Jazz lo hanno avuto al timone per tutto questo tempo, sulla panchina dei Clippers si sono seduti in 13. Per dire: quando Sloan diventava allenatore dei Jazz, quel 9 dicembre 1988, 40 giocatori NBA attuali non erano neppure ancora nati e 5 squadre (Charlotte, Memphis, Toronto, Orlando e Minnesota) non esistevano ancora.
Se non bastasse, poi, c’è il come ha detto addio, che dice ancora di più del personaggio e meglio ancora tratteggia i contorni della storia. Il martedì sembrava certo il suo rinnovo per un’altra stagione, quella n°24. Il mercoledì arriva lo scontro con la sua star: lui chiama uno schema dalla panchina, il suo playmaker ne gioca un altro. Tutto qui, direte voi? Sì, perché la storia della goccia e del vaso è più vecchia dello stesso Sloan. Che realizza che ormai, così, non si può più andare avanti. Perché lui è uomo d’altri tempi, solo che i tempi passano, e oggi a farla da padrone sono sempre di più giocatori. Lui si ritrova vecchio in un mondo di giovani. Poi (forse) metteteci pure bianco in un mondo di neri (l’80% circa degli atleti sono afro-americani).
E decide di dire basta. Senza tanti giri di parole.
Comunica la sua decisione al proprietario della squadra, ma gli viene chiesto di dormirci sopra. Lui accetta, dorme, ma ovviamente mica cambia idea. Ha detto basta, e basta rimane.
Phil Johnson, altro 69enne, da una vita suo assistente in panchina, non ha dubbi: “Sono arrivato con lui, me ne vado con lui”. Uno lascia, l’altro raddoppia.
La dignità nel farsi da parte è fantastica. Perfetta. Anzi, “piuccheperfetta”, come ha scritto recentemente Gabriele Romagnoli: “È piuccheperfetto, come quel tempo dei verbi che esisteva soltanto al liceo, infatti era una forma del passato”.