“Osvaldo, l’algoritmo di Dio”
Confesso che quando mi è stato chiesto di recensire questo libro ho avuto qualche dubbio: si sa, la narrativa non è proprio il mio forte. Poi ho fatto qualche ricerca in rete, ho visto che de Rosa aveva pubblicato “La variante del pollo” (32 spiegazioni del perché un pollo attraversa la strada, scritte nello stile di altrettanti scrittori italiani: c’è anche la versione “international” con gli scrittori stranieri) e ho pensato che l’autore doveva essere abbastanza pazzo e quindi mi sarebbe potuto piacere. Quando poi all’inizio di questo libro ha citato Tumbolia, ho capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda…
Osvaldo, l’algoritmo di Dio racconta di Dario, giovane ricercatore toscano che lavora in un gruppo universitario pisano che si occupa di intelligenza artificiale e per la precisione della creazione di sistemi “intelligenti”. Il gruppo si imbatte in un sito, “tidounconsiglio.com”, che dà appunto risposte su quale di due scelte possibili conviene fare. Sulle prime tutti pensano a uno scherzo con un operatore umano dall’altra parte della connessione, oppure a un programma in grado di riconoscere alcune parole chiave e dare una risposta più o meno sensata facendo magari ricerche in rete. Ma con il passare del tempo i ricercatori si accorgono che “Osvaldo”, come hanno soprannominato il software, sembra dare sempre quasi immediatamente la risposta corretta, tanto che si chiedono chi possa averlo programmato così bene, o addirittura se non ci si trovi davanti a una singolarità. Nel frattempo Dario si trova in un momento in cui deve compiere varie scelte: specializzarsi negli scacchi o nel Bridge? Chi frequentare tra le sue colleghe Elisa ed Angela fuori dal lavoro? La storia si complica perché invece a quanto pare i consigli dati al professor Romboni, il capo del gruppo di lavoro, sembrano fare eccezione. E così… no, non vi dico come va a finire, ve lo dovete leggere voi!
Il tema dell’intelligenza artificiale pervade tutto il libro, e naturalmente la parte del leone è il test di Turing, cioè la definizione che il grande matematico diede per stabilire se un computer fosse intelligente: come avrebbe detto la buonanima di Boskov, “Computer è intelligente quando tu pensi non è computer ma uomo”. A una domanda malposta – non sappiamo nemmeno definire cosa sia l’intelligenza negli uomini – Turing rispose rovesciando il punto di vista. Il suo “Imitation game” prevede che il ricercatore dialoghi via tastiera con un uomo e un computer, e debba riconoscere chi è chi: se non ci riesce vuol dire che il computer sa imitare un essere umano abbastanza bene e quindi lo si può definire “intelligente”. (Ah: per la cronaca se leggete l’articolo originale di Turing scoprirete che quando viene chiesto il risultato dell’addizione non solo passa un po’ di tempo ma la risposta è sbagliata! Bel trucco, vero?)
Dario, che sembra quasi essere lui un computer visto come cerca sempre di basarsi sulla logica e per questo viene spesso preso in giro dai suoi interlocutori, spiega per filo e per segno come funziona il test. Quello che però a me pare è che de Rosa in realtà non sia così interessato a parlare del test di Turing, se non come introduzione al suo vero tema. Se ci pensate, è vero che Osvaldo sa rispondere in maniera per così dire umana alle domande, anche sfruttando le mille sfumature della lingua: ma in realtà non sta affatto conversando, quando funge da oracolo, qualcosa che sicuramente non ha molto a che fare con la definizione turinghiana di intelligenza. Non pensiamo mica che gli oroscopi o la lettura delle carte sia indice di intelligenza? A noi basterebbe che funzionassero. Il tema che invece io ho visto prominente è l’etica.
Nel libro troviamo citato nella sua quasi totalità uno di quegli spiazzanti microracconti di Fredric Brown, “La risposta”. A un certo Osvaldo viene esplicitamente paragonato al computer protagonista di quella mezza pagina di testo; come capita spesso in Brown, nella sua storia c’è un fondo di sospetto nei confronti dei computer, soprattutto se troppo potenti; un po’ come Nick Bostrom racconta nel suo Superintelligenza, anch’esso dedicato a cosa potrebbe succedere se arrivasse una singolarità. Ma andando avanti nella lettura mi si è formata in testa un’altra immagine: quella della Legge Zero della robotica. Come probabilmente sapete, Isaac Asimov definì le tre leggi della robotica, un modo relativamente semplice di definire una cornice per le sue storie, che chiaramente si incentravano su come sfuggire ad esse. Ma quando il Buon Dottore decise che tutti i suoi racconti e romanzi dovevano far parte del ciclo esteso della Fondazione, si vide costretto a inventare una legge zero: un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.
In fin dei conti de Rosa è ottimista. L’etica di Osvaldo potrebbe anche essere biecamente utilitaristica, ma ha comunque un suo solido fondamento filosofico. Non è un caso che risponda di non dare consigli a fine di lucro, e che alla domanda “Perché?” risponda “Do consigli, non spiegazioni”. Una spiegazione ci sminuirebbe, mentre il consiglio ci costringe a ripensare alla nostra domanda e a spremere le meningi per capire come mai ci è stato risposto così. E alla fine anche la squadra di ricercatori tende ad accettare questa etica, anche se con qualche grugnito. Insomma, probabilmente non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma questo non ci dà nessuna scusa per non cercare di avvicinarsi ad esso: anche un piccolo miglioramento è un passo avanti. La lezione di Osvaldo è proprio questa: e se non ci credete, potete sempre visitare il sito e chiedergli un consiglio!
(Renato de Rosa, Osvaldo, l’algoritmo di Dio, Carbonio Editore 2020, pag. 158, € 16,50, ISBN 9788832278071)