Il fumetto nel 2012, in 7 tendenze
Più che a dicembre, il momento di tirare le somme dell’annata editoriale, nel fumetto, è gennaio. Per una semplice ragione: ieri si è concluso il festival di Angoulême, occasione per eccellenza di scambi, incontri, analisi e principale megafono culturale per il settore, in Francia e in Europa.
Come dovrebbe fare un buon blogger (e sentendomi in dovere di pagare un piccolo pegno, vista la lunga parentesi da lavativo per Il Post), mi conformo al calendario per tentare un breve ‘riassunto’ dell’anno. Del tutto personale, naturalmente: le sette tendenze o fenomeni del 2012 fumettistico. Con un occhio – un po’ strabico – sia all’Italia che allo scenario internazionale.
1. Biografie à go go
La biografia, genere editoriale tradizionalmente più anglofono e nordico che continentale, sembra sempre più europeo, nel fumetto. In Francia – dove il genere vive un vero e proprio boom – uno dei mantra del 2012 era «biographies-n’importe-qui», battutina pronunciata dai giornalisti o editor più disillusi per ironizzare su una moda sempre più evidente.
In diversi casi questo filone funziona molto bene come strumento per raccontare l’attualità. Penso, ad esempio, ai lavori di Maximilien Le Roy, che raccontano le vite di cittadini (rivoluzionari) comuni, simboli delle difficoltà di paesi come Palestina, Vietnam, o delle nostre periferie urbane. Penso anche a La Voiture d’Intisar (di Pedro Riera e Nacho Casanova), premio France Info BD 2012, ritratto biografico di una donna yemenita; o alla mia lettura favorita del 2012, Les ignorants di Etienne Davodeau, auto-ritratto incrociato di un viticoltore e di un fumettista radicali, e di un anno vissuto insieme per sfidare la reciproca ignoranza sui propri mestieri. In altri casi, invece, le biografie aprono squarci imprevisti sulla Storia. E qui penso al recente Moi, René Tardi di Jacques Tardi, sulla vita e la prigionia in guerra del padre dell’autore; o a La guerra di Alan di Emmanuel Guibert, forse la più bella biografia di un “uomo qualunque” del decennio.
Nella gran parte dei casi, tuttavia, questa moda biografica sembra un’altra cosa: la versione fumettistica del concetto di celebrity. Per fortuna non i VIP della stampa people (a quelli ci pensa l’editore USA Bluewater), ma altri personaggi dalla variegata notorietà pubblica: da David Bowie a Maradona, passando per Steve Jobs, Henry David Thoreau, Dian Fossey, Zelda Fitzgerald, Salvador Dalì, Pablo Picasso, Charles Bukowski, Mark Twain, Enrico Mattei, Antonio Gramsci… Nulla di strano né di male, sia chiaro. Il racconto di personalità larger than life è un bisogno antropologico, prima ancora che editoriale. Rimane però un dato: finita l’età degli eroi (super-), il fumetto in tempo di crisi pare aggrapparsi ad altri eroi (real life heroes?). Soprattutto quelli della Storia e della società civile, della cultura o dello sport.
La mia ipotesi è che la fortuna del filone dipenda da due forze. Una è il suo fare sponda con il versante (pure in voga) del comics journalism: le biografie come inchieste nella Storia, diciamo. Ma l’altra, e forse più importante, è il suo esemplificare alla perfezione il posizionamento culturale del fumetto: un medium oggi più “al traino” che “alla testa” degli immaginari collettivi. Detto diversamente, là dove antiche icone declinano (supereroi, serie ‘classiche’ da Tex a Spirou a Disney), il boom di biografie pare il ricorso a valori sicuri di altro genere.
Sintomo di ripiegamento o “pigrizia simbolica” che sia, per fortuna questo non vuol dire che prosperino solo libri inutilmente didascalici. E in Italia il 2012 ha offerto almeno due biografie progettate con classe sopraffina: Sweet Salgari di Paolo Bacilieri (Coconino Press), o Enigma. La strana vita di Alan Turing di Tuono Pettinato e Francesca Riccioni (Rizzoli Lizard).
2. Graphic journalism goes digital
Negli Stati Uniti il 2012 ha visto nascere la prima rivista di giornalismo a fumetti nativa digitale. Si tratta della app Symbolia, un tablet magazine che unisce giornalisti e fumettisti (soprattutto donne), in una piccola ma promettente start-up cofinanziata da International Women’s Media Foundation, McCormick Foundation e J-Lab. L’offerta è chiara: sei uscite l’anno per 11.99$, oppure 2.99$ a numero. E tra i primi contributors ci sono autrici come Sarah Glidden e Suzie Cagle.
Nella stessa linea il progetto francese La revue dessinée, il cui debutto è avvenuto in questi giorni di festival di Angoulême, e che ha raggiunto il suo obiettivo di pre-abbonamento online in soli tre giorni. I fondatori sono cinque autori e un giornalista, proprietari all’80% (con un 20% a Gallimard e altri piccoli soci): Franck Bourgeron, Olivier Jouvray, Kris, Virginie Ollagnier, Sylvain Ricard et David Servenay. Il modello di offerta è differente: quattro uscite l’anno, ma sia in versione cartacea (circa 15€) che digitale (5/6€). Sempre in questi giorni si è vista la preview di un altro magazine digitale francese, Professeur Cyclope, animato da un gruppo di autori particolarmente noti e apprezzati: Gwen de Bonneval, Brüno, Cyril Pedrosa, Hervé Tanquerelle, Fabien Vehlmann. Il progetto è un mensile di un centinaio di ‘tavole’, prodotto dalla rete tv francotedesca Arte, disponibile sia gratuitamente (per la lettura online, entro un mese), che a pagamento (per la lettura su dispositivi portatili).
Insomma, la tendenza del comics journalism non si ferma. E anzi guarda avanti con nuove imprese, guidate peraltro dagli stessi autori. Peccato che in Italia, cui non mancano certo talenti creativi, continuano a latitare le capacità organizzative – e forse un pizzico di volontà.
3. Riedizioni curatorial
Sono ormai dieci anni che il fumetto moltiplica progressivamente l’offerta di riedizioni. Una tendenza che ha permesso recuperi importanti, riportando alla luce capolavori fuori catalogo o persino mai ristampati, spesso in edizioni ‘complete’ di splendida fattura. Ma dopo tante collane, dai Peanuts a Popeye a Gasoline Alley a Calvin&Hobbes, le riedizioni più recenti mostrano come l’asticella della “qualità della memoria” si sia ulteriormente alzata. Un po’ perché i classici più celebri sono ormai tutti usciti; un po’ perché recupero non significa solo ristampa filologica. E il risultato è un fermento sempre più sorprendente. In due direzioni.
Da un lato non smettono di spuntare gioielli dimenticati. Le strips di Otto Soglow, le serie meno note di George Herrimann, le opere di Antonio Rubino, i personaggi collaterali di Spirou… Dall’altro, i volumi appaiono sempre più ambiziosi, editorialmente e graficamente. A valle, con contenuti che vanno al di là del repackaging chic: documenti d’archivio, testimonianze, foto di famiglia, ricostruzioni storiche con informazioni inedite, glosse & commenti (la mia personale preferenza: Bravo les brothers, la storia di Gaston Lagaffe e Spirou preferita dallo stesso André Franquin). Ma soprattutto si fa visibile l’ambizione a monte: immaginare e organizzare questi progetti editoriali dimostra la presenza di editor e curatori dalle competenze sempre più complesse, definite, e in alcuni casi persino personali. Per questo il Topolino di Flloyd Gottfredson (Rizzoli Lizard) o il tomo La véritable histoire de Spirou (1937-1946) sono dei piccoli ma preziosi eventi editoriali: libri grandi, belli, densi, al servizio di un’idea ormai matura e complessa del patrimonio storico-culturale del fumetto.
4. Autofiction, autoriflessività e ipercontrollo
Il filone autobiografico, faro del cambiamento negli anni ’90, e trend consolidato negli anni Zero, non smette di fare da cartina al tornasole del fumetto contemporaneo. E la produzione del 2012 ha segnato una nuova svolta, di cui il libro-simbolo è stato il MetaMaus di Art Spiegelman. Non un fumetto di per sé, ma una riflessione ‘meta’ sul fumetto più meta – dell’autore più meta – degli ultimi 30 anni. Un sintomo, insomma, di un nuovo livello nell’autopercezione del proprio “essere fumettisti”: una crescente consapevolezza nella sfida/problema racconto di sé.
Credo infatti che molte autobiografie recenti mostrino questa autoconsapevolezza in modo sempre più esplicito. Talvolta con esiti vertiginosi – in MetaMaus, come già fu per il Journal di Fabrice Neaud – che da eccezioni sembrano trasformarsi in tendenza. Il che è interessante, ma anche problematico: se il raccontare se stessi è (stato) l’atto di maggiore autenticità praticato dagli autori dell’ultima generazione, tutta la autoconsapevolezza odierna non la sta forse mettendo in crisi? Dall’urgenza di dirsi, siamo passati a una fase di crescente freddezza progettuale? A un eccesso di razionalizzazione che sta spegnendo l’autenticità?
Nel numero di dicembre i Cahiers du Cinéma hanno posto la stessa questione tra le “10 tare del cinema d’autore” odierno, parlando di culte de la maitrise, e citando i Coen, Fincher, Nolan. Sinceramente mi sembra un buon punto, su cui trovo allineato il “fumetto d’autore” autobiografico e non solo. E tra i primi autori che mi sentirei di inserire – con gradi assai diversi di auto-rappresentazione – ci sono questi: Daniel Clowes, Chester Brown, Seth, Boulet, ma anche un italiano come Ausonia (Interni, ABC), tra i più labirintici fumettisti iper-consapevoli.
5. Graphic novel(lizzazione)
Ricordate quando sulle copertine di libri/albi compariva la dicitura “a fumetti”? I Promessi Sposi a fumetti, Dante a fumetti, Guerre Stellari a fumetti… Tutt’altro che scomparsa, questa prassi è in voga anche oggi, mutatis mutandis, dissimulata dalla nuova dizione “il graphic novel ispirato a”. Sempre di adattamenti si parla, in effetti. E sarà l’accento su novel più che su graphic, ma nel 2012 pare siano cresciuti gli adattamenti di provenienza letteraria (tv e videogiochi si sono dati una calmata, insomma). In Francia, prosperano intere collane dedicate, dal noir (Casterman/Rivages) ai ragazzi (Gallimard/Fétiches), e classici per tutti (Delcourt/Ex-Libris; Vents d’Ouest/Commedia …). Ma anche in Italia, dove gli esempi non mancano, con opere tratte da romanzi o racconti di Alessandro Baricco, Giancarlo De Cataldo, Antonio Pennacchi, Giorgio Vasta, Dacia Maraini e altri – spesso pubblicati da Tunué.
Niente più approccio alla Classic Illustrated, per fortuna: l’obiettivo si esaurisce di rado nella sola “illustrazione” del testo di partenza, e si offre piuttosto come reinterpretazione personale, affidata al disegno. Una sfida intrigante, ma dagli esiti ancora incerti. E non solo perché l’esistenza di alcuni adattamenti si spiega solo con logiche editoriali appiattite sul marketing (e qualche caso di ego del narratore e/o fiuto di un agente). Il punto è piuttosto espressivo: la difficoltà di creare un graphic novel interessante, che non si esaurisca in un ruolo di servizio ad un altro linguaggio. Certo, Città di Vetro di Paul Karasik e David Mazzucchelli – capolavoro in sé, al di là del romanzo di Paul Auster – non è un modello alla portata di tutti. Ma dalla sfida usciranno vincitori solo editori e autori in grado di creare qualcosa di diverso dal mero “famolo strano” (= “a fumetti”), il cui effetto sarebbe solo di rinforzare la tendenza di un fumetto “a rimorchio” di altri immaginari.
E se la scena letteraria italiana, più ingessata di quella anglosassone o francese, fatica ancora a produrre progetti davvero notevoli, qualche speranza si accende intorno alle collaborazioni dirette tra scrittori e fumettisti. Come nei casi recenti di Vasco Brondi con Andrea Bruno (Come le strisce che lasciano gli aerei), o di Daniele Luttazzi con Massimo Giacon (La quarta necessità). I cui esiti sono stati felici soprattutto per i fumettisti, che hanno saputo trasformare testi piacevoli ma non memorabili in mirabolanti performance grafiche.
6. Ri-bonellizzazione
Erano anni che, in Italia, non si presentava un simile déjà-vu: una gran quantità di fumetti in edicola somiglianti tra loro, per formato e per formula editoriale. Sulla formula – immaginario di genere, personaggi ricorrenti, impianto realistico, bianco e nero – hanno lanciato nuovi prodotti soprattutto due editori, Star Comics (The Secret, Kepher, Davvero) e Aurea (Unità Speciale e la miniserie Metamorphosis), che dentro a una visione emulativa hanno saputo inserire ingredienti di ogni genere: dal poliziesco nazionalpopolare – e autentico cult trash – Unità Speciale, alla scifi postapocalittica e caciarona di Legion 75, fino a serie ben scritte come Law o Dr. Morgue.
Ma quel che è accaduto nel 2012 è stato soprattutto altro: un fenomeno di puro repackaging editoriale che ha visto numerosi fumetti – delle più diverse matrici e provenienze – tornare in edicola nel tradizionale formato degli albi Bonelli. Non solo una “prima volta” per tanti, ma anche una notevole metamorfosi dei prodotti: per la consistente riduzione del formato di pubblicazione originale, e per l’inedito ‘downgrade’ dal colore al bianco e nero. L’editore leader della nuova onda della “bonellizzazione” è stato GP Publishing, che ha ristampato in questo formato arci-italiano vari classici francobelgi (da Durango a Lo Sparviero a Wisher), ma anche le strip online di A Panda Piace. Ma non sono mancati repackaging ancor più sorprendenti, come la serie americana The Walking Dead, o persino il bestseller francese XIII.
Una tendenza che certamente dimostra l’influenza mai spenta del modello Bonelli, checché se ne dica (o se ne voglia). Ma anche una tendenza che pare tipicamente difensiva: la testimonianza di un mercato che tenta la via del back to basics. Più preoccupato a tenere botta che all’attacco, a caccia di nuovi modelli.
7. Fumetti sulla storia del fumetto
Infine, il 2012 è stato anche l’anno di un fumetto come Gringos Locos (Dupuis), gustosa commedia su una piccola ma cruciale vicenda della storia del fumetto belga: il viaggio compiuto dal trio di amici e colleghi Jijé, André Franquin e Morris negli Stati Uniti e in Messico, nel 1948. Un’avventura avvolta da un’aura leggendaria e di cui lo sceneggiatore Yann ha messo insieme i frammenti per anni, riuscendo a chiarire – con affetto e ironia – alcuni aspetti di quell’epopea americana che ha tanto influenzato quei tre giganti della Nona arte europea.
Il volume in questione rappresenta il più chiacchierato e fortunato caso di un filone che negli ultimi anni è andato crescendo, un po’ in sordina: i fumetti sul fumetto. Ma diversamente dai noti comics essays di Will Eisner, Scott McCloud o Matt Madden, a contare oggi non è più il suo linguaggio, bensì la sua Storia. La sua evoluzione e, soprattutto, i suoi momenti dimenticati. Una storiografia riflessiva che pare colmare lacune degli studiosi di professione, raccontata in prima persona – o attraverso documentazione (orale e non) accumulata personalmente – dagli stessi fumettisti, scavando in anni di carriera, esperienza, lavoro e frequentazioni. La stessa tendenza in cui si erano collocati non solo il memorabile La véritable histoire de Futuropolis di Florence Cestac, ma anche il recente ed emozionante L’inverno del disegnatore di Paco Roca, sulla condizione dei fumettisti durante gli anni di Franco, o l’antologia Quoi! sulla storia de l’Association, narrata dagli stessi autori e co-fondatori.
In Italia, Davide Toffolo lavora da anni a una storia sulla figura di Magnus; Paolo Cossi prosegue la sua biografia della vita di Hugo Pratt. Ma oltre a Gringos Locos, l’altro gioiello di questo filone nel 2012 è stato Pepe, nuova opera del maestro spagnolo Carlos Gimenez, interamente dedicata alla figura di un fumettista spagnolo tanto dimenticato quanto moderno sul piano delle scelte sessuali e di vita, tra gli anni ’50 e ’70.
Segni insieme di affetto, orgoglio professionale e autoconsapevolezza critica, le opere di questo filone sono forse tra le più indicate per i lettori che guardano al fumetto, oggi, con un’attenzione decomplessata da antichi snobismi o, viceversa, da fragili ossessioni hipster. Carotaggi per praticare il buon vecchio esercizio della memoria: stimolare curiosità e accogliere il desiderio di scoperta, esplorando un campo che nel bene e nel male continua a farci capire quanto poco abbiamo capito della sua (strana?) avventura culturale.