Un ascolto particolare di “Suspiria” di Thom Yorke
Qualche giorno fa ho partecipato a uno degli ascolti musicali più bizzarri che mi siano capitati. Il 26 ottobre prossimo uscirà per XL Recordings (l’etichetta discografica di Adele, Radiohead e The xx) la colonna sonora di Suspiria di Luca Guadagnino realizzata da Thom Yorke. Così una ventina di giornalisti è stata invitata in un contesto poco consueto per ascoltare il disco in anteprima.
Il primo Suspiria, quello del 1977 di Dario Argento, si svolge in una scuola di danza che ha sede in un palazzo art nouveau che è già singolare da fuori, sulla porta, quando i personaggi ci entrano pieni di speranza o ne escono in preda al tormento; all’interno diventa ancora più inafferrabile, con volumi, forme, luci e colori che non rispondono alle leggi di plausibilità e continuità. Il film fu girato quasi interamente in studio.
La gran parte del Suspiria di Guadagnino invece è stata girata al Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese, situato su uno dei due monti che sovrastano la città. Progettato a inizio 1900 dall’architetto Giuseppe Sommaruga e considerato un pilastro dello stile liberty, un tempo era un luogo di villeggiatura per ricchi con baffi a manubrio e ombrellini parasole, fino alla chiusura negli anni Sessanta. Oggi l’albergo è in condizione di abbandono e ospita sul tetto dei ripetitori televisivi.
Per farci ascoltare la colonna sonora senza avere a disposizione il film, quindi, sarebbe stato perfetto ricreare il fascino inafferrabile e démodé di questi luoghi, tra l’art nouveau del primo film e il liberty del secondo, con tanto di disciplina, bellezza e nevrosi coreutica all’interno. Ci voleva un posto progettato con uno stile che per la sua stranezza, per la sua visibilità desse l’impressione che quello non fosse un luogo normale. Lo hanno trovato. Esiste a Milano, vicino a corso Buenos Aires, una scuola di danza che ha sede in un palazzetto eclettico neomedievale. All’interno, parquet, molte foto che celebrano la moltitudine di persone che sono passate per la scuola, immagini di premi, saggi e lezioni, molte foto di cani, un cane vero, un’atmosfera fuori dal tempo e bel cortile.
Ci hanno chiesto di abbandonare il telefono fuori, ci hanno messo in una stanza con grandi candeloni bianchi a terra, le sedie contro il muro lungo il perimetro, e per 90’ abbiamo ascoltato la colonna sonora del film senza distrazioni. Il contesto era piacevolmente normativo: c’era qualcosa di sadico nell’intera faccenda. Si segnalano anche luci d’atmosfera, fumo strisciante nei momenti più avvolgenti e caldo tropicale prodotto da settembre misto candele.
Il disco di Thom Yorke è fatto di sintetizzatori e qualche strumento acustico, tra cui soprattutto un piano verticale preparato. Rispetto alla colonna sonora dei Goblin del primo originale, effettivamente atipica nella storia del cinema, questa è musica applicata (come si chiamano formalmente le colonne sonore) più tradizionale, meno poderosamente sparata in faccia. Qui ci sono cori di voci femminili, madrigali che si mescolano ai synth, un paio di temi che ritornano, tanta circolarità e tanta ossessione sottile e inquietante. A tratti ci sono dei momenti più astratti che ricordano la musica di Ligeti o di Penderecki, due compositori molto cari anche a Jonny Greenwood, l’altro Radiohead che di colonne sonore ne ha ormai realizzate molte. Gli strumenti usati e l’atmosfera di riferimento tirano comunque alla colonne sonore del cinema di genere italiano degli anni Sessanta e Settanta, e a tratti si potrebbero sentire in lontananza le voci di Katyna Ranieri (Riz Ortolani) o Susanna Rigacci (Ennio Morricone). Il tutto però è interpretato con un tocco più contemporaneo che si muove anche dalle parti di Sufjan Stevens. In qualche occasione canta lo stesso Yorke. Una di queste è il singolo.
Siamo usciti provati, leggermente atterriti e molto soddisfatti. Per un’ora e mezzo siamo stati da un’altra parte. Il compito di una bella colonna sonora è esattamente questo.