Asia Argento non è un argomento
Nei mesi scorsi è stato complicato essere un maschio eterosessuale femminista. Ho discusso di parecchi temi relativi agli uomini, alle donne, alla società e alle convenzioni, alle leggi, al sesso e non so più a cos’altro. Mi sono trovato nel paradosso di parlare di quanto agli uomini interessi poco delle donne, mentre parlavo di donne con delle donne essendo un uomo. Mi sono sentito raccontare che gli uomini leggono poco le donne, e ho dovuto elencare le autrici che amo. Tra le altre cose ho trovato, nei rivoli per fortuna infiniti del movimento #metoo e di tutta questa ondata di consapevolezza femminile, una serie di cretinate ideologiche alle quali ho cercato di oppormi quando ne avevo l’opportunità, che in altri casi ho lasciato dov’erano perché non si può litigare di continuo. E dietro l’angolo c’era sempre l’eventualità che qualsiasi mia posizione fosse commentata con “Certo, tu sei un uomo”, o tacciata di “mansplaining”*.
Ho sentito dire che nel loro profondo le donne non sono violente e gli uomini sì, che le donne non proverebbero mai del piacere nella violenza sessuale mentre gli uomini lo provano, che alle donne non piace mai il sesso violento e lo fanno solo perché gli uomini glielo hanno insegnato. Ho sentito dire che c’è sempre e solo un tema, quello del patriarcato, da cui derivano secoli di dolore e di morte. Ho sentito dire che The Handmaid’s Tale era una serie stupenda, educativa, che mostrava come si stavano mettendo le cose nel mondo occidentale, certo estremizzate, però… E poi altrove ho letto che l’oppressione è una, è quella del capitalismo, e finché non avremo sconfitto il capitalismo e la sua matrice bianca, maschile, familista e cisgender, non avremo fatto niente contro la sopraffazione universale.
Destreggiandomi in questo contesto non sempre amichevole, ho cercato di rivendicare il diritto delle donne a non essere una categoria univoca per desideri, indole, comportamenti e responsabilità, visto che non mi ci sentivo io, parte di un monolite, essendo uomo. Ho segnalato le sfumature che vedevo su molte questioni, da Kevin Spacey ai baci a bruciapelo, sentendomi dire che i distinguo erano pericolosi, che così finivo per giustificare i comportamenti molesti e sminuire la portata dello stupro. Mi hanno dato del maschilista e a un certo punto perfino del molestatore potenziale, ma chi frequenta i social sa non è il caso di offendersi: sui social siamo tutti Hitler di tanto in tanto. Ho cercato di difendere il porno e la prostituzione da chi sosteneva che fossero strumenti di oppressione, perché il fatto che non esistano solo nelle dittature religiose mi sembrava un buon argomento. Ma soprattutto ho sempre pensato fosse giusto che le donne potessero fare schifo: essere sceme, brutte, sporche, bugiarde, inaffidabili, egoiste, ignoranti. Mi è sempre sembrato giusto che le donne fossero come preferivano e ne rispondessero come individui, che difenderle come categoria dagli attacchi esterni non le dovesse trasformare, appunto, in una categoria, in un contenitore di attributi stabiliti da prima, dall’alto, dalla morale, dalla famiglia, dal partner, dalla religione, dai maschi o dalle sorelle militanti.
Ho cercato di bisticciare democraticamente con tutti e non mi sono fatto mancare niente. Mi sono anche molto divertito, altrimenti non lo avrei fatto. Ma voglio far prevalere le mie ragioni nella dialettica, certo non usando Asia Argento come argomento. Se lo facessi avremmo perso tutti, io per primo. Innanzitutto perché non mi serve un esempio per sapere che questi sono temi fatti di una complessità inestricabile, contraddittori e pieni di zone d’ombra. Lo sapevo ieri e continuerò a saperlo domani, Asia o non Asia. Poi perché Asia Argento – si è detto tanto – è la vittima perfetta del mostro, e di conseguenza è una pessima testimonial: così costantemente sensuale e intensa, imbranata maledetta, angelo caduto sempre in piedi. L’abbiamo presa per una scappata di casa fino a un anno fa, e scappata di casa rimane oggi, devo dire anche simpaticamente. Quasi mi divertono la sua incoerenza, la scelleratezza del suo attivismo, il suo ergersi a paladina del movimento con la forza retorica dell’attrice, essendo allo stesso tempo così invischiata nella complicatissima questione dei rapporti sentimentali, della libertà e della seduzione, del potere, degli impulsi e della legge. E poi ad atterrirmi dell’uso di Asia Argento come argomento c’è l’automatismo per cui a pensare male non si sbaglia mai, e allora lo vedi?!, proprio lei!, che fa rientrare l’indignazione e il moralismo dalla finestra dei ragionamenti e dall’autostrada a 18 corsie dei social.
Insomma continuerò a dire dei se e dei ma su tutto, a prendermi a testate con chiunque su qualsiasi sfumatura, a pestare i piedi davanti ai dogmatismi di granito. Ma Asia Argento non c’entra niente. Nonostante quello che ha passato, non è mai stata un simbolo con cui fossimo a nostro agio anche quando aveva deciso di esserlo: non può diventare il gorgo che risucchia tutti questi mesi di discussioni. Altrimenti ci saremmo scannati per niente. Asia è servita come scintilla e torna quello che era. Weinstein rimane uno stupratore con degli ottimi avvocati. Jimmy Bennett se non li spende per accaparrarsi dell’alcol può comprare casa. A X-Factor faranno quello che riterranno opportuno. E noi andiamo avanti a litigare sereni, che non è successo niente.
È solo stato un anno molto complicato.
*Mansplaining – approfittiamo per dirlo una volta per tutte – dovrebbe essere un modo per descrivere l’atteggiamento di quegli uomini che, siccome in quanto uomini si sentono autorizzati, spiegano qualcosa a una donna che ne sa molto più di loro. È un neologismo ed è in inglese: chi lo usa può armeggiarlo un po’ come gli pare, e mentre lo usa dichiara automaticamente di essere internazionale, al passo con i tempi. Pensa che festa. Se vado dalla direttrice di un museo e, io che non ne so niente, le parlo di come allestirei le opere nel suo museo, le opzioni sono due: o sono un mattacchione simpaticissimo e lei ride a crepapelle, oppure sono come minimo inopportuno e non le riconosco alcuna autorevolezza. Trattasi di superbia (peccato capitale, in inglese “pride”), mancanza di rispetto, maleducazione. Le parole ci sono già e funzionano con tutte le persone, anche una nera genderqueer americana che parla con un professore croato pansessuale con un PhD in antropologia.
Perché altrimenti, siccome ci sono uomini e spiegazioni nella parola, ogni volta che un maschio (quelli che non si occupano mai di questioni femminili perché tanto a loro cosa gliene frega) parla di questioni femminili con delle donne, deve sapere che dietro l’angolo c’è sempre l’accusa di mansplaining. Per evitarla definitivamente, può scrivere da qualche parte “Sì, sono assolutamente d’accordo con te”, selezionare il testo, fare copia, e incollarlo di continuo durante gli scambi. Certo, il dibattito ne risente un po’.