Molly’s Game
Cos’è. È il primo film non solo scritto ma anche diretto da Aaron Sorkin, creatore delle serie The West Wing, Studio 60 on the Sunset Strip, The Newsroom, oltre che sceneggiatore di film come The Social Network e Steve Jobs. I protagonisti sono Jessica Chastain nella parte di Molly, Kevin Costner nel ruolo del padre, Idris Elba che interpreta l’avvocato che decide di difenderla e Michael Cera che è un attore malato di poker. Il film racconta la storia vera di una ex campionessa di sci freestyle con una carriera stroncata da un infortunio, diventata organizzatrice di tavoli di poker per gli uomini più ricchi di Los Angeles e New York, e per questo incriminata. La ricostruzione della sua storia è il cuore del film, mentre il processo a suo carico è poco più che la cornice nella quale si svolge il tutto. Il film è tratto dall’autobiografia omonima di Molly Bloom.
Com’è. Liberato dal peso della contrattazione con un regista, Sorkin riesce nell’impresa di scrivere ancora più del solito, e costruisce un film interamente parlato, con tanto di voce fuori campo che copre i rari momenti in cui Jessica Chastain non è inquadrata. Lo stile del dialogo di Sorkin, serrato e sferzante come una commedia sofisticata degli anni Cinquanta, investe qualsiasi personaggio di Molly’s Game di una naturale propensione al botta e risposta fulmineo, a partire da Molly. Il poker è un elemento presente ma mai protagonista, e non c’è nemmeno un momento fatto di silenzio, suspense e sguardi tra giocatori. A scandire il film è un montaggio particolarmente convincente. Gli attori sono tutti a fuoco, in particolare la protagonista (Chastain aveva interpretato meno di due anni fa un personaggio quasi identico in Miss Sloane – Giochi di potere).
Perché vederlo. Recitazione e montaggio sono due elementi forti di questo film. Jessica Chastain e Idris Elba sono una coppia che andrebbe messa più spesso davanti alla stessa macchina da presa. E anche Kevin Kostner, che qui recita solo una scena madre seduto su una panchina, fa il suo. Se lo si guarda con poche aspettative, il film è anche godibile. Essere schiaffeggiati dalle parole, come sempre quando si guarda qualcosa di Sorkin, può dare agli aficinados delle sue produzioni un sottile piacere. Questa volta è evidentemente troppo, ma comunque in una certa misura funziona.
Perché non vederlo. Il cinema non è una serie di immagini di copertura di dialoghi. Dopo tanti anni, Sorkin sembra non averlo ancora capito. Questo è un film che non sta zitto un attimo, tiene il guinzaglio delle spettatore talmente corto da strangolarlo a ogni cambio di direzione, e non è aiutato dalla regia. Tutto dovrebbe girare intorno alla scrittura, ma parliamo di quantità più che di qualità. Anche perché la protagonista è un déjà vu: siamo al terzo film biografico di Sorkin che racconta la stessa figura, dopo Zuckerberg e Steve Jobs. Intelligentissima, fredda, pronta a tutto, inarrestabile in società ma incapace di un moto sincero di empatia, Molly ha una questione privata, un trauma esistenziale nel passato che schiaccia sotto il tappeto con il successo e l’intraprendenza sociale. Anche questa volta verso la fine del film c’è una resa dei conti affettiva che svela questo nodo e lo scioglie. Così uno psicologismo da autogrill ottiene il risultato di risucchiare tutta la storia in un pretesto, come se non ci fosse altri modi possibili, se tutto quello che abbiamo visto fosse solo un pretesto per farsi amare. Il che è un po’ poco, ed è sempre la stessa storia. Aaron Sorkin si è allontanato dall’entusiasmante scrittura corale di un tempo, e da un po’ di tempo a questa parte la sua passione per gruppi di lavoro si è trasformata in una ossessione napoleonica per il potere, e la capacità di raccontare qualcosa di emozionante è ai minimi storici.
Una battuta. Crede che una principessa possa fare quello che ho fatto io?