Il kit digitalizzazione: poveri noi!
È davvero sconfortante dover scrivere ancora della mediocrità delle scelte del governo sui temi dell’innovazione. Una mediocrità vecchia di vent’anni che non accenna a diminuire. Lo è in particolar modo perché gli errori che traspaiono, le superficialità e le piccole furberie di nuove norme immaginate per rendere l’Italia un Paese al passo con i tempi, sono secondi solo al perdurante disinteresse del governo sui temi del digitale. Che si parli di forniture di PC e connettività agli studenti o dell’ultima ridicola iniziativa (a partire dal nome) annunciata ieri del “kit digitalizzazione”, stiamo in ogni caso parlando di quattro soldi, pochi milioni di euro che testimoniano già da soli, al di là delle norme immaginate, quale sia la considerazione che il governo ha per l’innovazione in Italia.
Potrebbe del resto anche andare peggio: nel caso del problema fondamentale che abbiamo al riguardo, quello del digital divide culturale, un tema che viene ben prima delle dotazioni hardware e degli incentivi alla connettività domestica, il governo è riuscito a non spendere un euro, se si eccettua una datata operazione di puro marketing che risale ai tempi del Conte 1 chiamata “Risorgimento digitale” progettata in accordo con associazioni ed aziende. Fuffa allo stato puro, convegnistica acrobatica, come solo certe aziende e certi piccoli gruppi di influenza sanno partorire.
Così ieri abbiamo appreso che, dopo il disastro degli incentivi alla connettività per gli studenti, quattro soldi anche in quel caso ma almeno una norma giusta, rapidamente affondata dentro le complicazioni di una burocrazia imperante, il governo affida la lotta all’ultima posizione (o quasi) dell’Italia nel DESI offrendo telefonini in comodato d’uso ai meno abbienti per un anno e attaccando allo smartphone una connessione dati e l’abbonamento annuale a un paio di giornali online.
E allora vediamoli rapidamente i punti di grande debolezza di una iniziativa del genere.
1) Gli smartphone in Italia sono una commodity. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo ma evidentemente alla Ministra Pisano occorrerà ricordarlo. Non esiste una barriera d’ingresso al loro acquisto. È scomparsa da molti anni. Esiste inoltre un ampio mercato dell’usato a pochi euro. Così come non esiste una barriera d’accesso alla connettività mobile (mentre esiste ed è molto alta per quella da rete fissa). Ogni cellulare si porta con sé la propria offerta dati, al prezzo di circa 20 centesimi di euro al giorno. Così anche la connettività è una commodity. Detto in altre parole se anche fosse una buona idea (non lo è) offrire smartphone in comodato non abbatte alcuna barriera d’ingresso. Perché la barriera d’ingresso non c’è.
2) Il mercato è una cosa. L’interesse del Paese è un’altra. Se anche esistesse una barriera economica d’ingresso, incentivare gli smartphone è culturalmente una pessima idea. Esistono molti studi al riguardo che qualcuno potrà forse mostrare alla Ministra. L’hardware non è tutto uguale e per ridurre il divario digitale del Paese servono strumenti idonei (connettività, PC, tablet) ma NON smartphone. Esattamente come non servono (o servono pochissimo) a scuola. Gli smartphone, a dispetto della narrazione imperante, osservati in ottica culturale sono un presidio accessorio e di emergenza. In tutti gli altri casi c’è di meglio. Ovviamente gli smartphone sono da tempo il device dominante nel mercato e tutto, specie la mente dei più pigri, per questa ragione gira lì attorno. Tuttavia se il nostro scopo sarà quello di favorire la cultura ed il pensiero complesso degli italiani dovremo rivolgerci altrove. Il governo del Paese del resto è l’unico soggetto che potrà concedersi il lusso di fare scelte contrarie al mercato perché si occupa del benessere dei cittadini e non delle oscillazioni in borsa di questa o quell’azienda. Appiattirsi all’onda imperante del mercato è un classico della politica dell’innovazione in questo Paese ed è anche la cifra della sua inconsistenza.
3) Il sospetto di molti commentatori è che il kit digitalizzazione sia una banale scusa per finanziare in maniera più o meno sotterranea con soldi pubblici le imprese editoriali in crisi. Al riguardo penso una cosa semplicissima. Penso che l’accesso informativo sia un presidio importante per i cittadini che provano a uscire dal proprio divario digitale. Penso insomma che sarebbe una buona idea trovare maniere serie per incentivare connettività, hardware e informazione, anche nello stesso pacchetto. Penso anche, contemporaneamente, che questo non possa e non debba essere tentato in maniera così semplice e leggermente truffaldina. Le imprese editoriali sono oggi in Italia, prese nel loro complesso, i principali diffusori di cattiva informazione. Spesso non sono loro a produrle ma il loro modello economico, specie negli ambiti digitali, prevede che, con una scusa o un’altra, ne siano loro i principali diffusori in termini quantitativi. In altre parole fino a quando questa situazione non sarà risolta, fino a quando non riusciremo a distinguere fra chi succhia il sangue culturale del Paese da chi cerca faticosamente di ossigenarlo, regalare soldi agli editori è una pessima idea. Si trovi la maniera, se esiste, per stabilire chi aggiunge valore all’ambiente informativo italiano e lo si incentivi, anche in collegamento con l’accesso a strumenti che lo consentano. Ma se questa possibilità di distinguere fra buoni e cattivi non esiste (e al momento mi pare non esista) allora l’industria editoriale nella sua interezza non merita alcun incentivo statale, né palese né sotterraneo.