Negli ambienti digitali così come fuori
Le reti sociali sono oggetti basati sulla responsabilità personale. Nelle società in cui, per qualche ragione, la responsabilità personale è scarsa, le piattaforme di rete, i luoghi nei quali anche milioni di italiani spendono una quota crescente del proprio tempo, semplicemente tenderanno a non funzionare.
Potremo scrivere accuratissimi termini di servizio, potremo inventarci campagne di educazione civica digitale nelle scuole o altrove, ma il risultato momentaneo, fra dieci anni non so, sarà quello che quei luoghi non funzioneranno troppo bene. La geografia digitale che avremo a disposizione avrà maggiori difetti rispetto alla nostra mappa precedente. Questo ovviamente non per tutti, ma per la maggioranza delle persone sì.
Una seconda ragione di grande debolezza delle reti sociali è che hanno subito nell’ultimo decennio un processo di rapido accentramento. Poche piattaforme controllano il mondo, la più consistente di queste è – almeno in occidente – certamente quella costituita dalla triade Facebook, Instagram e WhatsApp. Sono oligopoli da un punto di vista puramente commerciale e sono pezzi di Internet a sé stante, quindi luoghi di rete intenzionalmente tenuti lontani dal resto di internet, dal punto di vista dei loro utilizzatori.
Le ragioni per cui i social network funzionano sempre peggio sono oltretutto fra loro collegate. Le regole di rete funziona(va)no decentemente dentro ambiti ristretti, zone limitate basate sulla logica punto a punto, ma vanno in mille pezzi dentro universi recintati abitati da centinaia di milioni di persone. Se c’è una solida ragione per cui Facebook e piattaforme simili domani subiranno un inevitabile tracollo sarà questa: un luogo diventato troppo grande, con una gigantesca complessità e possibilità di autoregolamentazione da parte dei suoi residenti ridotte al lumicino. Del resto praticamente ogni guaio che viene imputato a Mark Zuckerberg è basato su questa doppia debolezza: le persone (le aziende, le amministrazioni, i politici) non badano più al giardino che abitano, in ossequio anche alla celebre teoria delle finestre rotte, mentre la possibilità di regolare le piattaforme social in maniera gerarchica, vale a dire nell’unica maniera ormai possibile, mediante meccanismo automatici insegnati alla macchina, mostrano da tempo tutti i propri limiti. Il gendarme digitale dei social network è oggi un sasso che conosce tre parole in tutto. Ed ecco che il povero Mark, annichilito dalla pochezza del suo stesso algoritmo – esce dal suo bunker da nerd e chiede aiuto alla politica e alla società civile.
Le lezioni da imparare possibilmente in fretta mi paiono a questo punto tre.
Le reti sociali, che non possono essere eliminate e non potranno essere governate per legge (solo gli stupidi hanno pensieri simili), dovrebbero tornare ad essere ambiti digitali più piccoli. Uno spezzatino antitrust di Facebook, per altro nel programma politico di alcuni candidati democratici alle prossime presidenziali americane, sarebbe probabilmente utile.
La cultura digitale e la responsabilità individuale restano i cardini di una idea di Internet a misura dei suoi cittadini. Servono giardini più piccoli ma serve che ognuno si occupi della manutenzione del proprio angolo. Serve inoltre un’idea di “buon vicinato” come garanzia per una rete aperta e utile a tutti.
Fino a quando questa restituzione di Internet alla sua architettura originaria non avverrà, e ci sono buone possibilità che non avvenga, occorrerà pazientare, occuparsi delle buone pratiche, tenere lontani gli imbecilli ed i loro strepiti, rifiutare l’ideazione elementare e deprimente che i politici, specie in Italia, hanno sulla complessità della rete. E infine provare a convincersi di una cosa un po’ pascalina ma per nulla inconcepibile: essere responsabili ed etici, accanto ad altri come noi, è l’unica maniera per immaginare un mondo migliore di quello che abbiamo oggi. Negli ambienti digitali esattamente come fuori.