Oltre le cretinate
Ieri sono stato criticato, anche qui nei commenti su Il Post, per aver scritto in maniera un po’ sbrigativa che la proposta di vietare l’anonimato in rete era una sonora cretinata senza spiegare perché mai lo fosse.
Avete ragione, me ne scuso, anche se rivendico un po’ il gesto. Una delle cose fastidiose delle conversazioni online, piccoli incidenti che capitano prima o poi a tutti quando ci si avventura a dialogare con gli altri in rete sui temi più vari, è che improvvisamente – out of the blue direbbe il colto direttore del Post – arriva qualcuno che non ti conosce, non ha letto niente di te, non ha dato un’occhiata nemmeno nella paginetta lì accanto che tu hai compilato l’altro ieri, e ti intima di fornirgli seduta stante ampie spiegazioni su temi complessi. Spiegazioni che tu hai estesamente e barbosamente trattato negli ultimi vent’anni con un’ostinazione che, evidentemente, non è bastata. Una volta si usava verso questi Robespierre un acronimo molto aggressivo (RTFM), oggi semplicemente occorre far buon viso a cattivo gioco. Sono le sfortune del politicamente corretto.
Detto questo siccome il senso di colpa è il motore delle decisioni di molti di noi, ho deciso di segnalarvi una breve ed esaustiva lista di articoli, delle ultime ore e meno recenti, che spiegano, con dovizia di particolari, come mai la cretinata di cui si diceva è indubitabilmente una cretinata ma, soprattutto, aggiungo, di seguito a questa breve lista di fonti, il mio pensiero al riguardo di temi come l’odio in rete, le false notizie e tutta la compagnia cantante di cui tutti – ma proprio tutti come si è visto – parlano da tempo. Nulla di particolarmente inedito, ne ho scritto 100 volte. Con questa facciamo 101.
Stefano Zanero su Twitter qui
Fabio Chiusi su Valigia Blu.
Massimo Canducci su Tech-economy
Fabio Sabatini in un thread su Twitter
Questo post su Facebook di Giovanni Ziccardi.
Questo lungo post sempre di Giovanni Ziccardi.
In generale direi che quello che noi dovremmo fare è iniziare a “investire sulla rete”. In Italia non lo si è mai fatto: i politici sono, da sempre, i primi a lamentarsi degli enormi rischi legati agli ambienti digitali, ma l’unico strumento che immaginano per risolvere i mille problemi di Internet è promulgare nuove leggi. Sulla cretinata di cui sopra per esempio Marattin non potrà vantare nemmeno la progenitura: giacciono depositate in Parlamento almeno un paio di proposte simili, una dal senatore M5S Lorenzo Battista e una del senatore di Forza Italia Nazario Pagano.
E pensare che un’analisi retrospettiva della legislazione degli ultimi vent’anni sui temi digitali dovrebbe consigliare maggiori cautele: sono leggi orribili, malfatte, vaghe e nella migliore dei casi inutili quelle approvate fino ad oggi al riguardo. Non ve le elenco: così domani qualcuno potrà domandarmi a gran voce immediate spiegazioni.
Investire sulla rete significa invece due cose: sprecare del tempo politico per capire come funziona e investire dei soldi dei cittadini per adattare la società civile alle nuove forme di cittadinanza digitale.
Cosa significa concretamente?
1 – Un’enorme quantità di cittadini utilizzano quotidianamente i social network. Serve immaginare forme di coordinamento (amichevoli o imposte) con le piattaforme più utilizzate. Questo non significa scrivere lettere aperte a Mark Zuckerberg come fece Laura Boldrini quando era Presidente della Camera in uno dei molti tentativi di visibilità personale di un politico sui temi dell’innovazione ma, per esempio, chiedere e pretendere da Facebook o Twitter che le risorse di attenzione al cliente dedicate siano proporzionate al proprio successo. Concretamente, come ripeto da anni, mi sembrerebbe utile pretendere che chi raccoglie i profili di milioni di italiani abbia una struttura di assistenza stabile, localizzata fisicamente in Italia che possa essere interlocutore chiaro ed immediato per qualsiasi grave questione. Fino ad oggi le grandi aziende americane se la sono cavate spendendo pochissimo in servizi del genere che diventano indispensabili quando il numero di “clienti” interessati dal servizio lievita.
2 – Tentare collaborazioni con le piattaforme. Macron in Francia ha immaginato qualcosa del genere tempo fa, ottenendo per la verità scarsi risultati, ma l’idea è corretta: pretendere di sapere come funzionano Facebook e Twitter, per capire come tutelare meglio i propri cittadini. Per esempio il tema maggiormente rilevante oggi con Facebook è quello delle rogatorie (un argomenti giuridico spinoso e di difficile soluzione) che rende – nei fatti – un reato di diffamazione online diverso dallo stesso reato commesso nel mondo reale. Una cosa da risolvere.
3 – Investire denaro negli organismi di controllo. Servono più soldi per la Polizia Postale, le cui sedi periferiche sono state chiuse negli ultimi anni per risparmiare denaro. Servono soldi per servizi di assistenza ai cittadini in formati digitali (non la ridicola farsa novecentesca del “Commissariato di Polizia online” dove compili la denuncia la stampi e la porti in Questura dove viene ricopiata).
4 – Sempre a proposito della Polizia Postale oltre a finanziarla ne vanno riformati i vertici e la cultura “aziendale” in maniera molto netta. È anche questa una decisione politica. Il lavoro di alfabetizzazione che la Postale ha fatto in questi anni sui media e nelle scuole è stato – per chi abbia occhi per osservarlo – disastroso. Agenti in divisa che con le migliori intenzioni e nessuna cultura digitale sono andati nelle scuole dei nostri figli a dipingere una rete terribile e piena di insidie dalla quale difendersi. Spesso fra due ali di genitori entusiasti, felici di aver finalmente trovato conferme alle loro paure.
5 – Serve infine – e questa vale sempre e per tutto – investire in cultura digitale nelle scuole. Noi siamo vecchi e perduti, come appare chiaro ascoltando la nostra classe politica e intellettuale che spiega ex-cathedra come funzionino le fake news o l’odio in rete, ma i nostri figli meritano di capire meglio e da soli rischi ed opportunità. Occorrerà segnalargli il problema, metterli in condizione di occuparsene personalmente.
Senza un parlamentare a caso, uscito improvvisamente – out of the blue –
che spieghi il mondo ai nostri figli senza averne la più vaga idea o che organizzi l’ennesima legge senza né capo né coda con la quale farsi bello in TV per i prossimi cinque minuti.