Affezionarsi alle proprie libertà
Il ceto riflessivo – figuriamoci il resto del paese – quello che per esempio utilizza uno strumento di interazione e comunicazione come Twitter, alla parola libertà rizza le antenne. Se poi la libertà è “di parola” allora apriti cielo. Così basterà scrivere una banalità, ricordare tangenzialmente il vituperato articolo 21 della Costituzione, per scatenare le preoccupazioni e i bignami democratici di moltissimi. Una ricetta sempre uguale, piena di frasi fatte, che cita Bobbio e che innalza immediatamente i propri stendardi.
Così quando Facebook deciderà di immolare la propria impossibile neutralità di piattaforma ai temi della politica, bannando – a mio avviso giustamente, lo dico per i molti che hanno già il colpo in canna – una serie di profili legati al mondo neofascista in Italia, quasi tutti osserveranno la pagliuzza nell’occhio del commentatore, ignorando la gigantesca trave che occupa l’occhio del ciclope Paese. Il bruscolino è una scelta politica della piattaforma californiana, la trave è l’ampio articolato consenso ad ogni censura (non solo a quella per l’apologia del fascismo) che immediatamente si leva in questo Paese ogni volta che qualcuno invoca la tutela della libertà dei cittadini. Un Paese nel quale, per capirci, l’intero arco parlamentare – caso più unico che raro – ha votato recentemente una legge che autorizza l’occhio elettronico a scrutare ogni asilo nido e ogni residenza per anziani. È la famosa casa di cristallo di Stefano Rodotà, una delle più chiare quanto misconosciute metafore reazionarie.
Accade ciclicamente, e da almeno un paio di decenni, che i soggetti più vari attentino alle libertà costituzionali dei cittadini negli ambienti digitali e il meccanismo utilizzato, per chi ha occhi per osservarlo, è sempre il medesimo. Si utilizza il grimaldello di un tema sacrosanto e molto popolare (la lotta al terrorismo che avanza, quella alla pedopornografia, nel caso in questione gli ampi rigurgiti neofascisti degli ultimi anni) per provare a fare altro, senza dirlo, silenziosamente. In generale per sostenere un progetto di controllo di altro tipo che ha come filo comune la riduzione delle libertà dei cittadini mentre gli stessi cittadini, ignari, convinti che stia accadendo tutt’altro, ringraziano.
Così nel giorno in cui molti politici italiani su Twitter inneggiavano al pugno di ferro contro i fascismi su Facebook (una posizione per molti versi curiosa dato che il nostro è il Paese nel quale quel reato previsto dalla Costituzione viene ovunque e da sempre del tutto ignorato, in un tripudio quotidiano di saluti romani di calciatori, ultras, e manifestanti in piazza), nel giorno in cui Mattia Feltri, da tempo il più lucido commentatore della situazione politica italiana scrive – secondo me sbagliandosi, per una volta di molto – che le decisioni di Facebook sui profili dei fascisti sono decisioni fasciste, suggerirei semplicemente di fare due cose. Due sole, molto semplici.
La prima è distingure Facebook e le sue decisioni di azienda americana quotata in Borsa dai temi dell’etica politica nazionale. Sono ambiti diversi che non coincidono nemmeno lontanamente: a tal proposito sbaglia anche – secondo me – chi sostiene che Facebook sia una piattaforma nei fatti pubblica in quanto molto utilizzata. Detto in altre parole è piuttosto ridicolo che la battaglia politica contro l’apologia di fascismo si applichi li dentro in quanto supposto ambito pubblico e non nelle piazze della repubblica che ambito pubblico sono di sicuro. Lo ha scritto molto bene il professor Giovanni Ziccardi che è forse il maggior esperto italiano di questioni legate all’odio in rete qui in un post che merita di essere letto:
5) Perché le piattaforme sono al centro di questo problema dell’odio e non lo sono lo Stato, la società e le persone? Perchè lo Stato ha abdicato completamente al ruolo di “regolatore” dell’odio e ora le piattaforme possono agire liberamente e senza controlli/vincoli incorporando il ruolo di legislatore, giudice ed esecutore? Dedicare tanta attenzione alle responsabilità delle piattaforme non porta a non vedere il problema reale, che è nella società?
La seconda è considerare quanto dicevo all’inizio: che in simili discussioni censorie esiste sempre un non detto, un secondo piano di valutazione. E che un simile piano non è il nostro, non è trasparente ed è nei fatti di gran lunga il più pericoloso. E questo non perché i censori nostrani siano più determinati e abili di quelli del resto del mondo ma perché la nostra attitudine di popolo a mettere in fila le cose importanti lascia molto a desiderare. Da sempre. La storia anche recente ce lo indica chiaramente.
Come si potrà uscire allora da una simile debolezza strutturale, da questa tendenza pigra e autoassolutoria a demandare ad altri, persone o istituzioni che in quel momento ci paiono supremamente stimabili, le decisioni che riguardano noi e le nostre scelte etiche? Attraverso la capacità di giudizio e la responsabilità personale, un dato culturale che, come si vede, crea improvvise e drammatiche collisioni dentro gli ambienti digitali. Che cresce e germoglia solo dentro una società libera, affezionata alle proprie libertà.