Mettetevi il cuore digitale in pace
C’è molta eccitazione – vedo – negli ambienti dei professionisti del digitale in Italia. È del resto tempo di nomine che, per una strana casualità temporale, si stanno affollando tutte una sopra l’altra.
Ci sono le nomine politiche vere e proprie, per cominciare, sebbene la crisi di governo si gioci su altri temi. Torna così d’attualità, come ogni volta, la flebile discussione sull’opportunità di avere un Ministro per il digitale o anche solo un sottosegretario ad hoc.
Nei mesi scorsi poi si era quasi giunti alle nomine – col solito usuale manuale Cencelli – dei nuovi vertici delle Autorità Comunicazioni e Privacy. Lega e Movimento Cinque Stelle, dopo vari tira e molla, si erano spartiti le poltrone, poi la caduta del governo ha mandato tutto in malora. Si tratta in ogni caso di nomine in scadenza molto importanti, pur con i limiti di mandato che simili organismi hanno avuto fin alla loro creazione.
Se tutto questo non bastasse è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la migrazione del Team Digitale, organizzato a suo tempo da Matteo Renzi, in un dipartimento apposito, che si chiamerà Team per la trasformazione digitale e che risiederà a Palazzo Chigi. Altre nomine ed altri esperti digitali da schierare, insomma. Un cambio di nome molto tecnico, misterioso ai più (me compreso) visto che il Team di Piacentini prima, e del suo breve successore (in scadenza pure lui) Attias dopo, sempre da Palazzo Chigi dipendevano. Ma si sa, la politica si disinteressa di ogni semplicità anche se è pressoché certo che in questa sorta di trasloco vi sia una ragione di occupazione e potere delle più usuali. A margine c’è anche la vecchia Agenzia per l’Italia digitale (AGID) seppellita all’EUR a incasinare ancora di più le cose.
Splende di luce propria insomma, in queste settimane, la nostrana comitatologia digitale e tutto questo avviene in un Paese in cui, per la verità, il tema della trasformazione digitale sembra oggi ai margini come non mai.
Così ora varrà la pena sottolineare che nulla di tutto questo agitarsi servirà concretamente a niente, per lo meno per i cittadini italiani. Perché la politica delle reti, l’attenzione al digitale come paradigma per provare a risolvere i nostri guai era ed è – da sempre – un atto politico. Lo è, in misura perfino più rilevante, in un paese a basso tasso di innovazione come il nostro. Ebbene, mai come oggi una simile volontà è lontana dai pensieri della classe politica italiana. È sempre stato così, tradizionalmente da almeno vent’anni, ma mai come oggi la percezione dell’importanza di una società connessa è lontana non solo dalle intenzioni ma anche dalle parole della politica. Osservate di cosa parlano i leader, quali sono le priorità contenute negli elenchi che girano in questi giorni e capirete che l’agenda digitale non interessa a nessuno per una ragione molto semplice: perché è diffusamente percepita come un argomento ancillare, quando invece si tratta di una lente attraverso cui osservare il mondo.
Per utilizzare la lente digitale in un Paese povero e in difficoltà come il nostro serviranno allora coraggio e menti fresche nei piani alti della politica. Oggi – e chissà ancora per quanto – non abbiamo né l’uno né le altre. Mettiamoci il cuore in pace.