La violenza dei selfie
Qualche giorno fa Il Post elencava le numerose occasioni nelle quali i selfie sono diventati un problema per Matteo Salvini e la sua comunicazione. Si tratta di una strategia recente, molto efficace e sempre più utilizzata. Interessante da un punto di vista della mera comunicazione perché si occupa e enfatizza l’eccezione. Il leader leghista, in un giorno qualsiasi, potrà dedicare il suo tempo prezioso a cento selfie con i fan, ma se uno solo di questi riuscirà a ridicolizzarlo sarà quello il messaggio comunicativo che emergerà sui media. Da un lato il faticoso lavoro puntiforme della propaganda porta a porta, dall’altro il risultato torrenziale di un singolo gesto capace di riempire in un istante la rete e i media.
Non è quindi strano che simili forme di nuova resistenza abbiano immediatamente sollevato l’interesse dei commentatori, i quali sono tutti piuttosto concordi nel dire che il meccanismo della propaganda superficiale che i social media consentono si stia rivoltando contro uno dei suoi più abili utilizzatori.
Da questo punto di vista occorrerà specificare velocemente l’ovvio e cioè che la propaganda, specie quella politica, specie ultimamente, ha raggiunto livelli di adulterazione molto rilevanti. Il cinismo degli uomini e gli strumenti social disponibili hanno consentito la creazione di nuovi scenari. Una platea di sedie semivuote si trasformerà rapidamente in una folla osannante. Qualche sera fa, nel suo tour italiano che dura da mesi, Salvini è passato per un comizio anche nella mia città. Ero presente, sotto la pioggia ad ascoltarlo. Leggendo le cronache dell’evento nei giorni successivi, quasi nessuna dei resoconti sui giornali e delle opinioni espresse sui social corrispondeva, in un senso e nell’altro, a quello che avevo visto con i miei occhi. Come direbbe il noto sociologo morto e citato da tutti spesso a sproposito, è comunicazione liquida, nel senso che era una serata estremamente bagnata ma anche una serata sulla quale qualsiasi cosa sembrava lecito affermare.
Così il punto rilevante sulla rivolta contro Salvini a colpi di selfie non mi pare essere quello solito della nudità del re consentita dagli strumenti digitali, della possibilità fino a ieri impensata che un adolescente dica al Ministro dell’Interno “sei una merda” o “dove hai messo i 49 milioni” e da lì finisca trionfalmente sulla bocca di tutti. Quel tipo di contrapposizione già esiste, lo strumento del controselfie ne è solo la forma eclatante e geniale di oggi, pop e momentanea come Pokemon Go. Piano piano simili performance perderanno di peso e finiranno a pagina 24 in un trafiletto in basso.
No, il punto rilevante dell’hacking della comunicazione politica nelle forme che osserviamo in questi giorni è che utilizza le medesime categorie comunicative di chi in quel momento si sta contestando. E il tratto principale che la descrive, quando è nelle mani di Salvini così come quando sfila verso quelle del suo occasionale interlocutore, è la violenza.
Uno dei grandi compromessi che quasi tutti i partiti politici hanno scelto di accettare per comunicare con i propri elettori in maniera “moderna” è quello dell’abbattimento delle convenzioni e delle forme di rispetto, residui di un tempo al quale evidentemente nessuno sente più di appartenere. Un tale schema riguarda da sempre il Movimento Cinque Stelle, il PD del “rottamatore” Renzi, il Salvini che sbotta dal balcone del duce urlando “sfigati” alle centinaia di persone che sotto la pioggia (pure loro) lo insultano. Esistono decine di esempi di una simile adulterazione: dal parlamentare europeo che si togli la scarpa e la sbatte su un documento a favore di telecamera, ai mangiatori di mortadella in Parlamento, dall’emancipazione del linguaggio verso ogni gergo che strizzi l’occhio al popolo, all’abbigliamento e alle espressioni del viso.
Mentre l’Europa, tranne alcune eccezioni, resiste, affidandosi a forma e convenzioni, la comunicazione politica in Italia è tracimata da tempo nell’invettiva e nella violenza. L’aspetto più rilevante oggi non è tanto che ai politici piaccia ma che ai loro elettori sembri normale e sacrosanto.