In tempi buissimi come questi
Schiacciate da un pregiudizio molto forte e apparentemente ben informato (nella realtà dei fatti invece del tutto ipotetico e senza grandi prove) il valore delle nostre relazioni in rete viene ogni giorno messo in discussione per le ragioni più varie. Il retropensiero più comune che mi pare possa essere riconosciuto dietro simili pregiudizi è che le masse, il popolo, le persone semplici, nel loro contesto abituale, siano un soggetto culturalmente deludente, poco affidabile e, soprattutto, facilmente influenzabile. Da destra e da sinistra mai come oggi, nei tempi del disvelamento digitale delle opinioni di ciascuno attraverso le piattaforme digitali, la critica alle debolezze comunicative della ggente è tanto forte e sicura.
La fase di liberazione digitale, iniziata con grande entusiasmo vent’anni fa, sembra andare verso la sua naturale conclusione. Una specie di restitutio implicita alle attitudini degli “specialisti”, ancor più paradossale nel periodo in cui ogni élite sembra essere messa in discussione. Comunicare – ci suggeriscono sottovoce in molti – è una professione. Quando non lo è – e oggi non lo è quasi mai – nascono i disastri.
Così io – pressato da gentili inviti di segno opposto – mi stavo chiedendo: a cosa serve che io comunichi alla mia cerchia di contatti di rete con enfasi impressioni ed indignazioni, stigmatizzi comportamenti vergognosi o notizie marginali significative se, ad ogni passo, qualcuno mi spiega più o meno gentilmente la fallacia di simili atteggiamenti?
Secondo un punto di vista che sento ripetere spesso, talvolta anche da persone che stimo molto, stigmatizzare ciò che ci indigna e fa vergognare sarebbe, fra le altre cose oltre che una prassi consolatoria ed autoassolutoria, una cessione di significato, una forma di collaborazione col nemico. Dentro questo punto di osservazione dare pubblicità a un titolo idiota di Libero o a una frase ridicola di Di Maio o a un tweet violento di Salvini sarà una maniera involontaria per potenziarne gli effetti. Questi effetti, ovviamente, non riguarderanno me ma un’indistinta platea di individui che apprenderanno da me simili argomenti e li faranno propri.
Ora, sebbene io non discuta su una simile plausibile possibilità, anche se temo non esista alcuna occorrenza numerica al riguardo che sancisca l’effetto complessivo di un simile scenario – detto in altre parole: portatemi i numeri di quante persone hanno iniziato ad acquistare Libero e di quante hanno smesso di acquistarlo dopo che io, come tanti, ho sottolineato su Twitter la miseria delle sue prime pagine – altri aspetti sociali andranno forse compresi nel momento in cui mi si chiede di non dare voce ai peggiori.
E senza addentrarsi nelle discussioni intellettuali, oggi molto di moda, sull’indignazione e sulla vergogna, discussioni che personalmente trovo spesso oziose, elitarie e per quanto mi riguarda poco convincenti, due cose mi colpiscono e mi paiono rilevanti. La prima è che non esistono ricette comuni. E non esistono perché in rete cambiano continuamente i contesti, i numeri, gli ambienti di riferimento. La comunità di persone in ascolto della quale ognuno di noi fa parte è differente da quella di chiunque altro: una ricetta che vada bene per tutti mi pare di difficile composizione.
La seconda, quella per me più consistente, è che le comunità digitali sono composte da particelle elementari e che suggerire di citare o non citare Libero o Di Maio, Di Battista, Renzi o Salvini sui social network a qualcun altro è una maniera gentile per sostituire il suo spazio individuale, le sue prerogative elementari. Quello che intendo dire non è che non si possa accettare buoni consigli da cari stimati amici così come da perfetti sconosciuti che si sentono “Gesù nel tempio”, ma che, comunque ed in ogni caso, qualsiasi risultato civico e divulgativo che potremo ottenere vedrà i suoi effetti sullo spazio circostante. Pochi metri accanto a noi.
E se il contesto generale ci sembra disperante e incredibilmente triste, così come a me sembra ora, sempre di quel minuscolo spazio circostante potremo occuparci. Ben sapendo che il continente complessivo che crea il senso della nostra intera comunità è un insieme di piccoli spazi circostanti e non è giustificato da nessuno di questi in particolare. Curare il nostro – almeno in rete – sarà tutto quello che potremo fare, anche in tempi buissimi come questi. A maggior ragione in tempi buissimi come questi.