La tecnologia invisibile
L’ultima volta che siamo stati a Londra, qualche settimana fa, appena arrivati a Heathrow, noto che mia moglie Alessandra inizia a frugare vorticosamente nella borsa. Non è una novità, le capita tutte le volte che perde qualcosa, ogni cinque minuti circa. Stiamo andando di fretta verso la metro, abbiamo un appuntamento e siamo in ritardo. Ci fermiamo: io e Francesca la guardiamo con la faccia “cosa hai combinato questa volta”. Dopo un po’ lei alza la testa e dichiara: “Ho dimenticato la Oyster a casa in Italia”.
Per chi non lo sapesse la Oyster card è una tessera magnetica ricaricabile blu che da oltre vent’anni serve a spostarsi sui mezzi pubblici in città. Da qualche anno a questa parte alla tessera blu Transport of London, il più grande e figo laboratorio tecnologico di trasporti urbani del pianeta, ha aggiunto altre modalità di accesso elettronico alla propria rete. Si può pagare per esempio con Apple Pay ma soprattutto il sistema accetta qualsiasi carta contactless fra quelle in circolazione. Noi però siamo affezionati alla nostra ostrica e benché le procedure di ricarica la rendano oggi più scomoda, per abitudine e romanticismo abbiamo continuato a utilizzarla.
“Poco male – dico a mia moglie che ha infine smesso di frugare nella borsa – userai la carta di credito”. Siccome sono ingenuo e italiano, e come rappresentate di entrambe le categorie associo da sempre la tecnologia ad una sua visibilità ed a una sua intrinseca complicazione, prendo il telefono e cerco in rete le istruzioni per iscrivere la propria carta ai trasporti londinesi. Mi servono 30 secondi per capire che le istruzioni non ci sono. Non ci sono perché non servono. Qualsiasi carta potrà essere utilizzata direttamente.
L’utilizzo delle contactless per accedere alla metropolitana di Londra e prossimamente, si spera con le medesime modalità, a quella di Milano, è un esempio fragoroso di tecnologia invisibile. Azzera speculazioni (avrà abbastanza soldi sulla Oyster?) e congetture (non è che spenderò di più?), rifiuta alla radice ogni apparato intermedio e qualsiasi burocrazia, sposta le risorse umane dagli sportelli dietro un vetro al controllo degli accessi. Elimina le code, amplia la disponibilità del servizio, soprattutto uccide ogni complicazione (QR code, SMS, ecc.).
Questo ultimo aspetto è forse quello più interessante. Ai miei usuali rimbrotti sulla necessità di aumentare la cultura digitale degli italiani spesso mi si risponde impugnando il totem tecnologico. Il giorno in cui – mi raccontano – la tecnologia se non trasparente diventerà almeno amichevole, tutti ne comprenderanno i vantaggi ed inizieranno silenziosamente ad utilizzarla. La mia idea è che questo sia solo parzialmente vero e che, contemporaneamente, il lavoro culturale di usabilità e interfaccia che Transport of London ha prodotto in questi decenni preveda proprio quella cultura digitale di base che a noi manca e di cui abbiamo disperato bisogno. Detto in altre parole ogni Paese produce la tecnologia di cui è capace e i nostri risultati in tal senso, anche i più recenti, dicono di noi molto più di quanto non sembri. È una fortuna che le buone pratiche tecnologiche possano essere copiate (o acquistate) in blocco. Dovremmo farlo più spesso.
Nel frattempo mentre io e Francesca facciamo la fila per “topappare” la nostra Oyster, Alessandra ci fa ciao con la manina dal vagone che sta partendo.