Il cannibale che siamo noi
Mattia Feltri sulla Stampa li chiama “i cannibali”. E ha ragioni da vendere. Servirà allargare lo sguardo, distoglierlo dal particolare millimetrico e ricondurlo ad uno scenario d’insieme per capirci qualcosa di più. Da lì la centralità dello studente cretino che offende e minaccia il professore in una scuola di Lucca si sfuma fino a diventare poca cosa, perde i suoi connotati di straordinaria testimonianza del presente.
Se c’è un canone che oggi è possibile riconoscere nelle spire della comunicazione digitale è che noi siamo i cannibali e tutto il resto intorno è un desco perennemente imbandito. Spilucchiamo qua e là mentre aspettiamo l’autobus, dopo cena sul divano o nella sala d’attesa del dentista: in ogni istante dalla colonna delle news compare esattamente ciò che attendevamo. È un abito su misura quello che i media sapientemente cuciono per noi cannibali. L’adolescente ignorante e bullo, il professore ignavo, la classe complice e sghignazzante che riprende e mette online l’evento.
E nonostante questo sia accaduto davvero, e sia grave, e non sia nulla di nuovo, per lo meno dentro gli istituti tecnici in Italia negli ultimi 20 anni, non è lì il centro della questione. Quello che succede subito dopo, non la violenza cretina di un gruppo di studenti senza cervello, è il vero punto di discrimine fra ieri e oggi, la cifra della contemporaneità digitale. La discussione che segue quel video è il problema non il video in sé.
I cannibali sanno tutto, hanno un’opinione su tutto: il tribunale della rete è inflessibile e senza appello. Ma tutto ciò che i cannibali sanno, sui ragazzi, sui professori, sulla scuola in genere, sui telefoni cellulari in classe, sui genitori che picchiamo i prof, sui cyberbulli, è figlio di questa poltiglia informe che mescola oggi informazione e commento, discussione fra esperti e voce popolare. Il cannibale mastica tutto perché tutto ciò che si trova di fronte gli sembra uguale. Non è nemmeno che abbia troppa fame, è più l’abitudine, e un tavolo di indignazione, stranezze, bugie e titoli enormi eternamente offerto.
Il preside dell’Istituto tecnico di Lucca in cui è avvenuto il fattaccio, che ascoltavo un paio di sere fa intervistato alla radio, spiegava con grande sicurezza che questi nativi digitali percepiscono il mondo come un eterno videogioco. Non sfuggiva il docente a questa accelerazione che ci riguarda tutti verso la superficie delle cose, ignaro del fatto che in quel momento esatto il videogioco era lui. Spieghiamo il mondo, velocemente, prima ancora di averlo compreso.
Esiste un gigantesco cannibalismo di ritorno che riguarda tutti, esperti, genitori e presidi compresi. In un simile caos tutto si confonde, tutto è uguale a tutto il resto. E se le cose stanno così, noi cosa possiamo fare?
Comincino i media a sfilarsi da questa battaglia a chi si indigna di più, lo facciano se non altro per proprio interesse economico se non per l’amor proprio di chi ormai – immagino senza esserne particolarmente contento – descrive il mondo come fosse il retrobottega di un bar. Continuino gli educatori a non tranciare giudizi a caso appena si ritrovano un microfono di fronte, stiano zitti i ministri almeno per una volta. E stiamo zitti noi che ormai mastichiamo e ributtiamo fuori qualsiasi cosa.
L’overload informativo non sarebbe un problema così gigantesco sapendo come fare a prenderci le misure, ma oggi un software impazzito lo sta preselezionando per noi, nascondendo i diamanti e lasciandoci il letame. Il cannibale che siamo noi quello trova e quello deglutisce. Senza nemmeno accorgersi che in questo eterno ruminare semplicemente mangia sé stesso.