Facebook, l’Economist e la democrazia
L’Economist si domanda pensoso se i social media siano un rischio per la democrazia. E siccome si tratta dell’Economist, uno dei bastioni del pensiero strutturato al quale siamo soliti dare ascolto, quella domanda diventa nostra. Ci interroghiamo e ne discutiamo: la democrazia è in pericolo per colpa di Facebook?
La risposta ovviamente è no. La democrazia è a rischio, probabilmente lo è, forse lo è da sempre, ma non per colpa di Facebook e dei suoi misteriosi algoritmi, ma per colpa nostra. Che siamo poco furbi, superficiali, svagati, e che lo siamo talmente tanto da affidare i nostri pensieri a una piattaforma che decide per noi cosa è buono e cosa no, che sceglie per noi quando dovremo leggere una notizia e quando no, quali contenuti siano razzisti e quali no, cosa sia pornografico e cosa no. Ci piace tutto questo? Ci fidiamo del Newsfeed del nostro social network preferito? Affari nostri. In ogni caso la democrazia non sarà alla fine affondata dai social media ma da noi stessi, trionfalmente. Noi che apriamo il nostro profilo e per comodità o pigrizia pensiamo che tutto quello che è contenuto lì dentro ci spieghi il mondo e le persone.
Così oggi, in questa sorta di transfert psichiatrico assai frequentato, moltissimi degli analisti concentrano la propria attenzione sulle piattaforme. Fanno benissimo. Le piattaforme non sono neutrali, incidono chiaramente nelle nostre scelte quotidiane. Accade spesso: specie quando le piattaforme sono disoneste e interessate modificano in peggio la nostra visione del mondo. È davvero così? È possibile peggiorare le scelte di due miliardi di persone che già pensano ingenuamente che Facebook sia Internet? Certo è possibile: è il marketing delle merendine applicato alla politica e alla democrazia. Uno di quei tripli salti mortali nei quali atterrare di nuca non sarà così improbabile.
Quindi sì. I social network sono una minaccia per la democrazia ma lo sono con molte analogie con i sistemi comunicativi precedenti. Anche quelli, se li osserviamo bene, si basavano sulla nostra ingenuità e superficialità, ci facevano credere cose, tacevano informazioni per evidenziarne altre. Quali sono le differenze in termini di rischi per la democrazia? Non troppe. La democrazia è sempre a rischio quando le persone sono disinformate. Erano disinformate anche prima, in maniera differente ma lo erano. Forse la differenza principale è che ai tempi dei social network per ragioni di accesso e costi legate all’ambiente digitale la disinformazione ha perso in raffinatezza. È un tool disponibile per grandi e piccini: per società di capitale russe che investono in azioni Facebook così come per ex adolescenti moldavi che mettono su un sito alt-right per comprarsi la BMW con Adsense. Ai raffinati strateghi del consenso planetario si sono aggiunti migliaia di cialtroni e complottisti, markettari del terrore e antivaccinisti. In una sorta di nuovo contesto digitale molto democratico gli strumenti per affossare la democrazia sono oggi disponibili per quasi tutti. La disinformazione si è così trasformata da strategia elitaria a sotterranea in pratica da mercato rionale. È anche per questo forse che all’Economist sono preoccupati.
Quali soluzioni abbiamo? Come possiamo fare per non distruggere il fragile meccanismo democratico? Ai tempi dell’Economist era complicato e faticoso. Dovevamo variare le fonti, sceglierle personalmente, leggere fra le righe, frugare fra le verità alternative, uscire in qualche modo dal giogo delle dieci grandi agenzie di stampa che ci raccontavano il mondo. Era complicato, difficilissimo, richiedeva tempo e passione.
Oggi ai tempi di Facebook è complicato e faticoso: dovremo variare le fonti, sceglierle personalmente, leggere fra le righe, frugare fra le verità alternative, uscire in qualche modo dal giogo di Facebook e dei suoi algoritmi stupidi capaci di monopolizzare la nostra attenzione. È complicato, difficilissimo, richiede tempo e passione.
Una cosa è invece cambiata in maniera rilevante. Il giardino recintato dei guardiani dell’informazioni un tempo era uno spazio minuscolo e molto presidiato. Oggi si è trasformato in un continente gigantesco dentro il quale siamo quasi tutti. Per questo, mai come oggi, la democrazia si è trasformata in un affare nostro. Mai come oggi la principale minaccia alla democrazia siano noi, dentro i nostri pomeriggi a scrollare pigramente dentro le stupidaggini che Facebook o Twitter ci mostrano 24 ore al giorno. Mentre questo accade, intorno a noi, sempre più persone ci spiegano che è colpa di Facebook e di Twitter.