La geografia delle bugie
Quando Grillo sul suo blog o Salvini ospite di un talk show in prima serata dettano ai media una qualsiasi stupidaggine, la reazione automatica è ogni volta sempre la stessa: ma lo sono o lo fanno?
Quando il fondatore del M5S propone una giuria popolare per le notizie, cosa sta succedendo? Grillo è impazzito o la stupidaggine che sta proponendo è intenzionale? Quando Salvini ripete indisturbato ad ogni talk show politico notizie inesatte (non opinioni) sulla Brexit o sui migranti, sta mostrando a noi la sua pochezza oppure mette in atto una cinica strategia comunicativa?
Altri casi meno grossolani potrebbero essere aggiunti. Si potrà dire – a ragione – che una simile attitudine riguarda ormai gran parte della comunicazione politica e che i comunicatori in grado di sfuggire ad un simile ricatto sono ormai semi-estinti, travolti nelle loro argomentazioni dalla concorrenza di uno storytelling per ubriachi.
È ormai opinione comune che il pensiero semplificato sia la chiave per guadagnarsi i pochi secondi di attenzione dell’interlocutore utili a carpirgli il voto, tuttavia in Italia forse ci siamo spinti anche oltre. Dopo la semplificazione estrema del messaggio siamo ormai all’adulterazione del contenuto e questo si verifica per due ragioni principali.
La prima è che la mediazione giornalistica ha ormai dichiarato fallimento dentro i luoghi stessi (i giornali e le TV) della sua esistenza; la seconda è che, per una certa quota della popolazione, quel filtro tanto esile è stato reso irrilevante dall’accesso diretto alle informazioni sui social media e più in generale su Internet. Luogi nei quali il sofisticatore va a braccetto con l’intossicato. L’ordine di questi due fattori non è casuale: in un Paese con la metà circa dei cittadini che non accede a Internet la gestione della “verità” sui media mainstream è tutt’ora il problema principale che abbiamo di fronte, anche se la discussione in corso sostiene a gran voce il contrario.
Ma se le fake news di Salvini sono parte di una strategia di distrazione di massa che si ripete uguale nella Gran Bretagna di Ukip o nei tweet di Donald Trump, quello di Grillo è invece un caso a sé.
Grillo è un comico, lo è stato in passato e lo è tutt’ora. Gli eccessi comunicativi (per non dire le balle) che sono da sempre presenti nel suo blog, fanno parte delle tecniche del teatrante per tenere viva l’attenzione del pubblico pagante. Le sue cialtronerie sono lo specchio nel quale lo spettatore si potrà riflettere: il tono di voce improbabile, i gesti teatrali, perfino gli abiti, fanno parte della scena. Servono a raggiungere l’ultimo tizio lassù in cima al loggione. A Grillo un numero consistente di noi non chiederà conto delle enormità che dice e questo per l’incapacità di separare l’uomo (o il politico se avete il coraggio di attribuirgli un simile ruolo) dal giullare. Grillo insomma, per tornare al dubbio iniziale, a differenza di molti altri, lo fa e lo è. La quota di intrattenimento che così generosamente siamo in grado di riconoscergli, lo lascerà sempre al riparo dal tribunale della verità, dalle contestazioni minime del pensiero politico fattuale.
Quel tribunale nel frattempo è comunque in cattiva salute, lasciando il posto ad un ambiente informativo molto vasto che unisce le bufale su Internet a quelle dei giornali e dei talk show e che soprattutto è dominato da meccanismi di rimozione della memoria. Che sono potentissimi, a dispetto degli strumenti di archivio documentale che Internet consente.
Nel momento in cui tutto è stato archiviato ad un click da noi e reso disponibile per sempre, noi abbiamo scelto di non occuparcene. Questo è il riassunto minimo di qualsiasi discussione sulla post verità ed è evidentemente un riassunto che non riguarda tanto il giornalismo, la malafede dei politici, tantomeno la tecnologia o Internet in particolare.
Qualche mese fa, in occasione del terremoto nel centro Italia, Beppe Grillo ha dichiarato pubblicamente la propria vicinanza alle vittime del sisma. Ha potuto farlo con grande naturalezza in virtù di meccanismi di rimozione che rendono le parole della politica ogni volta nuove ed inedite. Grillo stesso forse non ha dimenticato quando, nei giorni di un precedente drammatico terremoto di qualche anno fa, utilizzava il suo blog per dare voci alle ciarlatanerie antisistema di sedicenti esperti in grado di prevedere gli eventi sismici. Quegli interventi del resto sono ancora on line. Ad un click di distanza da noi. Lui forse non lo ha dimenticato ma noi sì.
Ed anche nel giorno in cui qualcuno chiedesse conto di simili panzane si alzerebbe il muro di indifferenza che ammanta ogni cosa già successa e dimenticata. Il documento, che una volta era una prova, ora è carta straccia. Nel momento in cui il presente diventa velocissimo del passato nessuno avrà più tempo di occuparsene. I feed delle notizie di Facebook o di Twitter, flussi rapidissimi di notizie che si sostituiscono una all’altra ne sono un esempio architetturale perfetto.
Uno dei punti di maggior rilevanza delle bugie nell’epoca digitale è che sono diventate più semplici da rintracciare ma al contempo quasi del tutto ininfluenti, poiché localizzate dentro una carta geografica che non interessa più nessuno. Esattamente come le parole ad effetto urlate dal comico sul palco nel momento in cui indossiamo il cappotto e usciamo dal teatro.