Il nuovo pensare differente di Apple
La contrapposizione fra Apple e giustizia federale USA a proposito dell’iPhone di uno dei terroristi di San Bernardino ha i tratti perfetti dell’operetta morale. Prevede una nostra discesa in campo da un lato o dall’altro della barricata. Tecnofobi e conservatori ad affermare il diritto/dovere dei governi a controllare ogni centimetro quadrato del pavimento sotto il nostro letto, libertari e futuristi dall’altro a riaffermare la necessità di mantenere dentro il nuovo universo digitale una quota di riservatezza che possa assomigliare almeno un poco a quella della nostra vita precedente.
Un paio di cose mi paiono pacifiche e le anticipo qui prima di arrivare al centro del discorso. La prima è che il rimbrotto dei conservatori, per i quali il potere che ci governa ha sempre e dovunque ragione, è ridicolo e antistorico. Anche solo pensarlo (non dico nemmeno scriverlo, come noti commentatori hanno fatto in questi giorni) significa semplicemente aver chiuso gli occhi su molti dei fatti accaduti in questi anni a margine del tema della sorveglianza di massa.
La seconda, forse perfino più ridicola, è immaginare che la scelta di Apple abbia relazioni con il marketing: che si tratti di una strategia studiata a tavolino per vendere un maggior numero di aggeggi elettronici.
Invece la scelta di Tim Cook mi pare abbia due caratteristiche interessanti. La prima è che non è recentissima. È stata ingegnerizzata (per scrivere software ci vuole tempo) almeno un paio di anni fa e resa pubblica a settembre 2014 con la presentazione di iOS 8. E quando è stata presa una simile decisione di irrobustire le difese crittografiche dei prodotti Apple? Semplice: appena ci si è resi conto – grazie alle rivelazioni di Edward Snowden – che il governo USA attraverso la sua Agenzia per la Sicurezza Nazionale aveva rubato o era in grado di rubare tutti i dati contenuti in tutti i telefoni Apple in tutto il pianeta. In quei giorni avevamo realizzato di essere finalmente tutti uguali: tutti potenziali terroristi dentro un gigantesco database pienissimo di informazioni irrilevanti e nostre.
La seconda caratteristica che mi pare degna di nota è che quella di Apple non è la semplice reazione dell’amante tradito ma una strategia di lungo periodo, l’unica possibile per mantenere il proprio rapporto fiduciario con la clientela. L’idea secondo la quale backdoor di Stato introdotte nei sistemi operativi dei nostri telefoni (che sono ormai parti pulsanti fra le più importanti della nostra vita di relazione) siano lecite e possano essere tollerate in nome della presunta autorevolezza di agenzie come NSA (o peggio delle prerogative di tecnocontrollo di decine di regimi sanguinari in tutto il pianeta) è talmente naïve da poter convincere forse alcuni commentatori occasionali ma per il resto del tutto priva di senso. Le implicazioni a cascata di simili scelte, dentro l’attuale era della sorveglianza, sono talmente tante e talmente rapide da scardinare qualsiasi modello di business legato alla comunicazione e questo in nome di una presunta sicurezza tutta da verificare e già mille volte smentita dai fatti, dalle Torri Gemelle fino ad oggi.
Apple ha compreso per tempo che il nuovo “think different” è immaginare sé stessa come interfaccia fiduciaria fra la propria clientela ed il potere. Quest’ultimo continua ad agitarsi goffamente immaginando di poter far valere, perfino nell’occidente democratico, una reputazione che non ha più dopo che i fatti (e non le supposizioni stile Echelon circolate per anni) lo hanno ampiamente sbugiardato.
Il nostro interesse di cittadini è duplice ed in entrambi i casi legato ad un modello fiduciario. Ci fideremo domani di chi saprà difendere la riservatezza dei nostri dati ovunque essi siano. Prevederemo eccezioni e distinguo, in un numero limitatissimo di casi, solo quando l’autorevolezza del controllore non sia ridotta, come è ora, a quella di un commerciante di auto usate che prova a venderci per l’ennesima volta il rottame arrugginito e con le gomme lisce del terrorista cattivo.