La stupida norma sul diritto all’oblio
Continuare a parlare della normativa europea sul diritto all’oblio è utile ed importante. Perché si tratta di una legge stupida e sbagliata che per fare del bene a un numero ridotto di persone fa del male e crea danni alla maggioranza delle persone. Così ogni volta che capita l’occasione per ribadirlo io penso sia giusto farlo, anche quando si tratta di un caso piccolo e marginale come quello di cui vi sto per dire.
Un po’ di giorni fa Google mi ha mandato una mail. Voleva informarmi di aver rimosso dall’elenco dei risultati del suo motore di ricerca per alcune keyword un link ad una pagina del mio blog. Se non avete mai visto una lettera del genere ve la mostro qui sotto
Proviamo allora ad orientarci nel gergo di una simile notifica automatica:
1) Google mi dice quale pagina del mio sito è stata rimossa (ma solo per alcune ricerche)
2) Mi dice che non può dirmi per quali ricerche sia stata bloccata.
3) Non mi spiega perché questa rimozione sia avvenuta.
4) Mi informa che posso provare a spiegargli perché dovrebbe cambiare idea al riguardo (il che è abbastanza assurdo visto che non so con quali motivazioni sia stata rimossa e né da chi)
Come sappiamo Google riceve migliaia di richieste ogni anno per rimuovere dai suoi risultati di ricerca certe pagine web. La stupida legge europea le impone di vagliare ogni richiesta e decidere se accondiscendere alla richiesta o se negarla. In un certo numero di casi Google acconsente alla rimozione (come nel caso del mio blog) in altri nega la richiesta. Per l’esattezza Google, fino ad oggi, di simili richieste ne ha ricevute oltre 370 mila in poco più di un anno rispondendo affermativamente a circa 4 richieste ogni 10.
In pratica il motore di ricerca più usato al mondo, nella sua versione europea è pieno di risultati che portano a fondo pagina questa allusiva indicazione:
Capita di vederla talmente spesso una frase del genere che ormai non ci facciamo più caso.
Perché una simile rimozione sia possibile – dice la stupida normativa europea – devono verificarsi due condizioni: le informazioni devono riguardare il soggetto che fa richiesta di rimozione e devono essere in qualche misura obsolete. Un risultato di una ricerca potrà essere considerato obsoleto “quando la tutela dei dati personali dell’interessato prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui tale risultato rimanda”.
Ora, inquadrato a grandi linee il contesto generale, andiamo al caso specifico. Cosa contiene quel post del mio blog del 2010? Nulla di più della citazione di una bufala pubblicata per errore da Repubblica.it su presunte onde sul lago Michigan che per il grande freddo ghiacciano all’istante.
Accade molto di frequente. Ogni giorno siti informativi di tutto il mondo pubblicano notizie false che hanno trovato on line. Quasi sempre qualcuno se ne accorge e quegli articoli imbarazzanti per la reputazione della testata vengono rapidamente cancellati, spesso nel silenzio più assoluto. In Italia poi, per ragioni sciagurate che tutti conosciamo, accade più di frequente che altrove.
Nel caso di Repubblica l’infortunio è firmato da una giornalista freelance che è, con ogni probabilità, l’autrice della richiesta di rimozione a Google. Dico con ogni probabilità perché le ho scritto per chiederle conferma (ed eventualmente qualche spiegazione) ma lei non mi ha risposto. In ogni caso un paio di prove con chiavi di ricerca che associano quel post al suo nome lo confermano.
Ora veniamo alla parte più importante del discorso che esula in gran parte da questo piccolo caso di scuola. Il diritto all’oblio applicato a Google assomiglia molto ad una patologia degenerativa di quelle rapide che però si applica a tutti noi. Dimentichiamo in fretta, dimentichiamo tutto. Già ora, dopo un anno dalla sua applicazione, i ricordi di Google assomigliano a quelli di un anziano signore che confonde le date e le persone. E questo non per un proprio limite personale o per una scelta di business ma per una bizzarra idea burocratica che l’Europa impone a Google, che per tutelare piccole (o raramente grandi) riservatezze personali mette a rischio gravemente la documentalità di Internet, la sua capacità di essere l’archivio gigantesco e liberamente disponibile delle nostre conoscenze.
Il fatto che un giornalista pubblichi notizie su Internet senza controllarle è di per sé una cosa piccola, un infortunio che può accadere a tutti. Ma stiamo parlando di eventi accaduti l’altro ieri, cinque anni fa, e stiamo parlando di un caso singolo senza conoscere quelli che eventualmente gli stanno accanto. Nella peggiore delle ipotesi l’autore della richiesta potrebbe aver invocato la rimozione di centinaia di articoli del genere da lui firmati ed ora, esercitando un suo diritto, potrebbe volerci imporre di dimenticarlo. Oppure, nella migliore delle ipotesi potrebbe aver scritto solo quello: noi non lo sapremo mai perché la legge si concentra sul singolo caso ed è cieca a riguardo del contesto generale. E dopo quanto tempo una informazione in rete diventa “obsoleta”? Cinque anni? Cinquanta? Cinque minuti? Noi non lo sappiamo.
Stiamo parlando di una enorme valanga di persone che per le ragioni più varie immaginano che la propria personale reputazione debba prevalere sull’interesse generale, decine di migliaia di europei che hanno trovato una stupida sentenza della Corte di Giustizia Europea ad accoglierli a braccia aperte. Si compila una form, si manda un documento ed il gioco è fatto.
La grande maggioranza dei contenziosi sul diritto all’oblio, proprio perché interessano il vasto campo di applicazione delle pagine web personali, dei blog o dei siti amatoriali, potrebbero essere risolti dagli interessati direttamente. E quelli con i media, che rappresentano l’altra grande fetta della torta, potrebbero essere demandati alle policy aziendali degli editori. Se l’autore della notifica avesse scelto di scrivermi due righe invece che impugnare l’ascia del burocrate europeo, quella pagina probabilmente non sarebbe scomparsa solo da alcune ricerche sulla versione europea di Google ma non esisterebbe più. L’avrei tranquillamente cancellata come mi è capitato di fare altre volte quando le richieste degli interessati sono ragionevoli, personali e non spostano grandi questioni etiche.
Sommersa da notifiche come quella che vi ho mostrato poco fa qualche tempo fa BBC ha messo on line una pagina web che contiene i link a tutti gli articoli che ha pubblicato e che la norma europea sulla protezione dei dati ha eliminato dalle ricerche di Google. Quella pagina, indicizzata da Google, contiene l’elenco di pagine che Google ha smesso di indicizzare e rappresenta, in tutto il suo splendore, la follia e l’inestricabile complessità del contesto digitale, oltre che l’imbarazzante pochezza delle scelte del legislatore.
Il giorno in cui tutti i cittadini europei, per far valere i propri fondamentali diritti, avranno ottenuto, con rapida prassi automatica, la rimozione di tutte le informazioni che li riguardano che non siano quelle splendide e positive, di tutte le foto venute male, di tutti gli articoli di stampa che li associano a inchieste, reati e fallimenti, di tutti i deprecabili accostamenti di colori immortalati durante le uscite in società, di ogni sconfitta a bridge di cui Google abbia deciso di tener conto, forse qualcuno dalle parti dell’Unione Europea si renderà conto di quanto una simile norma sia pericolosa per tutti noi.
Ho usato l’aggettivo “stupida” troppe volte in questo articolo. Lo dico un’ultima volta: la norma sul diritto all’oblio è una norma stupida e mal fatta: siamo ancora in tempo per pentircene.