Facebook e la rete stupida
Chiunque abbia confidenza anche minima con l’architettura della rete Internet sa che il progetto di Mark Zuckerberg per portare la rete nelle zone più povere del pianeta, sfruttando in molti casi la pre-esistente rete di telefonia cellulare, è un progetto sbagliato.
Lo è indipendentemente dalle intenzioni (sulle quali per altro ci sarebbe forse qualcosa da dire) ma lo è in generale, per un motivo molto semplice che potrebbe essere sintetizzato così: non esiste una piccola e una grande Internet, esiste Internet e basta.
Internet e basta sarebbero poi una serie di standard tecnologici e modalità di accesso ai nodi di rete che sono, da qualche decennio, la vera Costituzione di Internet. La rete come la conosciamo è nata e cresciuta così: un sistema a bassa complessità ed alta apertura dove chiunque poteva essere presente a patto di aderire ad un pacchetto minimo di regole condivise.
Contro la nostra usuale maniera di ragionare simili norme non comprendevano – né all’inizio né in seguito – norme etiche: probabilmente, se le avessero considerate, Internet semplicemente non sarebbe cresciuta, spezzettandosi nel giro di pochissimo in una serie di piccoli network tecnologici orientati in base a variabili geografiche, religiose, etiche o etniche.
Alcuni pensano – lo pensano per esempio in Italia i sostenitori del Bill Of Rights che il nostro Parlamento ha approvato recentemente – che la complessità raggiunta dalla Rete richieda oggi interventi costituzionali che in passato non erano necessari. Per farlo propongono un pacchetto di tutele (diritto di accesso, neutralità del network ecc ecc) che allontani il rischio che qualcuno domani si impossessi di Internet e la faccia diventare qualcosa che per fortuna fino ad oggi non è stata. Un giardino recintato, nella disponibilità di governi e multinazionali, un luogo di potere come tutti gli altri che frequentiamo nella nostra vita.
Altri ancora, come Mark Zuckerberg con il suo progetto Internet org, fanno prevalere un approccio pragmatico: osservano come vaste zone del pianeta non siano ancora connesse, stigmatizzano la necessità che sempre più cittadini possano accedere ai benefici di Internet e individuano una soluzione che porti una piccola Internet, una specie di Internet iniziale, nei paesi in cui Internet non c’è. Meglio una piccola Internet con alcuni servizi essenziali – sostengono – che nessuna Internet.
Solo che il problema fondamentale con le reti “stupide” come Internet è da sempre quello che simili reti, per funzionare ed avere successo, devono restare stupide. Devono essere trasparenti ai contenuti ed ai soggetti che li veicolano, devono, semplicemente, non poter far differenza fra grandi e piccoli, fra ricchi e poveri e perfino – e questo può sembrare un problema – fra buoni e cattivi. Internet funziona perché è un network stupido, perché si concentra sulle abilità in ingresso e si disinteressa del valore dei contenuti che transiteranno attraverso le sue linee.
Moltissime delle cose intelligenti che abbiamo imparato a fare negli ultimi anni sono state rese possibili dal fatto che l’architettura che ce le porta a casa è sommamente stupida.
Ed è questa la ragione per cui la Internet di Zuckerberg non è una buona idea, perché esattamente come è accaduto tante volte in passato, immagina una sostanziale non neutralità di accesso basata su scelte gerarchiche: qualcuno deciderà chi potrà fare cosa. Immagina un pubblico ed un certo numero di emettitori, prevede un numero di soggetti i quali, invece che sedersi sulla superficie della palla, come scrivevano Searls e Weinberger in un saggio di molti anni fa che cito sempre, provano ad occuparne il centro. Tutte persone per bene, con un sacco di buone idee e grande comprensione per i problemi del mondo.
Ovviamente questo avverrà, a sentire gli organizzatori, nella maggiore trasparenza ed apertura possibile, che è poi quello che si dice sempre; esattamente come i clienti di AOL avrebbero avuto accesso velocissimo e confortevole a tutti i contenuti di Internet quando il gigante USA immaginò una ventina di anni fa il primo walled garden che avrebbe reso confortevole la navigazione in rete ai suoi sottoscrittori.
La storia della rete Internet degli ultimi vent’anni è piena di tentativi grandi o piccoli per rendere la rete meno stupida e più sicura, stratagemmi per farla diventare più veloce e controllata, più efficiente e libera dai bit che non vorremmo incrociare e la storia di questi tentativi è fortunatamente quella di una serie di fallimenti più o meno fragorosi.
Tutto questo prescinde dai soggetti interessati e dalla loro reputazione.
Per finire lasciatemi dire lo stesso che c’è qualcosa di paradossale nell’osservare che la Internet per tutti i poveri del mondo nasca oggi da un’idea del fondatore del walled garden di maggior successo planetario da quando la rete esiste.
Del resto se Internet non fosse stata così stupida non avrebbe permesso che una piattaforma di relazione sociali di grande successo avvolgesse con spire tanto strette i propri milioni di sottoscrittori: avrebbe trovato forse qualcosa da eccepire all’idea di Zuckerberg di progettare ambienti digitali che rappresentano per moltissime persone nel pianeta l’unica forma di accesso conosciuta al mondo digitale.
Mark Zuckerberg dovrebbe sapere meglio di chiunque altro qual è il valore di un network stupido, che è poi quello stesso valore che ha fatto sì che il mondo intero riconoscesse il suo talento di studente. E se il punto del suo progetto è davvero quello di offrire ai giovani dell’Africa o dell’India le stesse possibilità che ha avuto lui, studi qualcosa di meno ambiguo e attaccabile di una serie di accordi di zero rating con questo o quell’operatore telefonico per la sua azienda e per quelle della sua lista di benefattori dell’umanità.