La sinistra che vuole chiudere Internet
Quando dieci anni fa ci furono gli attentati alla metropolitana di Londra le maggiori reazioni, da un punto di vista legislativo, si ebbero curiosamente in Italia. Il governo di allora si inventò una norma, il cosiddetto decreto Pisanu, piuttosto facile da riassumere: la lotta al terrorismo attraverso una sciocca norma burocratica che caricava di oneri, firme e fotocopie chiunque desiderasse fornire o utilizzare un accesso wireless a Internet. I terroristi erano serviti, abbattuti a colpi di burocrazia.
Quando alcuni anni prima gli USA accettarono di buon grado il Patriot Act di George Bush, norma liberticida approvata poche settimane dopo l’11 settembre, nessuno da quelle parti si sognò di proporre di chiudere Internet o di limitare gli accessi wi-fi. Era chiaro, agli americani allora ed agli inglesi qualche anno dopo, che la sicurezza nazionale non poteva passare attraverso la limitazione degli strumenti di comunicazione di tutti i cittadini.
In Italia, a quei tempi, la situazione era differente: nel 2005 il decreto Pisanu era uno spaccato perfetto della nostra arretratezza digitale, un’idea perfettamente logica dentro una diffidenza verso Internet che aveva partorito qualche anno prima la legge Gasparri e che da allora non è mai del tutto scomparsa. Per annullare gli effetti deleteri del decreto Pisanu (e della Gasparri) ci vollero alcuni anni e molto lavoro parlamentare.
Sono passati dieci anni, molte cose sono cambiate, i cattivi hanno nomi differenti e comportamenti perfino più temibili, eppure quello che sembra essere accaduto nelle ultime settimane è che la superficialità e il provincialismo italiano sui temi del digitale siano riusciti a contagiare il mondo intero. Francia e Gran Bretagna mettono in campo nuove norme per controllare Internet (i francesi addirittura pensano di vietare l’uso delle reti wifi pubbliche, una specie di decreto Pisanu al cubo), Donald Trump dentro la sua ributtante campagna elettorale propone di chiudere Internet in attesa di capire “cosa diavolo stia succedendo” fra cristiani e musulmani. In Italia il presidente del Consiglio propone di “taggare” i criminali (come non si sa bene) e alcuni articoli di stampa (sul Messaggero di qualche settimana fa per esempio) pubblicano indiscrezioni, mai confermate né smentite, su un piano nazionale per “spegnere Internet” in caso di attacco. Da noi per ora si tratta solo di chiacchiere, chiacchiere in ogni caso deprimenti e pericolose.
Nel frattempo abbiamo avuto il caso Wikileaks con Julian Assange asserragliato dentro l’ambasciata dell’Ecuador a Londra e, qualche tempo dopo, la fuga di Edward Snowden in Russia, con tutto il corteo di codardia e colpevole rimozione che da Obama è sceso verso la maggioranza degli stati europei, impegnatissimi (tutti) a isolare Snowden come fosse il peggiore dei criminali e non un eroe delle nostre libertà.
Come sappiamo è nei momenti di grande incertezza e difficoltà che si fanno strada le soluzioni autoritarie. Di fronte all’efferatezza di Bataclan o alla carneficina di Charlie Hebdo si alza dalla folla l’invocazione ad una maggior sicurezza a qualsiasi costo e questo avviene contemporaneamente ed ovunque nel mondo. Il primo e più importante effetto degli attentati terroristici, di qualsiasi matrice essi siano, è così raggiunto. Colpire la tranquillità, moltiplicare le incertezze, scatenare reazioni altrettanto crudeli di quelle mostrate dai carnefici. Mescolarsi con i maiali nel fango – per dirla con GB Shaw – fino a che nessuno sia più davvero riconoscibile.
Oggi, a differenza di alcuni anni fa l’impazzimento generale (non più solo in Italia) ha come bersaglio la rete Internet: non perché qualcosa di nuovo sia accaduto da un punto di vista tecnico rispetto ai tempi del decreto Pisanu, ma perché il senso di fragilità e debolezza è tanto forte e diffuso da travolgere tutto, compresi i fondamenti del nostro stato di diritto. E Internet è il luogo nel quale ormai tutto accade, compresa la propaganda odiosa degli uomini dell’ISIS.
Una cavalleria di reazionari di ogni risma ha fiutato l’aria e si è buttata a capofitto in questa guerra di retroguardia ed è triste osservare che accanto a sciagurati come Donald Trump o conservatori come David Cameron, anche capi di governo “di sinistra” come François Hollande o Matteo Renzi si dichiarano disponibili, ciascuno con i propri flebili distinguo, ad accettare questo compromesso. Che è un compromesso di chiara impronta reazionaria anche se nessuno sembra disposto a dirlo con chiarezza. La nostra libertà svenduta all’ingrosso in cambio di (forse) maggior sicurezza.
Ma se una simile politica delle reti è da sempre e senza grandi sorprese patrimonio dei partiti di destra, se FN stravince il primo turno delle elezioni regionali in Francia e i leghisti di Salvini hanno ottimi numeri in Italia, sarà forse necessario dire, per la quota rimasta di cittadini europei ed americani progressisti sopravvissuti alle ossessioni di Oriana Fallaci, che la propaganda terroristica non dovrà per forza schiantare i loro principi, che esiste una soluzione al ricatto del terrore che non sia un compromesso al ribasso e che questa può forse essere riassunta nel discorso che il premier norvegese Jens Stoltenberg pronunciò dopo la terribile strage di Anders Behring Breivik sull’isola di Utøya.
Il male può uccidere gli individui, ma non potrà mai sconfiggere un popolo intero.
Questa sera il popolo norvegese sta scrivendo la storia.
Con le armi più potenti del mondo – la libertà di parola e la democrazia – stiamo disegnando la Norvegia per il dopo 22 luglio 2011.
Renzi, Hollande e tutti i leader progressisti europei potrebbero rileggersi quelle parole, provando con coraggio a non soccombere dentro le eterne emergenze che in questi mesi si susseguono. Diritti dei cittadini, libertà di espressione, solidarietà, democrazia, non sono parole a caso ma i principi fondanti di un occidente e di una sinistra che in questi giorni in Europa sembra scomparsa. E che lo sarà davvero e definitivamente se i suoi leader preferiranno sposare la causa dei poliziotti o degli idolatri della sicurezza. In questo caso è chiaro a tutti che le prime libertà a scomparire saranno le nostre libertà digitale. Incidentalmente, oggi, le più importanti di tutte.