L’invasione acustica sul web italiano
Io penso da sempre che Internet sia uno spazio silenzioso. Come un libro, come un quotidiano sfogliato alla luce di una lampada, la rete è sempre stata per me un luogo notturno e senza rumori. Così facendo disegna un confine, non solo acustico, con la TV o la radio, il cui linguaggio principale è stato da sempre mediato da gradi più o meno assordanti di invadenza.
Sebbene nel tempo il suono, quello dei formati digitali come l’mp3 e delle piattaforme audiovideo come Youtube, fino a quello degli attuali servizi di streaming musicale, sia andato affermandosi in maniera sempre più ampia e la rete di sole parole e immagini dei primi tempi si è trasformata in un luogo del tutto differente, le interfacce hanno sempre scelto accuratamente di essere il meno intrusive possibile: Internet è rimasto un oggetto notturno.
Perché questo sia accaduto, in un mondo nel quale tutti urlano e strepitano, non è difficile da capire: perché essere in rete è rapidamente diventata la più complessa delle esperienze multisensoriali e come tale può essere governata solo da noi stessi. Moltissime persone leggono le notizie su una pagina web mentre ascoltano una playlist su Spotify, altri scrivono un tweet mentre seguono un programma tv, altri ancora semplicemente preferiscono stare in silenzio di fronte alla luce del loro monitor o del loro tablet. Per tutto costoro e per molti altri l’invadenza dell’audio non richiesto è una intrusione netta della propria sfera personale.
Oggi i guerriglieri dell’invasione acustica sul web sono rappresentati da due categorie principali. La prima è quella per nulla sorprendente dei pubblicitari, il cui lavoro spesso ingaggia dure battaglie con l’intelligenza. Il design dei banner pubblicitari per il web meriterebbe qualche studio sociologico, fra pulsanti “chiudi” lillipuzziani, trasparenti, a comparsa o (ultima tendenza) inesistenti, musiche da battaglia scatenate dal passaggio del mouse e interessantissimi filmati a tutta pagina che nessuno guarda e che nessuno clicca. Internet non è la TV e la gestione marchettara di un simile spazio personale meriterebbe qualche ulteriore meditazione. Tuttavia la logica filantropica dell’inserzionista è intuitiva e brutale: io pago la baracca quindi ora tu per favore, sorbisciti questa schifezza che ti ho preparato. In un gruppo ipotetico di dieci banner contemporanei per il web quelli che mostrino attenzione e rispetto per il pubblico che li dovrebbe gradire non superano i due o tre: gli altri sono semplici aggressioni a pubblicità armata.
La seconda categoria degli invasori acustici riguarda, devo dire un po’ a sorpresa, le scelte di design di alcuni grandi siti web italiani. E questo francamente è un peccato. Nel caso di corriere.it che da tempo ormai propone ai molti visitatori della sua homepage dirette video qualsiasi nella colonnina di destra, siamo di fronte a veri e propri “innovatori”. A discrezione del webmaster l’audio di simili imperdibili dirette è molto spesso spento, talvolta invece l’apertura della pagina di uno dei più letti siti web italiani assomiglia al click di accensione di un televisore. L’audio di una diretta che non hai scelto di ascoltare invade il tuo spazio personale che magari avevi diversamente destinato. Si tratta di una scelta di design semplicemente sconsiderata che, in un mondo in cui tutti noi abbiamo molte tab aperte, bussa alla porta della nostra attenzione come un energumeno ubriaco sul palco del Bolshoi durante Il lago dei cigni.
Per ragioni di contesto che immagino analoghe anche Repubblica sembra intenzionato a compiere scelte simili. Giusto in questi giorni sulla copertina di Prima Comunicazione un Ezio Mauro sorridente annuncia che repubblica.it vuole diventare il nuovo portale degli italiani (sic). Repubblica – recita il titolo – dovrà essere “il portale dove trovare sempre informazioni sicure su tutti i temi ma anche video, intrattenimento, film e molto altro”.
Sembra in effetti di essere tornati agli anni 90 ed alle sue varie sperimentazioni: così da qualche tempo a questa parte ogni sera, nel primetime televisivo, repubblica.it mette online sul suo sito uno spettacolo televisivo di sua produzione o addirittura manda in onda un film (!) come è accaduto con alcuni classici del neorealismo italiano all’approssimarsi del 25 aprile. Ancora una volta il film o la dirette TV sono imposte per design, aprono un frame gigantesco e con l’audio acceso che spinge le notizie verso il basso ogni volta che apriamo il sito del giornale. Talvolta il refresh di repubblica.it, che magari avevamo lasciato aperto in una tab sullo sfondo, richiama la nostra attenzione urlando la sua colonna sonora dalle profondità del nulla verso le cose che stavamo facendo in quel momento.
Non sono in grado di dire se simili scelte strategiche siano sciocchezze decise da gente che non comprende Internet o disperati tentativi di allargare un ecosistema economicamente asfittico: in entrambi i casi valgono due considerazioni. La prima è che se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che non lo fa nessun altro (chissà come mai), la seconda che le potenzialità tecnologiche della rete (pacchetti di bit che trasportano di tutto, indifferentemente) solo in un periodo di euforia adolescenziale ormai vecchio di vent’anni possono farci immaginare di essere soggetti in grado di fare tutto contemporaneamente: la parabola dei portali, morti e sepolti oltre un decennio fa, racconta esattamente questo; eppure ad Ezio Mauro pare che nessuno glielo abbia voluto raccontare.
Ma al di là di tutto, al di là dell’insuccesso prevedibile di simili iniziative, vale la considerazione iniziale su come sia organizzata nel 2015 la nostra attenzione e su come sia mutata con Internet; di quanto il design del web debba misurarsi con la dignità degli utenti e di quante cose racconti di noi che lo abbiamo scritto. Ma soprattutto di come Internet resti di default un luogo silenzioso e notturno. Se tu deciderai di accendere l’audio nella mia stanza al mio posto io, in un istante, senza nemmeno alzare gli occhi, avrò capito chi sei.