Banda ultralarga: la società degli insetti
Sulla questione banda larga il discorso complessivo è tutto sommato semplice: il Paese ha assoluta necessità di una rete veloce in tempi brevi. Per ragioni di bilancio e fondi europei molto dovrà essere fatto prima del 2020.
Non vi tedio con numeri, classifiche europee e obiettivi concordati, vi rammento invece una sola parola che abbiamo il dovere di invocare quando ci riferiamo al futuro dell’Italia, alla nostra capacità di rimanere una nazione contemporanea e non un luogo nel quale i nostri figli domani debbano vergognarsi di noi.
La parola in questione è collaborazione.
Scriveva Franco Carlini molti anni fa:
La cosa complicata, che rende il nostro mondo umano così difficile, e spesso anche terribile, è che la cooperazione non è così facile da far fiorire come quella nella società degli insetti: è innervata di conflitti e guerre proprio perchè ogni singolo automa cellulare “pensa” anzichè puramente eseguire. E’ questo il prezzo che la specie umana paga al suo successo: avendo evoluto un grande cervello, non può affidarsi solo all’istinto e ai geni per produrre il proprio ambiente e per regolarsi. Deve rassegnarsi a collaborare. Deve rassegnarsi alla pace.
La cooperazione non è facile, ma è necessaria. Vorrei dire che oggi è obbligatoria. Non possiamo farne a meno, soprattutto quando la posta in gioco è il futuro dei nostri figli. Così nelle cronache di questi giorni è possibile riconoscere i tratti soliti di una contrapposizione: da un lato le compagnie telefoniche (Telecom Italia in testa per ovvie ragioni in quanto proprietaria della rete in rame), dall’altro il governo che sta approntando un piano per accelerare la trasformazione della rete nazionale verso la fibra. Ognuno di questi soggetti ha i propri interessi e le proprie priorità. Lo sfondo culturale di una simile contrapposizione è poi, per una volta, il vero problema: perché le decisioni da prendere dovranno essere controcorrente rispetto ad un Paese che non ne percepisce l’importanza. Questa è la vera zavorra che ci siamo portati avanti per un decennio: da un lato le telco che non investivano per evidente mancanza di domanda, dall’altra la politica che soprassedeva (buttando soldi in infrastrutture inutili di cemento e mattoni) perché lei per prima non capiva il valore della rete.
Questo oneroso peso oggi resta, anche se c’è una novità importante. Non possiamo più far finta, non possiamo più descriverci come il Paese intelligente anche se poco connesso. Le telco non possono raccontarci la favoletta della fibra che non serve (non sempre, non direttamente a casa, non dappertutto), i governi non possono più ignorare la centralità del digitale nel futuro del Paese.
E infatti non lo fanno più. Telecom Italia ha annunciato un piano di investimenti per la fibra fino a casa dei cittadini, il Governo ha fatto sapere che la rete in fibra dovrà sostiuire in tempi non biblici quella in rame e che è disposto a investire denari per favorire questo passaggio.
Ma tutto questo non basta. Non bastano i piani industriali delle telco e non bastano i documenti strategici del governo. Non bastano perché semplicemente sappiamo già dove andranno a finire simili dichiarazioni di intenti: finiranno nei conflitti e nelle guerre degli automi in cui ognuno pensa per sé come se null’altro attorno esistesse.
Dobbiamo rassegnarci a collaborare. Il grande cervello ha bisogno di umiltà e della cooperazione di tutti. Deve rassegnarsi alla pace. Esiste una nuova ingenuità che dobbiamo cercare di ricomporre. Lo dobbiamo fare per una aspirazione alta e di tutti che riguarda il nostro futuro.
Certo, da un lato c’è l’industria privata e dall’altra un soggetto che rappresenta l’interesse dei cittadini: non mi sfuggono le differenze dei valori in campo. Ma non mi sfugge nemmeno la memoria storica di mille altre contrapposizioni analoghe fra il bene e il possibile, così come ho ben chiaro quali siano gli interessi dei cittadini.
E il mio interesse di cittadino è un grande piano per la rete in fibra del Paese che riunisca padri e madri dei nostri figli intorno ad un tavolo. Siamo al punto in cui quasi tutti ne hanno compreso il valore. Ora c’è un grande cervello che ha urgente bisogno di essere acceso.